mercoledì 20 novembre 2019

Il contadino che indicava la luna recensione di Fabrizio Sarigu



Schopenhaur, il grande filosofo, amava sottolineare quanta poca considerazione ci fosse per chi approcciandosi allo studio di una disciplina, lo facesse per mero piacere personale, per diletto appunto. Solitamente si ritiene che solo la motivazione economica possa spingere ad uno studio approfondito, sistematico di una materia, al fine di trarne una professione e professionista è chi viene pagato per compiere questo. Eppure la parola dilettante, che definisce chi per diletto o piacere si dedica ad un qualcosa, nonostante venga usata con un retrogusto dispregiativo, se compresa nel profondo, definisce una condizione che ha del sublime. Indica infatti l’amore per una passione, per una materia, per l’attitudine al conoscere e al comprendere, dove unica ricompensa sta nella sensazione di autorealizzazione che si ricava dal dedicarsi a qualcosa che in ultima analisi, si ama.

Così questo nuovo lavoro di Paolo Littarru, ingegnere per l’ambiente e il territorio, dottore di ricerca in Ingegneria chimica per l’ambiente e la sicurezza e specializzato in Sicurezza e protezione industriale presso la Sapienza – Università di Roma, cultore di archeologia e archeoastronomia è coautore della Guida archeoastronomica al nuraghe Santu Antine di Torralba (Agorà Nuragica, 2003), “Il contadino che indica la luna” è il racconto, essendone egli stato partecipe, di un viaggio intellettuale che un dilettante in archeologia, giacchè di professione contadino, Mauro Peppino Zedda, ha compiuto, per difendere e diffondere un’idea.

L’evolversi della vicenda trae origine a partire, come spesso avviene nelle scienze, da un’intuizione poi rivelatasi corretta: l’esistenza di una “ratio” astronomica nella distribuzione dei nuraghi nel territorio. Ma come reagì l’accademia quando galileo propose il suo modello eliocentrico in guisa di quello geocentrico? come reagì l’accademia quando un umile impiegato dell’ufficio brevetti svizzero propose la “teoria della relatività”? ecco che il viaggio del nostro protagonista non può non essere privo di ostacoli, trabocchetti, mostri da affrontare e paure da vincere.

Nemo propheta in patria. Questa storia ha infatti la bizzarra caratteristica per la quale il mondo archeoastronomico/accademico internazionale ha riconosciuto e fatte proprie le idee del nostro contadino/dilettante, inserendo queste in articoli scientifici e pubblicazioni di spessore mondiale. Ma in Patria? Beh in patria egli appunto non è “propheta”.

L’archeologia sarda accademica ha respinto totalmente e in totale chiusura queste scoperte, arroccandosi, è proprio il caso di dirlo!, nel paradigma del “nuraghe fortezza” dal quale solo ora e molto timidamente cerca di fuoriuscire. L’autore analizza dunque questo evento storico culturale, la morte del paradigma di riferimenti dell’archeologia sarda e il lento passaggio verso un nuovo sistema interpretativo che dovrà, evidentemente, avere come punto di partenza le scoperte del nostro contadino/dilettante.

L’opera racchiude in se e riassume un ventennio di scoperte, confronti, liti, incomprensioni e amore per la verità scientifica la dove emerge incontrovertibile. La lotta quindi di una “nuova visione delle cose” che si fa largo, forte di se stessa, in un mondo che la ostacola, arroccato in concezioni vecchie, superate, ma che evidentemente forniscono ai professionisti sicurezza, giacché non implicano la necessità di doversi ripensare ciò che è dato.

L’opera di Paolo immerge il lettore in questo viaggio che potremmo definire un’avventura culturale e umana, dove varie altre figure, oltre al nostro contadino ( quali il nostro ingegnere, il nostro linguista, il nostro architetto il nostro storico delle religioni e il nostro giovane archeologo) rubano per diletto la “piccozza” dell’archeologo e cercano di demolire un muro di incomprensione che impedisce alla nostra storia di emergere in tutta la sua bellezza.

Il panorama archeologico e culturale sardo aveva proprio bisogno di un’opera capace, in maniera concisa e diretta, di descrivere, quasi in una sorta di autoanalisi, il dramma che la sostituzione del vecchio paradigma inevitabilmente comporta nel contesto che lo vive. Il lettore potrà trovare in esso le principali teorie e concezioni che sussumono la nuova visione del mondo nuragico, riportate e scandite in maniera cronologica e con una sequenzialità di ragionamento ineccepibile, da qui, se ne avrà diletto, potrà approfondire la visione di ciascun autore ricercandone le opere. L’opera appare dunque quasi come una bussola che laddove ci si senta sperduti, giunge in soccorso guidandoci e fornendo un’immancabile occasione per comprendere meglio il nostro passato.

Nessun commento:

Posta un commento