sabato 6 febbraio 2021

Tombe di Giganti a Sos Lados de Pruna, Bultei

di Franco Laner

Prendo lo spunto per riesumare un mio articolo del 2002 che scrissi su “La Voce del Logudoro”, organo della diocesi di Ozieri, da alcune foto postate da Giovanni Sotgiu su suo sito Facebook a metà novembre 2020.

Non sono un frequentatore di social, ma ogni tanto mi arrivano delle notifiche sulla posta ed allora vado a vedere. Ebbene ho visto le belle foto di siti archeologici di Sotgiu, con commenti vari, anche di amici, come l’ing. Angelo Saba. Belle foto, ma quasi sempre prive di commenti, tal che il primo intervento è sempre: E inue est? Dov’è ‘sta tomba? Dov’è ‘sto nuraghe? E mi chiedo se ha senso una bella foto senza commento, descrizione, impressione. Poi si scatenano i commenti più o meno deliranti: una foto di una interessantissima sperimentazione forestale, voluta dal grande forestale Pavari nel 1935, a Sa Fraigada, ad un tiro di schioppo dalle TdiG di cui tratto, che piantò sperimentalmente alberi di Pino laricio nel terreno granitico, come quello calabrese dove il pino laricio è autoctono, viene preso per Sequoia. Sequoia in Sardegna? Ebbene sì, ma sul Limbara, piantati (si dice il Sequoia, in onore del capo Sioux, che aveva imparato l’inglese) a metà del 1800.

 

Foto di apertura dal sito di Giovanni Sotgiu, sa Presone I

Così dunque scrivevo a proposito del bellissimo sito archeologico ed ambientale.

Gli occhi curiosi ed indagatori dell’archeologo Mackenzie, che girò l’Isola all’inizio dello scorso secolo, si sono posati sulla tomba dolmenica di Su Coveccu, appena sotto la caserma Sa Pruna, in agro di Bultei, forse non accorgendosi che solo a qualche decina di metri più ad est c’erano due Tombe di Giganti e poco più a Nord un’altra Tomba. La zona è altresì ricca di nuraghi (Sa Paule, Puleju, Chiricuzzu…) ed altri indicativi resti di manufatti preistorici. 

Di Su Coveccu, il Mackenzie ci ha lasciato una pianta e due sezioni, disegni che descrivono i resti di un dolmen, caratterizzato appunto da lastre ortostatiche e lastra apicale.

Il luogo è molto suggestivo e credo che a molti piacerebbe starci per l’eternità: dolce nella morfologia, ricco d’acque sorgive (ad esempio la Fontana S’Abba ‘e Selighe), riparato dai venti e ora regno di promettenti sughere e buoni pascoli. L’Amministrazione comunale di Bultei ha inserito tale sito in un percorso turistico-archeologico per valorizzare sia l’ambiente naturale –altre volte ho parlato del “cuore verde della Sardegna nuragica”, che ha il suo fulcro a Sa Fraigada- e le preesistenze archeologiche, numerose e singolari, che il territorio bulteino conta, assieme ai limitrofi Comuni del Goceano.


 
Le Tombe di Giganti di Sas Presones si trovano appena sotto la caserma della Forestale di Sa Pruna, fra Nughedu e Bultei. Nel particolare IGM: 1. Su Coveccu, 2. Sa Presone I, 3. Sa Presone II

 Su Coveccu. Il disegno di Meckenzie e lo schizzo assonometrico interpretativo dello stesso. Ora la lastra di copertura giace rotta qualche metro più sotto e non ci sono più le pietre ortostatiche. Non è facile dire se questo monumento fosse un dolmen successivamente riadattato o se sia già nato come Tomba di Giganti

 Rilevo di Sas Presones eseguito dallo studio del geom. Vincenzo Lai di Ozieri. La datazione cronologica fra le due Tombe potrebbe essere di grande aiuto per la comprensione di questi monumenti

Il percorso che l’amministrazione voleva valorizzare interessa appunto anche la necropoli –esagero, ma non è facile trovare tante tombe così vicine- è stato oggetto di scavo, iniziato nel 2001, delle due Tombe, Sa Presone I e Sa Presone II.

