martedì 6 ottobre 2020

E dagli col nuraghe = castello-fortezza, madre di ogni sciocchezza

 

 

di Franco Laner

 

Archeologia Viva n.203, sett-ott 2020

Articolo di Giorgio Murru, coordinatore Scientifico Fondazione Barumini. direttore Polo museale Sanluri, direttore Museo Laconi.

Vetrina per il pluridirettore Murru dove si evocano “Spiriti e dei nella Sardegna preistorica”, (titolo articolo) con aggiunzioni poetiche che fan venire il latte alle ginocchia. Non sono riuscito a finir di leggere il testo, perché mi sono bastate e avanzate le didascalie, delle invero molto belle foto di Nicola Castangia

Apprendo, intanto, che nella domus S’incantu di Putifigari si rimane sbalorditi difronte a tanta meraviglia. Lontani germi del Rinascimento sembrano manifestarsi nella fusione armonica di religione e arte… mentre -più avanti – il portello della domus di Tracucu è incorniciato in una centina (centina = struttura provvisoria di legno che serve per sostenere gli archi e le volte durante la costruzione, v. Vocabolario Treccani) che esprime la scelta dell’artista di inserire un elemento di novità. Che genio quest’uomo! È consapevole di violare la sacralità del luogo

Ma ha mai pensato il direttore che quella chiama centina - che volgare definizione! – non sia la volta del cielo?

E’ sui nuraghi però che il Nostro dà sfogo all’accumulo culturale finalmente liberato:

essi sono la più alta espressione architettonica del megalitismo nel Mediterraneo occidentale

Direttore, non è megalitismo, bensì opera ciclopica. I betili appartengono al megalitismo, anche i dolmen, ma non i nuraghi.

La distinzione è fondamentale per gli archeologi mondiali (v. Le Scienze, n. 145, 1980, art. di Glyn Daniel “I monumenti megalitici”). Col megalitismo si dà definizione e funzione ad un’opera con pochissimi elementi lapidei, mentre con molti elementi l’opera è ciclopica. Entrambi fanno comunque uso di grandi pietre.

L’aggettivo architettonico lo userei per qualche nuraghe, esempio Is Paras, ma per Barumini basta e avanza l’aggettivo tettonico. Altrimenti dovrei dire che tutte le case sono architettura, mentre la totalità è solo edilizia, costruzione, e non appartengono alla creazione dello spirito. Altrimenti si confonde architettura con costruzione, arte con tecnologia.

Ma ciò che davvero mi rinnova profondo rammarico, sempre sui nuraghi, è il riferimento al fortissimo Giovanni Lilliu, padre della moderna (finalmente d’accordo: moderna, non contemporanea) archeologia che all’ombra delle mura ciclopiche di quel che possiamo definire il primo castello del mondo occidentale...

Il nostro direttore, anche lui moderno, non si è accorto che i nuraghi non appartengono al profano, ma al sacro. Vogliamo fare una prova: alzino la mano gli archeologi che pensano oggi che i nuraghi siano fortezze, castelli, o giù di lì!

Qualcuno ha alzato la mano? Sono quelle degli aspiranti accademici o soprintendenti.

Quando affermo che una tale visione provoca distorsioni a catena, lo dimostro semplicemente riportando una frase di un’altra didascalia dell’articolo. Scrive il Nostro a proposito delle statue-menhir a fronte della tomba-menhir di Aiodda: entrambe armate con pugnale sono il corpo di guardia a protezione dei defunti.

Immediatamente il pugnale è legato ad un’arma. Mentre più spesso è solo un oggetto sacrificale o un oggetto d’uso. Ma chi ha in mente il bellicoso e guerrafondaio nuragico non può che rimanere prigioniero del nuraghe-fortezza o dei castelli feudali medioevali. Questa visione è stata (e lo è tutt’ora) il più serio ostacolo alla ricerca sulla civiltà nuragica.

Infine, scopro, dopo i modelli di nuraghe con terrazzo quadrato di Monte Prama, che i giganti hanno il volto coperto da una maschera aderente, forse in cuoio…

 

 

Azzardo: lontani germi – per usare l’espressione enfatica del direttore – dei mamuthones!

O, se vogliamo, precursori del covid 19.

Non c’è dunque soluzione di continuità.

Mi verrebbe da dire, pensando a Lilliu: magari fossimo ancora intrappolati nei risibili

paradigmi taramelliliani: c’è di peggio: i gamberi, purtroppo, sono fra noi.

Franco Laner

Venezia 6 ottobre 2020

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