di Mauro Peppino Zedda
Pare certo che nella Sardegna nuragica si praticasse il rito
dell’incubazione.
Una ritualità consistente nel dormire presso un luogo sacro,
in attesa di sogni rivelatori.
Una pratica religiosa strettamente connessa col culto degli
antenati.
Del rito dell’incubazione in Sardegna ne parla per primo
Aristotele, commentando l’usanza dei Sardi di “dormire presso gli eroi”, e
Filipono, suo commentatore, aggiunge che ciò avveniva anche per cinque giorni.
Lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni fu il primo
che provò a contestualizzare questa notizia storica con i dati provenienti
dall’archeologia, proponendo che l’incubazione si svolgesse presso le tombe di
giganti.
A distanza di un secolo dalla sua formulazione la proposta
di Pettazzoni viene considerata ancora valida dagli archeologi nuragologi sardi
Una critica alla proposta di Pettazzoni venne fatta da
Massimo Pittau nel 1977 nel libro La Sardegna Nuragica. In quel libro Pittau fece notare che il rito
dell’incubazione prevedeva un sonno di 5 giorni e che le tombe di giganti non
si prestavano ad una pratica rituale che prevedeva una tale tempistica.
Pittau, citando Tertulliano (Aristotele, heroem quemdam
Sardiniae notat incubatores fani sui visioni bus privatem) spiega che il rito
doveva svolgersi in un posto sacro e
ipotizza che il luogo ove si praticava il rito dell’incubazione fossero i
nuraghi complessi.
Gli archeologi fecevano orecchio da mercante alla brillante
confutazione del la teoria del nuraghe fortezza di Pittau e dunque non potevano
accettare l’idea che i nuraghi complessi fossero il luogo in cui si svolgeva il
rito dell’incubazione.
Eppure la proposta di Pittau era ragionevolissima, è
inverosimile pensare che lo spazio antistante l’esedra delle tombe di giganti sia idonea a ospitare
le pratiche connesse col rito dell’incubazione.
In seguito alle severe critiche del Pittau (1977) , Lilliu
tolse dalle successive edizioni del suo La Civiltà dei Sardi, tutte le risibili
osservazioni a sostegno di un utilizzo militare, da quel momento la sua teoria
diventava un dogma piuttosto che una maldestra ipotesi scientifica.
Dai tempi della proposta di Pittau qualcosa è cambiato nello
stato dell’arte dell’archeologia nuragica e in riferimento al tema trattato due elementi fanno pendere la bilancia a
favore della tesi che propose il Pittau:
1) l’utilizzo delle tombe di giganti si esaurisce nel bronzo
finale ;
2) ora gli archeologi riconoscono che nel bronzo finale i
nuraghi venivano usati come santuari.
Aristotele scriveva nel IV secolo a.C., a quei tempi le tombe
dei giganti erano in disuso da più di mezzo millennio, mi pare improbabile che
le fonti si riferiscano ad un rito che non veniva più praticato. Viceversa nel
periodo in cui scrive Aristotele nei nuraghi si svolgevano ancora dei riti
(vedi studi Caterina Lilliu sul Genna
Maria di Villanovaforru , Ugas sul Su Mulinu di Villanofranca, Taramelli sul Lugherras, ecc ).
Con tutta probabilità le stesse cumbessias (parola molto
affine a incubazione) sono l’esito sincretistico cristianizzato del rito
dell’incubazione.
Mi pare che i due elementi citati indicano i nuraghi
complessi come i luoghi deputati allo svolgimento del rituale dell’incubazione.
La proposta di Pittau è
stata accolta e corroborata da Ileana Benati che in una sua pubblicazione (I
nuraghi: un’ipotesi simbolica, in HELIOPOLIS, culture, civiltà, politica, n.1/2
2009) aggiunge un importante “dettaglio” alla questione in esame, ovvero come
il disegno costruttivo del nuraghe, evidentemente simbolico (che solo l’ottusità
degli archeologi non riesce a a riconoscere) sia un elemento connesso col rito
dell’incubazione, ecco quanto scrive:
“Il rito dell’incubazione, in quanto percorso di “rinascita”, può essere
assimilato ad uno dei significati simbolici del labirinto. Si tratta, infatti,
di un cammino (la morte-sonno e la rinascita-risveglio) che porta al
raggiungimento di un “centro” rappresentato dal responso oracolare. Anche
fisicamente questo percorso si evidenzia nella fase morte-rinascita in un tracciato
di aspetto decisamente labirintico (avviene infatti negli edifici che
circondano il nuraghe centrale la cui struttura, in pianta, ricorda le spire di
un labirinto). L’oracolo dà poi il suo responso nel “centro” costituito dalla
stanza circolare del nuraghe….
Nel labirinto è decisivo il
rapporto con lo spazio: lo spazio interno, isolato rispetto all’esterno, e la
presenza di un solo piccolo ingresso. Colui che intraprende il percorso entra
in uno spazio sacro, insolito, che è tra l’uomo e il divino, all’interno del
quale muterà la propria condizione. Se si considera il nuraghe come un
santuario, sede di riti d’incubazione, non è difficile concepire i suoi spazi
come spazi sacri, dove il fedele, isolato dal mondo esterno dai possenti muri
che delimitano gli edifici circolari che circondano il nuraghe centrale, vive la
propria esperienza di rinascita. Il fatto che le capanne fossero quasi sempre
all’esterno del recinto sacro, può significare, simbolicamente, l’esigenza dell’affrontare
ostacoli e difficoltà per raggiungere la conoscenza.
Ciò è tipico dei riti
iniziatici, e, se morte e rinascita le collochiamo su un piano simbolico-metaforico,
il labirinto diventa la perfetta materializzazione del rito di
iniziazione.
Questa potrebbe essere una
delle giustificazioni delle forme labirintiche rintracciabili nelle strutture
nuragiche.” (Benati 2009)
molto bello e sopratutto coraggioso bravo Mauro
RispondiEliminaPerfetta e meravigliosa ed esaustiva spiegazione centro
RispondiEliminaCondivido e e suppongo che queste pratiche includesseo una sorta di social dreamong facilitata dallo scamano abitante del nuraghe
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