Ecco, è proprio sugli scavi che voglio esprimere il mio pensiero, che è un pensiero che si è venuto formando soprattutto da quando ho visto lo strazio del nuraghe Sa Mandra de sa Jua a S. Nicola di Ozieri.

Individuato un sito, ottenuti i finanziamenti, gli ingordi archeologi portano alla luce ciò che il tempo, lento giardiniere, ha sepolto e conservato. Si procede “scientificamente”, mettendo in evidenza i vari strati, registrando i reperti ed i cocci, fin che, ad un certo punto, come una scure, si abbatte una notizia ferale: non ci sono più soldi! Laddove si udiva appena il frusciare della scopina che ripuliva l’affiorante curva di un coccio, con l’inevitabile aumento del pulsare cardiaco, piomba il silenzio e l’abbandono.Anche se l’evento era annunciato, pure è tale che ogni azione si arresta. Il labile recinto dello scavo rimane l’unico custode di un corpo semisvelato che ricomincia ad essere protetto dal tempo, che con nuova pazienza ricopre il luogo e con lui, l’oblio.A volte c’è un sussulto, dato dall’ultima visita di tombaroli che trovano la strada aperta…Cosa ha prodotto lo scavo? Oltre all’evidente danno dato dalla nuova esposizione all’ingiuria del tempo, ci dovrebbe essere almeno il conforto della relazione di scavo, dell’elenco dei reperti, dalle nuove acquisizioni. Campa cavallo…A Sas Presones si è ripetuta la sceneggiata. Il sito è stato scavato, si è evidenziata la consistenza delle due tombe ed il luogo è stato quindi abbandonato…Sono finiti i soldi? No! E allora? Siamo al punto che la prassi di abbandonare gli scavi intrapresi, dovuta alla mancanza di fondi, diventa regola anche se i fondi ci sono ancora!A volte ho maliziosamente pensato che anche gli archeologi siano mentalmente dei tombaroli: l’interesse è per il ritrovamento, per lo scoop. Se non c’è, non ne deriva riconoscimento… Di piantare in asso un lavoro è dunque una regola assai diffusa. Ma anche se un solo scavo fosse impropriamente interrotto sarebbe deplorevole, perché mai avrebbe dovuto iniziare. In gran parte del mondo si chiede con forza una moratoria degli scavi e si chiede a gran voce di catalogare le tante casse di reperti abbandonate nei depositi delle Soprintendenze, di scrivere le relazioni di scavo e di cercar di tutelare e proteggere i tanti siti buttati per aria in questi ultimi anni. Trovato ciò che si sperava, o viceversa delusi, il monumento non riveste più alcuna importanza, tanto meno ci si cura di proteggere ciò che si è scoperto. E si abbandona al degrado.

Ciò - per me - è, culturalmente e socialmente, sacrilego ed immorale.

Si vada, e concludo con questo discorso, a far visita al già citato Sa Mandra de sa Jua, che da sito protetto dalla madre terra, ora è un cesso a cielo aperto (la parola non è volgare, è volgare chi ha fatto si che tale diventasse un monumento) e neanche una riga è stata scritta sull’esito di questo scavo. Diversi anni fa, venti circa, chiesi la pianta del nuraghe, sia all’assessore alla cultura del Comune di Ozieri che finanziò lo scavo, sia alla Soprintendenza di Sassari. Ancora sto aspettando!Tornando a Sas Presones penso che, per chi abbia scelto di fare l’archeologo, le (è una signora che ha diretto gli scavi, tale Chiara Satta, archeologa della Soprintendenza di Sassari)) sia stata offerta una opportunità. Come dicevo all’inizio, il luogo induce, proprio dal punto di vista archeologico, morfologico ed ambientale, alla ricerca, all’acquietamento spirituale, alla calma e serenità. Le tre tombe lo rendono enigmatico ed entusiasmante, sicura premessa a nuove conoscenze. 

