venerdì 27 marzo 2015
Religione e Spiritualità nella Sardegna Nuragica
di Fabrizio Sarigu
Il libro Religione e Spiritualità della Sardegna Nuragica (2014) di Alessandro Mannoni, prima opera dell’autore formatosi in filosofia e storia delle religioni, si prefigge l’obbiettivo della ricostruzione della fenomenologia del sacro in Sardegna nel periodo tra il II millennio a.C e il I millennio a.C , che vede, secondo gli inquadramenti cronologici più accreditati, l’estrinsecarsi della principale civiltà autoctona dell’isola, la civiltà nuragica.
Gli studi condotti in ambito accademico sulla civiltà Nuragica non sono a ogni buon conto giunti a formulare in maniera compiuta una “storia della religione protosarda” , nonostante i dati paleoetnologici, archeologici e filologici fin qui acquisiti. In effetti è possibile menzionare il pionieristico lavoro di Raffaele Pettazzoni, fra i più eminenti storici delle religioni degli inizi del ‘900, che per primo si cimentò nell’impresa di delineare una preliminare organizzazione e interpretazione, nell’ottica della fenomenologia del sacro, del materiale archeologico fin li riscoperto. Dopo questo primo ammirevole tentativo, ancorché da contestualizzarsi nei limiti scientifici e nei pregiudizi evoluzionistici tipici delle teorie antropologiche dell’epoca, il mondo accademico sembra aver trascurato la necessità di analizzare in modo più approfondito le forme della religiosità arcaica sarda accontentandosi di una comprensione sommaria e pressapochista, accostandosi ad essa con una certa superficialità e frettolosità. Infatti non si riscontrano altri specialisti in storia delle religioni che si siano accostati al problema e l’ambiente archeologico sardo continua a palesare dei limiti di formazione (e quindi preparazione)consistenti, accanendosi nello snobbare, entro i curricula universitari previsti per gli archeologi, la creazione di almeno un corso di storia delle religioni o di fenomenologia del sacro. Questo affinché gli specialisti del settore siano preparati a riconoscere i segni della spiritualità nei segni materiali che i nostri antenati ci hanno lasciato, sulla cui analisi si concentra piuttosto tutta la loro professionalità (fortunatamente alcuni avvertono la lacuna colmandola autonomamente). Invero alcuni autori come Zervos e Lilliu si sono cimentati in queste problematiche all’interno però di un discorso descrittivo più ampio inerente l’esposizione della civiltà sarda nel suo complesso, limitandosi quindi a qualche capitolo, quantunque in alcuni casi non manchino interessanti intuizioni. Pare quindi riscontrare uno strano vuoto conoscitivo e di settore di interesse che lascia straniti e confusi, potendo cogliere quanto sia fondamentale la comprensione della spiritualità di un popolo per la ricostruzione storica e archeologica dello stesso.
Questa sorta di silenzio è stato così colmato da studiosi di altre discipline, architetti, archeoastronomi, antropologi, linguisti, psicologi che, sensibili al fascino di questo argomento e attraverso la ricchezza di un approccio multidisciplinare, hanno cercato di apportare contributi di crescita e di innovazione alla ricostruzione del sacro arcaico sardo.
L’autore può dunque essere inserito entro questo filone di ricerca, non prettamente accademica, ma che è stata capace comunque di apportare contributi estremamente interessanti alla comprensione di questo fenomeno, contributi di cui anche il mondo accademico, timidamente, inizia ad interessarsi. L’argomentazione di Mannoni muove a partire dalla constatazione, condivisa anche da altri autori, che la civiltà nuragica debba essere meglio divisa in due macroperiodi, il cui momento di discontinuità si individua nel passaggio a cavallo tra i secoli del bronzo finale e dell’età del ferro. In questa fase vi sarebbe stata una vera e propria rivoluzione religiosa che segnò il passaggio da una religiosità aniconica e tendente all’astratto verso una palesemente iconica tipica delle civiltà affacciantisi nel mediterraneo dell’epoca. A partire da ciò, l’opera si articola in due parti, ciascuna delle quali cerca di analizzare le specificità, nelle manifestazioni del sacro, delle suddette fasi storiche. Così, la prima fase, che interessa la maggior parte del II millenio e che potrebbe dirsi propriamente nuragica, appare fondata su una visione aniconica e astratta del sacro, tipica del megalitismo occidentale, centrata su un culto cosmico/astrale legato alla struttura dello spazio e del tempo e delle relazioni fra essi, attraverso un processo quasi ossessivo di cosmizzazione del territorio (che automaticamente ne ottiene l’antropizzazione). Tale cosmizzazione concretamente fu ottenuta mediante la riproduzione di un modello geometrico astratto quale icona cosmica ideale, il nuraghe come “montagna sacra”, che avvicinando “il cielo in terra” consente all’uomo arcaico di sentirsi partecipe in maniera totalizzante del creato. Per contro la fase seguente, come precisato collocabile temporalmente nell’età del ferro in cui crebbero i contatti con l’oriente, si caratterizza per un costante ma inarrestabile passaggio verso un’ antropomorfizzazione della divinità. Cade il tabù della rappresentazione della divinità, l’iconicismo si fa imperante e viene a delinearsi un pantheon più simile alla moda orientale, quindi ora necessariamente più ricco di relative specializzazioni in termini di culti e riti e con una divisione ormai netta e marcata fra sacro e profano.
Proprio nella difficoltà di riconoscere la forma di una spiritualità aniconica nei segni materiali e nell’evoluzione dello spirito arcaico verso l’iconicismo dei vecchi luoghi di culto nell’età del ferro, con l’effetto di indurre in errore l’accademia giacché gli stessi segni materiali si fanno ora invece più facilmente riconoscibili, risiede l’equivoco di non aver potuto riconoscere nel nuraghe il valore cultuale che ebbero fin ab origo, violentando la spiritualità di una civiltà e rendendola irriconoscibile nascosta dentro un “nuraghe fortezza”.
L’opera, qui necessariamente semplificata e si rimanda ad una approfondita lettura al fine di poter cogliere le compiute argomentazioni proposte, si presenta con un linguaggio preciso, tecnico ma comunque di facile lettura, che accompagna il lettore in un viaggio all’interno della spiritualità dell’arcaico sardo, restituendo, finalmente ad una civiltà così importante, anche la dignità religiosa e spirituale che il paradigma tamarel-lilliano del nuraghe fortezza ha inevitabilmente mistificato e confuso. Tuttavia allo stesso tempo a parere di chi scrive l’opera non presenta ancora quelle caratteristiche di compiutezza di cui si auspica l’arrivo all’interno della ricerca del sacro arcaico sardo. Si tratta di un ulteriore passo avanti, ma si sente la mancanza entro l’opera di un dialogo e un confronto fra le idee precedenti, con spirito critico e analitico, che oltre a riportare la propria visione del problema giunga a delineare un quadro d’insieme di tutte le proposte, anche precedenti temporalmente, dell’arcaico sacro, restituendone una cornice unitaria della storia della religione protosarda.
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