di
Franco Laner
Prendo
lo spunto per riesumare un mio articolo del 2002 che scrissi su “La
Voce del Logudoro”, organo della diocesi di Ozieri, da alcune foto
postate da Giovanni Sotgiu su suo sito Facebook a metà novembre
2020.
Non sono un frequentatore
di social, ma ogni tanto mi arrivano delle notifiche sulla posta ed
allora vado a vedere. Ebbene ho visto le belle foto di siti
archeologici di Sotgiu, con commenti vari, anche di amici, come
l’ing. Angelo Saba. Belle foto, ma quasi sempre prive di commenti,
tal che il primo intervento è sempre: E inue est? Dov’è ‘sta
tomba? Dov’è ‘sto nuraghe? E mi chiedo se ha senso una bella
foto senza commento, descrizione, impressione. Poi si scatenano i
commenti più o meno deliranti: una foto di una interessantissima
sperimentazione forestale, voluta dal grande forestale Pavari nel
1935, a Sa Fraigada, ad un tiro di schioppo dalle TdiG di cui tratto,
che piantò sperimentalmente alberi di Pino laricio nel terreno
granitico, come quello calabrese dove il pino laricio è autoctono,
viene preso per Sequoia. Sequoia in Sardegna? Ebbene sì, ma sul
Limbara, piantati (si dice il Sequoia, in onore del capo Sioux, che
aveva imparato l’inglese) a metà del 1800.

Foto
di apertura dal sito di Giovanni Sotgiu, sa Presone I
Così dunque scrivevo a
proposito del bellissimo sito archeologico ed ambientale.
Gli occhi curiosi ed
indagatori dell’archeologo Mackenzie, che girò l’Isola
all’inizio dello scorso secolo, si sono posati sulla tomba
dolmenica di Su Coveccu, appena sotto la caserma Sa Pruna, in agro di
Bultei, forse non accorgendosi che solo a qualche decina di metri più
ad est c’erano due Tombe di Giganti e poco più a Nord un’altra
Tomba. La zona è altresì ricca di nuraghi (Sa Paule, Puleju,
Chiricuzzu…) ed altri indicativi resti di manufatti preistorici.
Di Su Coveccu, il
Mackenzie ci ha lasciato una pianta e due sezioni, disegni che
descrivono i resti di un dolmen, caratterizzato appunto da lastre
ortostatiche e lastra apicale.
Il luogo è molto
suggestivo e credo che a molti piacerebbe starci per l’eternità:
dolce nella morfologia, ricco d’acque sorgive (ad esempio la
Fontana S’Abba ‘e Selighe), riparato dai venti e ora regno di
promettenti sughere e buoni pascoli. L’Amministrazione comunale di
Bultei ha inserito tale sito in un percorso turistico-archeologico
per valorizzare sia l’ambiente naturale –altre volte ho parlato
del “cuore verde della Sardegna nuragica”, che ha il suo
fulcro a Sa Fraigada- e le preesistenze archeologiche, numerose e
singolari, che il territorio bulteino conta, assieme ai limitrofi
Comuni del Goceano.
Le
Tombe di Giganti di Sas Presones si trovano appena sotto la caserma
della Forestale di Sa Pruna, fra Nughedu e Bultei. Nel particolare
IGM: 1. Su Coveccu, 2. Sa Presone I, 3. Sa Presone II
Su
Coveccu. Il disegno di Meckenzie e lo schizzo assonometrico
interpretativo dello stesso. Ora la lastra di copertura giace rotta
qualche metro più sotto e non ci sono più le pietre ortostatiche.
Non è facile dire se questo monumento fosse un dolmen
successivamente riadattato o se sia già nato come Tomba di Giganti
Rilevo
di Sas Presones eseguito dallo studio del geom. Vincenzo Lai di
Ozieri. La datazione cronologica fra le due Tombe potrebbe essere di
grande aiuto per la comprensione di questi monumenti
Il percorso che
l’amministrazione voleva valorizzare interessa appunto anche la
necropoli –esagero, ma non è facile trovare tante tombe
così vicine- è stato oggetto di scavo, iniziato nel 2001, delle due
Tombe, Sa Presone I e Sa Presone II.
