lunedì 27 gennaio 2025

Conci mammelliformi. Allusione androgina

di Franco Laner

Per rispondere a due richieste di maggior chiarimento di alcune immagini che ho proiettato durante il mio intervento sui pozzi e fonti e sacralità dell’acqua nel recente incontro di Settimo (v. precedente post su questo blog), dove ho sostenuto che i conci a T (onnipresenti nei pozzi) abbiano forma taurina, maschia e ricordato che spesso il toro è presente in pozzi e fonti anche con le sue fattezze reali, non solo simboliche, sintetizzo ciò che in altre occasioni, in scritti e conferenze, ho sostenuto.

Molto spesso, sui conci taurini sono presenti due protuberanze che interpreto come mammelle.

È dunque compresente il maschio e la femmina, ovvero l’ermafrodita, l’androgino, figura che ha in sé la completezza e perfezione.

Gli archeologi hanno interpretato le protuberanze come funzionali al trasporto dei conci e alla loro messa in opera per essere poi scalpellate via.

Ma come si fa a pensare ad una tale corbelleria? Il concio è facilmente sollevabile e lavorabile senza necessità di protuberanze, estremamente laboriose per la sottrazione materica necessaria!

Sarebbe un lavoro stupido ed inutile e chi lo dovesse compiere sarebbe immediatamente condannato, come Sisifo, e costretto a spingere un masso in cima al monte e poi lasciarlo rotolare a valle e quindi riportarlo in cima all’infinito. In altre parole è una cretinata ergonomica: grande sforzo per non ottenere alcun risultato. Come corollario: quale credibilità, quale affidabilità può mai avere chi confonde tale evidenza quando poi si accinge a restaurare monumenti, se nulla sa di tecnologia costruttiva?

1. “Per la prima volta in Sardegna” -scrive David Ridgway (Quaderno 18, Torchietto, Ozieri, 1992) a proposito del restauro di Su Tempiesu, eseguito da M. A. Fadda “è stato possibile dimostrare la funzione puramente funzionale dei mammelloni destinati semplicemente a facilitare il maneggio dei blocchi per essere poi scalpellati via a fine opera”

 Nei conci dei pozzi possono trovarsi” -fa eco Contu- delle protuberanze mammelliformi alle quali un tempo gli archeologi davano significati magico-rituali, mentre deve trattarsi utile per il trasporto, per la messa in opera e per la lavorazione dei blocchi”.



2. Ancora nel 2008 Maria Ausilia Fadda riprende la tesi utilitaristica delle protuberanze, illustrando il restauro del complesso nuragico di Gremanu (Delfino editore, Sassari, 2008)

Per rafforzare questa mia convinzione del richiamo simbolico all’ermafrodita, ho poi proiettato i betili mammelliformi di Tamuli: fallo e seni compresenti di chiara simbologia androgina.

L’androgino, presso molte culture arcaiche, rappresenta la forza, la luce da cui ha origine la vita.

Rappresenta la divinità da cui tutto proviene. È la perfezione primordiale, la riunione di cielo e terra. Anche nel Simposio di Platone l’uomo era originalmente bisessuale.



3. I betili di Tamuli a presidio e auspicio di rinascita presso le tombe di giganti

La compresenza maschile/femminile nella simbologia dei pozzi e fonti nuragiche ci aiuta a capire i possibili riti di rigenerazione e fecondità che si potevano svolgere in questi templi, oltre che di purificazione sottesi alla sacralità dell’acqua, argomento su cui stiamo lavorando data la sua attualità per la comprensione del paesaggio nuragico.

Qualora infatti l’indagine archeologica e i reperti siano afoni e insufficienti a restituire il contesto sociale, culturale e religioso, altre discipline possono concorrere a restringere gli ambiti di aleatorietà. Mi riferisco alla storia delle religioni, dell’architettura e dell’arte; alla tecnologia costruttiva, alla psicologia, all’antropologia, all’astronomia, insomma a tutte le discipline dello spirito e della natura, perché l’uomo è un unicum, sommatoria e sintesi di discipline e l’archeologia da sola è impotente a restituirci l’uomo del passato, specie se si fonda solo su ciò che brilla sulla punta del piccone. Gli archeologi, chini a cercare e a catalogare cocci, dimenticano di sollevare qualche volta gli occhi al cielo.

 



4 e 5. Per sollevare alcuni grandi blocchi, es. Incas e architravi di templi, le protuberanze erano funzionali al sollevamento, ma si tratta di tonnellate, non di alcune decine di kilogrammi dei conci dei pozzi e fonti nuragiche.

Nuraghi, pozzi e fonti sacre e TdiG sono monumenti specifici e propri della civiltà nuragica. Un insieme che va indagato all’infuori di teorie belliche e utilitaristiche, ancora imperanti nell’archeologia sarda, se ci si vuole avvicinare al particolare paesaggio culturale, sociale, religioso e artistico di un millennio di storia assolutamente originale.

venerdì 17 gennaio 2025

PONTI NURAGICI ?!?!

 di Franco Laner

Sabato scorso, 11 gennaio 2025, ho partecipato ad un incontro a Settimo san Pietro organizzato dalla locale associazione archeologica Jenna Arcana che aveva per oggetto il culto dell’acqua nel periodo nuragico con interventi diversamente declinati dai relatori.