Infatti, oltre alla presenza di Su Coveccu, ci sono due tombe, l’una che quasi si sovrappone all’altra. Una che è più grande ed è del tipo senza la cosiddetta stele centinata e probabilmente anche l’altra, forse precedente, ma è solo un giudizio non supportato da altri elementi, come quelli di scavo.

Fra Su Coveccu e Sas Presones, più vicino a Su Coveccu, c’è un concio a dentelli. Da quale delle tombe provenga è difficile ipotizzare, può darsi benissimo anche dall’ex dolmen, riutilizzato a tomba, poiché se anche il disegno del Mackenzie raffigura un dolmen, i resti indicano piuttosto una pianta di Tomba di Giganti, come peraltro si legge anche nel disegno, dove si vede la parte absidata, impropria per un dolmen.

Il concio a dentelli. Sarebbe interessante conoscere se proviene da Sas Presones o da Su Coveccu


Entrambe le tombe scavate mettono in luce l’apparecchio murario classico del nuragico: filari con grandi conci che progressivamente sbalzano verso l’alto, restringendo la luce libera fra i due muri, chiusi superiormente da lastre semplicemente appoggiate.

Il corpo sepolcrale di Sa Presone I, così si può leggere superficialmente, è caratterizzato da un tumulo, enfatizzato da grandi massi e lastre, a mò di guscio di tartaruga. Nella piccola, il tumulo è caratterizzato da pietre più minute.

Tante altre sono le domande che pongono i resti di questi straordinari monumenti, unicum al mondo e forse un po’ trascurati dagli archeologi che si interrogano più sui nuraghi che sulle Tombe di Giganti.

 

Sa Presone II al momento dell’abbandono degli scavi.  

 

 Si noti la grande cura nel chiudere l’apparecchio murario

 

 Sa Presone I a dicembre 2002. L’esedra è stata pulita ed il monumento si può leggere nella sua interezza. Nella foto dal monumento si notano i cosiddetti “sedili”, che affiancano un corno dell’esedra

I due rami dell’esedra hanno un raccordo col terreno che viene definito “sedile”, immaginando che lì si sedesse chi assisteva alle cerimonie funebri. Ho provato a sedermi: come sedile è decisamente scomodo e dopo un po’ fanno male le parti molli: forse i nostri progenitori erano così diversi?

L’apparecchio murario della “piccola”, pur appartenendo alla tecnica muraria nuragica e ciclopica, ha particolare cura nella chiusura delle connessioni di sovrapposizione dei conci, quasi a voler ricreare la lastra liscia e continua, di dolmenica memoria. E’ forse un anello di passaggio fra dolmenico e nuragico? Il pavimento della “grande” è di terra battuta, o ci sono lastre? Che reperti sono venuti alla luce? Che frequentazione temporale hanno avute le Tombe? Si può sapere di più sui betili che si infilavano nei dentelli del concio? Ecc., ecc. Certo pretendere da uno scavo tante risposte sarebbe velleitario. Ma nemmeno il silenzio mi pare giustificato. 

Se si vuole valorizzare un sito - e questa è l’intenzione dell’Amministrazione di Bultei - è necessario avviare un processo di conoscenza ed un confronto serrato: solo in questo modo si potranno far parlare le pietre di Sas Presones e Su Coveccu, che altrimenti resteranno mute e nulla diranno ai visitatori e studiosi. 

Saranno, come sono stati fin’ora, mucchi di pietre. 

Sono però convinto che parleranno, ma prima dobbiamo convincerci che fare l’archeologo non è un mestiere: è una missione.


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