Ecco, è proprio sugli
scavi che voglio esprimere il mio pensiero, che è un pensiero che si
è venuto formando soprattutto da quando ho visto lo strazio del
nuraghe Sa Mandra de sa Jua a S. Nicola di Ozieri.
Individuato un sito,
ottenuti i finanziamenti, gli ingordi archeologi portano alla luce
ciò che il tempo, lento giardiniere, ha sepolto e conservato. Si
procede “scientificamente”, mettendo in evidenza i vari strati,
registrando i reperti ed i cocci, fin che, ad un certo punto, come
una scure, si abbatte una notizia ferale: non ci sono più
soldi! Laddove si udiva appena il frusciare della scopina che
ripuliva l’affiorante curva di un coccio, con l’inevitabile
aumento del pulsare cardiaco, piomba il silenzio e l’abbandono.Anche se l’evento era
annunciato, pure è tale che ogni azione si arresta. Il labile
recinto dello scavo rimane l’unico custode di un corpo semisvelato
che ricomincia ad essere protetto dal tempo, che con nuova pazienza
ricopre il luogo e con lui, l’oblio.A volte c’è un
sussulto, dato dall’ultima visita di tombaroli che trovano la
strada aperta…Cosa ha prodotto lo scavo?
Oltre all’evidente danno dato dalla nuova esposizione all’ingiuria
del tempo, ci dovrebbe essere almeno il conforto della relazione di
scavo, dell’elenco dei reperti, dalle nuove acquisizioni. Campa
cavallo…A Sas Presones si è
ripetuta la sceneggiata. Il sito è stato scavato, si è evidenziata
la consistenza delle due tombe ed il luogo è stato quindi
abbandonato…Sono finiti i soldi? No! E allora? Siamo al punto che
la prassi di abbandonare gli scavi intrapresi, dovuta alla mancanza
di fondi, diventa regola anche se i fondi ci sono ancora!A volte ho maliziosamente
pensato che anche gli archeologi siano mentalmente dei tombaroli:
l’interesse è per il ritrovamento, per lo scoop. Se non c’è,
non ne deriva riconoscimento… Di piantare in asso un
lavoro è dunque una regola assai diffusa. Ma anche se un solo scavo
fosse impropriamente interrotto sarebbe deplorevole, perché mai
avrebbe dovuto iniziare. In gran parte del mondo si chiede con forza
una moratoria degli scavi e si chiede a gran voce di catalogare le
tante casse di reperti abbandonate nei depositi delle Soprintendenze,
di scrivere le relazioni di scavo e di cercar di tutelare e
proteggere i tanti siti buttati per aria in questi ultimi anni. Trovato ciò che si
sperava, o viceversa delusi, il monumento non riveste più alcuna
importanza, tanto meno ci si cura di proteggere ciò che si è
scoperto. E si abbandona al degrado.
Ciò - per me - è,
culturalmente e socialmente, sacrilego ed immorale.
Si vada, e concludo con
questo discorso, a far visita al già citato Sa Mandra de sa Jua, che
da sito protetto dalla madre terra, ora è un cesso a cielo aperto
(la parola non è volgare, è volgare chi ha fatto si che tale
diventasse un monumento) e neanche una riga è stata scritta
sull’esito di questo scavo. Diversi anni fa, venti circa, chiesi la
pianta del nuraghe, sia all’assessore alla cultura del Comune di
Ozieri che finanziò lo scavo, sia alla Soprintendenza di Sassari.
