mercoledì 11 agosto 2021

Pazienza, prima o poi si toccherà il fondo!

di Franco Laner

Osservazioni al numero monografico di Archeo, agosto 2021

“Il cammino dei nuraghi”


L’amico Giuseppe Camarda mi ha segnalato questa pubblicazione che ho subito acquistato perché nel titolo c’era la parola cammino, ovvero “andar a piedi”, che associavo al progetto di un gruppo che abbiamo recentemente costituito per una proposta di turismo lento in Ogliastra. Mi sbagliavo, perché per cammino si deve intendere itinerario e ne vengono proposti sei che includono nuraghi, pozzi e fonti, tombe di giganti e musei.

Giustifico intanto il titolo con una storiella che circolava ai miei tempi negli atenei. Recitava:

Un professore ordinario non farà mai ordinario uno studioso bravo. Il nuovo ordinario deve essere “un fià più mona di lui”, altrimenti lui sarebbe offuscato. I bravi se ne andavano e i più zelanti portaborse, pappagalli ripetitivi delle teorie del maestro, diventavano ordinari.

Il nuovo ordinario applicava la regola aurea.

Fino a quando?

Fino a quando arrivava il nuovo ordinario, così mona che non applicava la regola e metteva in cattedra uno studioso con le palle.

Nello sfogliare la rivista, senza mai trovare qualcosa di diverso dal punto di arrivo di Lilliu, pensavo ai diversi cattedratici, tipo Lilliu, Ceruti, Atzeni, Tanda, Cicilloni… o Contu, Moravetti, Depalmas…se ci spostiamo a Sassari.

Siamo ancora al nuraghe fortezza, madre di ogni sciocchezza

Prima o poi, non dispero, verrà quella successione sopra auspicata. Nel frattempo, però, ogni tentativo di innovazione viene bloccato. Chi critica non conosce l’abc della disciplina, dilettanti che pensano che basti il buon senso comune per affermare che un capitello quadrato - v. Monte Prama – non possa essere un modello di nuraghe, ma appunto, semplicemente, un capitello.

Sfoglio la rivista: si apre con una ricostruzione del nuraghe-fortezza.

Impressionante l’enfasi turrita, chiusa in sommità con una decorazione a chevron. Il supposto ballatoio diventa semplice decorazione.

La muratura delle torri è realizzata con malta. La caratteristica costruttiva di tutti i nuraghi è la muratura a secco che è lontanissimo parente della muratura con malta, sconosciuta ai nuragici e che impone diversa concezione strutturale e quindi diversi risultati formali. Ballatoi, scale esterne al nuraghe, cammini di ronda completano lo stereotipato paesaggio nuragico di stampo taramellilliano.

Si può ricavare una nota interessante: Sardegna opulenta con grasso che cola, il celebrato porcheddu trova la sua atavica origine. Manca il vino, che la curatrice della monografia aveva documentato esistere in alcune sue memorie del 2008-2010.

La notizia che nella Sardegna nuragica si coltivasse la vite è uno scoop. In tutto il Mediterraneo si coltivava l’olivo e la vite, financo nell’Isola al centro di questo grande lago. Ma no!

Noè molto tempo prima, aveva già cercato, invano, di disintossicarsi, ma il fegato era, ahimé, già in cirrosi. Un giornalista mi diceva che uno scoop non è scrivere che un cane ha morso una persona, ma che una persona ha morso un cane!

Parlo di giornalismo, perché mi è parso di capire che la monografia fosse un tentativo di comunicazione turistica. Invece, forse, sbagliando mi sto, è il resoconto di una ricerca scientifica finanziata con fondi europei.

O entrambe le cose. Frammistione pericolosa. Sia che si tratti di comunicazione turistico-archeologica, sia che si tratti di ricerca archeologica. Comunque, opterei nel primo caso per tante guide turistiche come quella del Touring Club e Repubblica, o qualche diffusa guida della Regione Sardegna tipo “Benvenuti in Sardegna” e nel secondo caso mi riguarderei “La civiltà dei sardi”, 1963, molto più attuale della monografia.

Prima o poi dunque, si toccherà il fondo.

Purtroppo, non sentirò i rintocchi a morte della campana dell’archeologia nuragica che ha fatto leva sul nuraghe fortezza e quand’anche sarà sepolta ci saranno le fiammelle fatue della decomposizione del cadavere a ricordare i danni, nell’estremo tentativo anche dopo morta, di rivendicare la funzione militare dei nuraghi.

Morire dunque per rinascere.

Questa è l’unica condizione per il rinnovo dell’archeologia sarda.

Nel frattempo, l’assistenzialismo che mantiene in vita i minuscoli musei sparsi nel territorio e anche i grandi, alimenterà l’illusione dei tanti giovani che pensavano che l’enorme patrimonio archeologica sardo fosse una risorsa e hanno investito studio e soldi. Sui suoi scrigni sono purtroppo seduti i pesanti culi di un’archeologia preconcetta, incapace di inserirsi in un circuito non dico europeo, ma nemmeno mediterraneo, autoreferenziale e miope.

I giovani speranzosi e bravi si dovranno inserire nelle vetrine di inutili pubblicazioni dei cosiddetti maestri e perpetuare preconcetti e luoghi comuni, chini, quando va bene, ad osservare ciò che brilla sulla punta del piccone.

Questo statu quo è un danno enorme allo sviluppo della ricerca, stupide teorie non possono che essere ostacoli e concorrere all’affossamento della baracca e togliere la speranza dei giovani, delitto della peggior specie.

Suvvia, archeologi sardi, è tempo di quel cambio di paradigma, maturo e decisivo, di rivalutazione di quella civiltà che dei nuraghi fortezza non avrebbe saputo davvero cosa farsene!


 

Il paesaggio nuragico è quello immaginato dalla prof. Depalmas. Il disegno è dell'architetto Pettinau


 

1 commento:

  1. Una riflessione perfetta, amaramente. Questi sono i casi in cui si vorrebbe tornare indietro nel tempo, per riavviare il percorso dell'archeologia sarda in altro modo, più aperto, meno stereotipato...

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