di Franco Laner
La Fontana di Lumarzu dopo i restauri. Sopra l’architrave, l’apparecchio murario è stato rifatto.
Nell’interessante e molto partecipato convegno “Architetture di pietra” a Gergei nei giorni 10, 11 e 12 novembre 2023, organizzato dall’associazione Perdas Novas, finalizzato alla ricostruzione sperimentale di un nuraghe con tecnologie originarie e confronti sullo stato dell’arte dell’archeologia nuragica, un gruppo di lavoro si è interrogato sulle strategie di valorizzazione del cospicuo patrimonio nuragico non solo culturale, bensì anche turistico ed economico.
Spesso infatti vengono erogati fondi pubblici per investimenti demenziali e demagogici per incentivazione turistica e a questo proposito mi è venuto in mente un episodio cui assistetti una ventina d’anni fa e che descrissi in un articolo preparato per “La Voce del Logudoro” (organo vescovile di Ozieri) alla fine del secolo scorso e mai pubblicato (la redazione lo ritenne in pratica una denuncia e non volle grane).
Così scrivevo più di vent’anni fa:
“L’antico ed abbandonato borgo di Rebeccu in agro di Bonorva è un cantiere edile in atto, con un progetto di trasformazione e tutela la cui destinazione non mi è ben chiara – spero di essere il solo ignorante! – eseguito con un fondo PIA. Da quello che ho capito si intende rivitalizzare l’insediamento abbandonato, con botteghe artigianali e far rivivere antiche arti e mestieri. Una sorta di museo etnologico vivente: prima o poi capirò meglio, anche se poco mi attirano queste performances estemporanee…
Questa nota però non riguarda la destinazione dei cospicui fondi assegnati, una dozzina di miliardi di lire, quanto il fatto che in questa operazione è stata inclusa la valorizzazione delle pertinenze archeologiche di Rebeccu, come una non meglio connotata prigione (Sas Presones) e la fonte nuragica di Su Lumarzu, appena sotto il borgo in restauro.
La fontana è dentro uno dei tanti piccoli poderi coltivati ad orto e frutteto della riparata e fertilissima valletta ad est di Rebeccu e meta di visita di qualche studioso.
La fonte è stata studiata dall’archeologo Antonio Taramelli e pubblicata nel suo “Fortezze, recinti, fonti sacre e necropoli preromane” nel 1919. Il suo fedele collaboratore, prof. Giarrizzo ne eseguì un buon rilievo e qualche foto. La fontana ha sempre dato acqua. Il proprietario del podere se ne serviva per irrigazione e per far l’impianto di presa aveva manomesso il selciato, ora ripristinato. L’opera recentissima degli archeologi – venuti da Roma, dall’Universtà “La Sapienza” – hanno ribaltato tutto il contesto di presa della fontana, manomissione pericolosa perché basta niente per deviare la vena sorgiva, e hanno risistemato la facciata del pozzo. Il confronto fra la situazione del 1919 ed ora, fa vedere che la ricostruzione ha interessato tutto il muro di facciata sopra il primo corso dell’architrave.
La fontana è significativa nella sua invero modestia dimensionale. Ci sono gli spazi canonici delle fonti sacre. Il vestibolo con sedili, un accenno di gradino per scendere al bacino di raccolta scavato in un'unica lastra di basalto, così come è accennato il profilo curvo del ben lavorato muro di sostegno della lastra monolitica di protezione con incavo appena abbozzato. L’insieme restituisce l’idea della cupola che protegge ed avvolge l’acqua sorgiva.
Alcuni conci esterni hanno la forma di protome taurina. Tali elementi sono presenti in tutte le costruzioni che si riconducono al culto dell’acqua. Manufatto dunque semplice, che si è conservato forse più per l’utilità pratica, che per la sua intrinseca sacralità e reso famoso per essere stato documentato dal Taramelli. La fonte si raggiunge con sentieri interpoderali, in trincea o a mezza costa, con muri di sostegno antichi, come è antico il tratturo, con lastre e pietre levigate dall’uso atavico di uomini e animali.
Camminare su quel sentiero, fra lo sbordare dei diversi alberi da frutto, dona piacevoli sensazioni, specie nei tratti puliti e senza rovi.
Questo sentiero non è ovviamente adatto per chi disgraziatamente sia costretto su di una carrozzella o abbia difficoltà a camminare.
Perché allora non fare un gesto di grande sensibilità?
Fino a dove si può arrivare in auto, bene e dopo una pista di cemento armato, lastricata, di 1,3 m di larghezza e pendenza dell’8% massima di qualche centinaio di metri e … voilà, il monumento è agibile anche ai disabili!
Si parlava di un costo di 800 milioni, di lire ovviamente!
La pista che si infila fra alberi e cespugli ripiantati – ovviamente la vegetazione esistente si è dovuta sacrificare al serpente di cemento armato – credo sia il primo esempio di superamento di “barriera nuragica”, ma anche carica di interrogativi a cui è difficile dare risposta, a meno di non condividere gesti di ordinaria demagogia.
Confido che l’immaginazione di qualche ragazzino, quando Rebeccu sarà ripopolato, si diverta ed usi la rampa come pista per quei carrettini autocostruiti, Ferrari in nuce o go-kart ecologici…
Al momento non ho più voglia di tornare al pozzo, ora totalmente desacralizzato e volgarizzato. Ma qualche giorno di primissima primavera dovrò tornare sul balcone naturale dello sperone su cui è sorto Rebeccu per tuffare gli occhi nel giallo immenso della fioritura del cacarantzu che trionfa a perdita d’occhio nella sottostante piana di S. Lucia, per dimenticare che quando l’uomo si mette d’impegno è capace di azioni imprevedibili, specie se hanno in tasca soldi che non si sa da dove vengono e che comunque “si devono” spendere!”
Questo scrivevo più di vent’anni fa.
Oggi Rebeccu è come allora: abbandonato e degradato. Chissà dov’è finito il finanziamento per la sua riqualificazione.
In compenso a Su Lumarzu non ci vanno né gli abili, né i disabili!
Una postilla: sia ben chiaro che l’aiuto finanziario per le iniziative come quella del convegno sopracitato, ben organizzato ed articolato, è sacrosanto e doveroso!
Sul progetto di archeologia sperimentale presentato nel convegno ci sono aspetti di criticità che andranno meglio calibrati, ma l’iniziativa ha sicuramente il pregio di rilanciare, su nuove basi, non solo promozionali, ma culturali e conoscitive la questione nuragica e soprattutto ritrattare la vexata qaestio sulla funzione dei nuraghi.
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