mercoledì 30 novembre 2011

Gli antichi Sardi fra i “Popoli del Mare"

di Massimo Pittau

Mi fa piacere presentare Le conclusioni culturali e storiografiche del mio ultimo libro "Gli antichi Sardi fra i “Popoli del Mare”», Domus de Janas, Selargius (CA) 2011.

Noi moderni dunque abbiamo di fronte una massa imponente di connessioni archeologiche e culturali, che legano strettamente l’antica isola di Sardegna all’antica civiltà egizia. Di fronte alle quali connessioni ci sembra che le deduzioni logiche che se ne debbano trarre siano le seguenti:

I) Questo materiale egizio - ed eventualmente egittizzante - non può essere stato importato in Sardegna dagli antichi Egizi, dato che è del tutto certo storicamente che questo popolo non ha mai espresso una politica imperialistica marittima e nemmeno un’ampia attività commerciale nel Mediterraneo e tanto meno nel Mediterraneo centro-occidentale.

II) Questo materiale egizio non può essere stato importato in Sardegna dai Fenici, sia perché numerosi elementi di quel materiale hanno una datazione precedente di alcuni secoli all’arrivo dei Fenici in Sardegna (fine del IX, inizi dell’VIII sec. a. C.), sia per il loro carattere culturale prevalente.

Il carattere culturale prevalente è senza alcun dubbio quello “religioso”, ragion per cui, avendo i Fenici una loro “religione fenicia” differente dalla “religione egizia”, non si capirebbe per nulla il fatto che essi avessero fatto gli esportatori e i “propagandisti” in Sardegna di una religione differente da quella loro nazionale. È ben vero che i “commercianti” – e i Fenici lo erano in maniera preminente – non hanno mai sentito “puzzare” i soldi guadagnati da una qualsiasi merce venduta, ma il fatto è che il tabù religioso nell’antichità era molto più forte di adesso, per cui allora molto meno di adesso “si scherzava coi santi”, ossia col materiale religioso e le credenze che vi erano annesse.

Nella supposizione pertanto che avessero assunto la parte e la funzione di “propagandisti religiosi”, perché i Fenici non avrebbero importato in Sardegna esclusivamente la loro “religione fenicia”?

(E tutto questo contribuisce a ridimensionare notevolmente la presenza dei Fenici in Sardegna, presenza che invece i “feniciomani” nostrani avevano enfatizzato in misura spropositata).

III) Non resta altra soluzione: il ricco materiale egizio di carattere religioso, assieme con la religione egizia corrispondente, sono stati importati in Sardegna dai Sardi stessi, a iniziare dall’epoca della loro partecipazione alle imprese dei “Popoli del Mare” in Egitto (fra il 1230 e il 1170 a. C. circa). Come abbiamo accennato in precedenza, dopo quelle imprese, i Sardi non avranno interrotto i loro rapporti con quello che era il paese più ricco e più civile di tutto il bacino del Mediterraneo, ma anzi li avranno mantenuti a lungo, di secolo in secolo, anche nell’epoca della presenza nell’isola dei Fenici e pure dei Cartaginesi. In quest’ultimo periodo, sì, si può accettare che i Fenici e perfino i Cartaginesi siano diventati i prevalenti “vettori” del materiale egizio in Sardegna; ma questo essi facevano in quanto trovavano nei Sardi dei buoni acquirenti, soprattutto quei Sardi che continuavano a vivere nelle città sardo-puniche di Caralis, Bitia, Nora, Sulcis, Tharros, ecc.

Dunque l’interesse per l’Egitto e la sua splendida civiltà da parte degli antichi Sardi è iniziato all’epoca della loro partecipazione alle imprese tra i “Popoli del Mare”, ma è continuato di secolo in secolo fino a tempi molto recenti, sino all’epoca della dominazione romana, come fanno intendere non pochi reperti egizi rinvenuti in Sardegna.