Nella sua relazione, l’archeologo, fra i vari manufatti, pozzi, fonti, cisterne, canalizzazioni nuragiche ha incluso anche i ponti. In particolare una dia mostrava il ponte dolmenico/nuragico sul rio Trogos (Paulilatino).

 

Fig.1 Il ponte nuragico/dolmenico dalla relazione dell’archeologo

Sono sobbalzato sulla sedia per la sorpresa: come, ponti in Sardegna prima delle strade romane?

I ponti sono opere complementari alle strade e quindi c’era una viabilità stradale nuragica? Ho visto piste antiche con solchi segnati da slitte e carri a sant’ Antonio Ruinas dove si erge uno straordinario e slanciato menhir, ma mi è nuova la viabilità nuragica.

 

Fig 2 Solchi di carro nei pressi del menhir di sant’Antonio Ruinas. sono diffusi in tutta la Sardegna e a mio parere si sono formati negli ultimi 2500 anni, ovvero dal periodo punico in poi.

Anche i sentieri possono aver necessità di passerelle, ma per passare un rio o un torrente si mettono alcuni tronchi d’albero accostati. Per passare un fiume si sono usate barche (traghetti), ma sono attestati anche ponti di barche unite fra loro sia nell’antichità e sia anche recentemente, ad esempio fino a poco tempo fa c’erano ponti di barche per automobili sul Po.

Subito ho pensato a un dolmen e che un rio avesse subito una deviazione. Ma appena ho guardato meglio si vede che per arrivare sopra la pietra apicale, ci son altri massi messi a gradino e che effettivamente è un ponte che permette il passaggio di pedoni agili o di capre. Non sicuramente anziani o mucche.

Sul trasporto e messa in opera delle pietre ortostatiche dei dolmen nel Neolitico ho scritto e ipotizzato diverse tecnologie. Stessa cosa per lo scavo, trasporto e posa delle pietre per i ciclopici nuraghi. Non ho dubbio che un nuragico sarebbe riuscito a fare un ponte dolmenico.

Ma non l’ha mai fatto semplicemente perché non sapeva cosa fosse un ponte! E nemmeno sapeva cosa fosse una strada di cui il ponte è opera d’arte, come lo sono i muri di sostegno, le cunette per l’acqua o i tornanti in caso di strade di montagna…

Se poi si sono visti dolmen, opera di ingegno e eccelsa arte, la pietra apicale non è solo grande, ma anche bella ed espressiva e anche quando non ha le facce parallele e planari, non è una pietra messa sopra come è stata trovata, bensì lavorata, seppur sommariamente. Ma soprattutto le pietre ortostatiche sono snelle e strette, oppure, piramidali, non come nel nostro caso, che sono massi rozzi e trovati lì vicino. In altre parole non c’è architettura, solo mera tettonica.

Fare una passerella con tali pesanti pietre è una stupidata. Esattamente come tagliare un albero per fare uno stecchino per pulirsi i denti.

In una frase allora il mio parere: il ponte nuragico è stato fatto non più di cinquant’anni fa con una pala meccanica per guadare il rio anche in caso di piena!

 

Fig. 3 Manifesto dell’incontro di Settimo san Pietro


L’altro argomento citato nel florilegio dei manufatti che interferiscono con l’acqua, utilitaristica o sacra, riguardava le dighe! A onor del vero, c’era un punto di domanda su questo tema. Perché se è stupido parlar di ponti dolmenici, parlar di dighe nuragiche sarebbe demenziale.

Eppure concepirei più una diga nuragica che un ponte. Per trasportare tronchi d’albero a valle, da secoli, da noi in montagna, ci si serviva dei torrenti, ma, essendo di poca portata, i tronchi si sarebbero incagliati. Allora si costruivano dighe di terra e nel bacino si mettevano i tronchi da trasportare. Poi la diga veniva aperta e la massa d’acqua trascinava i tronchi a valle.

Venezia è stata costruita coi tronchi fluitati, ma prima di arrivare ai fiumi e in laguna, c’era bisogno di stue, (dal latino stuere, stappare improvvisamente) e si sono costruite dighe di terra. A parte questa particolare ragione, un po' più seria dell’archeologia all’Hanna & Barbera dei ponti nuragici, anche le dighe si sono realizzate per avere riserva d’acqua per l’irrigazione e la distribuzione idrica per gli usi domestici e produttivi in tempi recenti. Al massimo i nuragici hanno realizzato canalizzazioni di qualche decina di metri per il recupero del troppo pieno di sacre acque di fonti.

Non escludo che qualche ruscello sia stato sbarrato, in antico e di recente, da rudimentali dighette per bagnarsi e refrigerarsi il cervello nei caldi estivi.