Ancora sto aspettando!Tornando a Sas Presones
penso che, per chi abbia scelto di fare l’archeologo, le (è una
signora che ha diretto gli scavi, tale Chiara Satta, archeologa della
Soprintendenza di Sassari)) sia stata offerta una opportunità. Come
dicevo all’inizio, il luogo induce, proprio dal punto di vista
archeologico, morfologico ed ambientale, alla ricerca,
all’acquietamento spirituale, alla calma e serenità. Le tre tombe
lo rendono enigmatico ed entusiasmante, sicura premessa a nuove
conoscenze.
Infatti, oltre alla
presenza di Su Coveccu, ci sono due tombe, l’una che quasi si
sovrappone all’altra. Una che è più grande ed è del tipo senza
la cosiddetta stele centinata e probabilmente anche l’altra, forse
precedente, ma è solo un giudizio non supportato da altri elementi,
come quelli di scavo.
Fra Su Coveccu e Sas
Presones, più vicino a Su Coveccu, c’è un concio a dentelli. Da
quale delle tombe provenga è difficile ipotizzare, può darsi
benissimo anche dall’ex dolmen, riutilizzato a tomba, poiché se
anche il disegno del Mackenzie raffigura un dolmen, i resti indicano
piuttosto una pianta di Tomba di Giganti, come peraltro si legge
anche nel disegno, dove si vede la parte absidata, impropria per un
dolmen.
Il
concio a dentelli. Sarebbe interessante conoscere se proviene da Sas
Presones o da Su Coveccu
Entrambe le tombe scavate
mettono in luce l’apparecchio murario classico del nuragico: filari
con grandi conci che progressivamente sbalzano verso l’alto,
restringendo la luce libera fra i due muri, chiusi superiormente da
lastre semplicemente appoggiate.
Il corpo sepolcrale di Sa
Presone I, così si può leggere superficialmente, è caratterizzato
da un tumulo, enfatizzato da grandi massi e lastre, a mò di guscio
di tartaruga. Nella piccola, il tumulo è caratterizzato da pietre
più minute.
Tante altre sono le
domande che pongono i resti di questi straordinari monumenti, unicum
al mondo e forse un po’ trascurati dagli archeologi che si
interrogano più sui nuraghi che sulle Tombe di Giganti.
Sa
Presone II al momento dell’abbandono degli scavi.
Si
noti la grande cura nel chiudere l’apparecchio murario
Sa
Presone I a dicembre 2002. L’esedra è stata pulita ed il
monumento si può leggere nella sua interezza. Nella foto dal
monumento si notano i cosiddetti “sedili”, che affiancano un
corno dell’esedra
I due rami dell’esedra
hanno un raccordo col terreno che viene definito “sedile”,
immaginando che lì si sedesse chi assisteva alle cerimonie funebri.
Ho provato a sedermi: come sedile è decisamente scomodo e dopo un
po’ fanno male le parti molli: forse i nostri progenitori erano
così diversi?
L’apparecchio murario
della “piccola”, pur appartenendo alla tecnica muraria nuragica e
ciclopica, ha particolare cura nella chiusura delle connessioni di
sovrapposizione dei conci, quasi a voler ricreare la lastra liscia e
continua, di dolmenica memoria. E’ forse un anello di passaggio fra
dolmenico e nuragico? Il pavimento della “grande” è di terra
battuta, o ci sono lastre? Che reperti sono venuti alla luce? Che
frequentazione temporale hanno avute le Tombe? Si può sapere di più
sui betili che si infilavano nei dentelli del concio? Ecc., ecc.
Certo pretendere da uno scavo tante risposte sarebbe velleitario. Ma
nemmeno il silenzio mi pare giustificato.
Se si vuole valorizzare un
sito - e questa è l’intenzione dell’Amministrazione di Bultei -
è necessario avviare un processo di conoscenza ed un confronto
serrato: solo in questo modo si potranno far parlare le pietre di Sas
Presones e Su Coveccu, che altrimenti resteranno mute e nulla diranno
ai visitatori e studiosi.
Saranno, come sono stati
fin’ora, mucchi di pietre.
Sono però convinto che
parleranno, ma prima dobbiamo convincerci che fare l’archeologo non
è un mestiere: è una missione.