lunedì 28 novembre 2011

Sulcis: fondazione e toponimo nuragici

di Massimo Pittau


In miei studi precedenti sui “macrotoponimi” della Sardegna avevo sostenuto, circa il toponimo Sulcis (antico nome di Sant’Antioco), una certa tesi, che in parte ho revisionato in una mia opera recente. Oggi ritorno a quella mia tesi iniziale e ciò in virtù del fatto che ritengo di avere decifrato e tradotto un vocabolo etrusco, che compare nel famoso “Libro della Mummia di Zagabria” e del quale do la spiegazione in una mia ampia opera sulla lingua etrusca, di imminente pubblicazione («I Grandi Testi della Lingua Etrusca tradotti e commentati», Carlo Delfino Editore, Sassari 2011). Pertanto la mia tesi ultima sul toponimo e pure sull’insediamento umano dell’antico Sulcis è il seguente.
««Sulcis - Attualmente indica tutta la parte sud-occidentale dell'Isola, mentre nel Medioevo e in età moderna ha indicato una diocesi, che ebbe come capoluogo prima Sant'Antioco, dopo Tratalias e infine Iglesias. In virtù di quest'ultima circostanza il coronimo è citato molto per tempo e numerose volte nei documenti medioevali.
Esso deriva dal nome originario di Sant'Antioco, che è citato come Sulci da Claudiano (V, 518), dall'«Itinerario di Antonino» (84), dalla Tavola Peutingheriana e dall'Anonimo Ravennate; come Sulcis (da interpretarsi come un locativo plur.) è citato da Mela (II, 19); come Sólkoi da Tolomeo (III 3, 3); Soûlchoi da Strabone (V 2, 7); Sylkoi da Pausania (X 17, 9) e da Stefano di Bisanzio; Solkói da Artemidoro, in Stefano di Bisanzio (581,7-8; 591 M s. vv.); Soúlkes da Leone il Saggio (Patrologia Graeca, CVII c. 344).
Io sono dell’avviso che il toponimo sia sardiano o protosardo e sia da connettere con l’appellativo etrusco SULΧVA «solchi» (Liber X 17) (plur.) (da cui dopo è derivato il lat. sulcus) (LEGL 69; DICLE 166).
A mio avviso l’antico insediamento traeva molta della sua importanza dal “solco o canale” o anche dai “solchi o canali” che tagliavano l’istmo che unisce l’isola di Sant’Antioco alla Sardegna propriamente detta, canali che costituivano altrettanti "passaggi" per le navi che costeggiavano la Sardegna, anche per evitare il lungo e pericoloso periplo delle isole di Sant'Antioco e di San Pietro. I «canali» dell'istmo dunque saranno stati più d'uno, in quanto saranno stati usati variamente a seconda del frequente interramento provocato dallo spirare dei venti e dal movimento delle correnti marine. Sul principale di questi canali in età romana è stato costruito quel ponte che rimane tuttora (OPSE 159, 269).
Hanno quasi certamente errato alcuni archeologi recenti che, senza darne alcuna prova, hanno parlato di "istmo artificiale" di Sulci: al contrario l'istmo sembra costituitosi in epoca molto antica, come dimostra anche il fatto che nella sua parte centrale si trovano ancora in posizione eretta due pedras longas o pedras fittas (menhirs) di epoca prenuragica.
A differenza della città di Sulci, nell’antichità l'isola veniva chiamata, come risulta dal geografo greco-alesandrino Tolomeo (III 3, 8), Molibódes nésos «Isola plumbea», evidentemente per i suoi giacimenti di piombo. Ma questa sarà stata la traduzione greca di una precedente locuzione sardiana o protosarda, che ormai a noi risulta sconosciuta»».
Questo avevo scritto riguardo a Sulcis, quando ho avuto la soddisfazione di leggere nella recente opera di Piero Bartoloni, «I Fenici e i Cartaginesi in Sardegna» (Sassari 2009): (pag. 62) «Sulky, certamente di fondazione nuragica», (pag. 81) «abitanti Sulcitani di origine nuragica», (pag. 77) «nome Sulky, forse di origine non fenicia».
Da parte mia aggiungo che nell’isola di Sant’Antioco si trovano tuttora i resti di ben 23 nuraghi, prova evidente che essa era intensamente abitata sia per i suoi giacimenti di piombo sia per l’abbondanza di pesci, compresi i tonni, nelle sue coste.
Fenici e Cartaginesi sono arrivati nell’isola quattro o cinque secoli dopo.
A proposito degli Etruschi mi piace citare un fatto quasi del tutto sconosciuto agli studiosi sardi: nel Lazio è stata rinvenuta una tessera ospitale d’avorio in figura di leone (del sec. VI a. C.), la quale riporta l’iscrizione etrusca ARAZ SILQETENAS SPURIANAS «(tessera) di Arunte Sulcitano (ospite) di Spurianio» (ET, La 2.3 - 6:). SILQETENA(-S) «(di) Sulcitano» è un cognomen masch. in genitivo, da confrontare col lat. Sulcitanus = "nativo od originario di Sulcis" (in Sardegna) (alternanze i/u, e/i, a/e; DICLE 13). I due individui dunque si erano legati da obblighi di reciproca ospitalità nelle rispettive residenze (DETR 375; DICLE 166).
Oltre a ciò ricordo che qualche tempo fa a Sant’Antioco è stata rinvenuta una lapide funeraria, che contiene una iscrizione etrusca; non mi risulta però che sia stata già interpretata e nemmeno pubblicata (vedi M. Pittau, Il Sardus Pater e i Guerrieri di Monte Prama, I ediz. 2008, II ediz. 2009, Sassari, EDES, pag. 65, fig. 7).

venerdì 25 novembre 2011

L'orientamento delle Domus de Janas

di Paolo Littarru

Le evidenze scientifiche dell’orientamento astronomico dei nuraghi, costituiscono ormai un dato di fatto incontrovertibile, oggetto di diversi studi e pubblicazioni internazionali e facilmente verificabile per chiunque volesse.
Ma quando iniziarono gli antichi Sardi ad ammirare la volta stellata e a orientare con gli astri i loro monumenti? L’”ossessione” degli antichi abitanti dell’Isola per l’astronomia nacque improvvisamente con i nuraghe?
Uno studio di Mauro P. Zedda e Juan Antonio Belmonte (direttore dell'IAC e presidente della SEAC), pubblicato nel 2007, ci rivela interessantissimi dettagli di un’”astronomia” prima dei nuraghi.

Le oltre 2000 tombe ipogee dette Domus de Janas costituiscono la più importante testimonianza del periodo tardo neolitico (3800-2900 a.C. c.d. “cultura di Ozieri), possono trovarsi isolate, in piccoli gruppi o addirittura in vere e proprie necropoli. In molti casi sono decorate con incisioni o con meravigliosi dipinti rosso ocra. Il motivo più ricorrente sono le corna di toro, diversamente stilizzate, isolate o in sequenza.
Zedda e Belmonte, nel loro studio, passano in rassegna l’orientamento di 300 Domus de Janas in tutta l’Isola. L’istogramma degli orientamenti mostra dei picchi ben precisi ed evidenzia in modo nettissimo una distribuzione non casuale:
- un primo importante picco di frequenze è centrato sul Sud;
- un secondo picco sull’Est ed un terzo sugli azimut all’incirca corrispondenti al solstizio d’inverno
- pochissime sono le Domus orientate a Nord, dove il sole non splende.

Incredibilmente lo studio di 85 Tombe a Pozzetto della Sicilia (località Tanchina, Rocazzo e Capaci), coeve alle Domus de Janas Sarde, mostra un istogramma degli orientamenti assolutamente simile a quello delle Domus sarde (principale picco di azimuth poco prima del Sud, picco associato al solstizio d’inverno, minimo delle frequenze dopo il tramonto del solstizio d’inverno).
Zedda e Belmonte ritengono che questa similitudine non sia casuale ma possa essere indicativa di un qualche contatto tra i costruttori.
Molto simile alle Domus sarde anche l’orientamento delle tombe tunisine dette Hawanat, datate però al primo millennio a.C., il che permette di escludere un contatto tra le due civiltà.
Un’analisi più approfondita degli orientamenti delle Domus de Janas è stata ottenuta calcolando la declinazione degli orientamenti e dividendo le Domus in due gruppi, a Nord e a Sud del 40° parallelo.
I risultati sono ancor più sorprendenti:
- un cumulo di frequenze per le “basse” declinazioni (ca. -45°);
- un accumulo di frequenze sul solstizio d’inverno (principalmente per le Domus “meridionali”);
- un accumulo di frequenze sul solstizio estivo (principalmente per le Domus “ settentrionali”).

Ma la scoperta più suggestiva, relativa alle Domus de Janas sarde, è che il picco ad Est del diagramma degli azimuth, da luogo a un insieme di picchi di declinazione compatibili nel tempo con le Pleiadi e le Iadi, i più importanti asterismi della costellazione del Toro. Le Iadi costituiscono proprio la testa del Toro.
Che esista un nesso tra la testa del Toro celeste a cui guardano le Domus e le corna taurine raffigurate al loro ingresso?
Non lo sappiamo con certezza. Dovremmo sapere se davvero gli antichi Sardi vedevano già un Toro nella costellazione in cui noi lo vediamo ora.
L’identificazione della costellazione del Toro con un toro è molto antica, certamente risalente al Calcolitico e forse al tardo Paleolitico. Michael Rappenglück dell’Università di Monaco, ritiene che la costellazione del Toro sia addirittura rappresentata nella “Sala dei Tori” delle grotte di Lascaux (datate ca. al 15.000 a.C.) Di sicuro lo vedevano gli antichi Greci, per i quali Zeus assunse la forma di Toro per vincere Europa, una principessa fenicia.

Ma è suggestivo il fatto che davanti alla stupenda necropoli di Sant’Andrea Priu, campeggi un magnifico Toro, scolpito nella roccia, orientato con il tramonto delle Iadi nella prima fase della Cultura di Ozieri (3500 a.C.): oltre 1500 anni prima dei nuraghi, gli antichi Sardi contemplavano il cielo stellato.