di Alessandro Mannoni
Una obiezione alla tesi della possibile funzione templare assunta fin dall’origine dai nuraghi consiste nella mancanza di oggetti di culto e votivi al loro interno attribuibili ad un periodo precedente all’Età del Ferro, nel corso della quale invece essi compaiono e sono stati ritrovati in maniera evidente.
Le premesse di una tale obiezione sono solo apparentemente condivisibili.
Sostenere che se all’interno delle strutture adibite o utilizzate in funzione templare sono presenti oggetti che in un dato periodo identifichiamo come religiosi allora le strutture sono classificabili come templi, mentre in caso contrario la funzione templare non è dimostrata o è addirittura indimostrabile non mi pare corretto.
Non capisco infatti perché si debba attribuire ad un edificio la funzione di tempio soltanto se in esso sono presenti degli oggetti o dei materiali di uso cultuale, soprattutto se questo uso cultuale è frutto della interpretazione a posteriori dello studioso: alcuni oggetti interpretati come d’uso quotidiano potevano avere una funzione cultuale o essere usati indifferentemente anche con una funzione cultuale. Basta riflettere ad esempio a come alcuni oggetti interpretati in funzione militare o civile siano stati da altri assegnati alla funzione religiosa: ricordo ad esempio le famose palle in pietra perfettamente tonde destinate al lancio delle mitiche catapulte che agli occhi di Massimo Pittau diventano più semplicemente degli ex-voto solari, o le fusaiole e i pesi da telaio che vengono assegnati da alcuni alle funzioni domestiche, da altri all’attività tessile di sacerdotesse e vergini adibite al tempio/monastero, o le abbondanti tracce di vasellame spesso in cocci o frammenti presente in molti sacelli all’interno dei nuraghi, lette come un’evidente testimonianza di ceramica sacra.
In alcune tipologie di tempio, poi, per il genere di rituale o di culto svolto in quelle particolari strutture potevano anche non essere presenti oggetti specifici; d’altronde i materiali ritrovati nei pochissimi siti religiosi del Bronzo Medio elencati da Ugas, rappresentati da ollette ansate, bicchieri, tazzine e coppette, sono tutti interpretabili non in maniera esclusiva come oggetti di culto generici, ma come funzionali soltanto alle specifiche forme di rituale officiate in quei siti: offerte di liquidi e libagioni da depositare e versare nel terreno nel caso di culti ctonii come quelli officiati nelle grotte o la raccolta di acque sacre, per le sorgenti o, come ipotizza lo stesso Ugas nel caso di Monte Baranta, per offrire ai vecchi genitori la bevanda che provocava il “riso sardonico” prima di gettarli dall’alta rupe su cui è costruito il sito. Solo i materiali fittili ritrovati presso le poche fonti citate potevano rappresentare per l’epoca del Bronzo Medio degli oggetti votivi, ma probabilmente funzionali solo a quella tipologia di culto avente finalità terapeutiche.
O, infine, potrebbe anche darsi la situazione generale che in ogni tempio, magari per la particolare ideologia religiosa e simbolica di quella cultura, potessero non essere presenti oggetti specifici di culto. E la prima civiltà nuragica, fortemente aniconica e astratta, geometrica e asciutta nella sua linearità, poteva ben rappresentare una cultura religiosa di tal genere, come sostiene anche Mauro Zedda.
Pensare infine che, data la frequentissima deposizione all’interno delle strutture adibite o utilizzate in funzione templare degli oggetti votivi nel corso dell’Età del Ferro, altrettanto dovessero fare nei secoli precedenti è sensato ma non probante, poiché al fondo c’è ancora l’assunto, non dimostrato, che nel tempio debbano sempre essere presenti oggetti votivi o riconoscibili come tali, o che se tali oggetti sono tipici di una fase tarda di una civiltà debbano esserlo anche di una fase precedente.
Ma penso che la cesura all’interno della civiltà nuragica tra la prima fase (quella propriamente nuragica perché solo ad essa appartiene la realizzazione degli edifici da cui essa prende il nome) e la fase tarda o finale o post sia probabilmente molto più netta di quanto molti studiosi attualmente ammettano, e tale quindi da non consentire questa estensione automatica delle modalità del culto diffuse in Sardegna nell’Età del Ferro alla fase storica precedente.
Una curiosità, le sfere ritrovate quante erano in numero?
RispondiEliminagrazie
Quelle del Santu Antine di torralba erano 7, di cui due di maggiori dimensioni (una bianca e una nera!!) e cinque più piccole.
RispondiEliminaSitrovano al museo Sanna di Sassari.
saluti
mauro peppino
Sai già dove volevo andare a parare vero Mauro
RispondiElimina;-D
Ecco che più che semplici ex voto solari, il mondo dell'eclittica fa nuovamente la sua comparsa... curioso anche il fatto che una sia nera, poichè da che mondo è mondo nero è il colore assegnato a saturno, lapis niger, e il quadrato/cubo è la sua figura di riferimento( ad esempio, il cappellino dei laureandi è nero e ha la forma di un quadrato, si portano saturno in testa in somma...come simbolo della conoscenza)
Io avevo pensato al sole e alla luna per le due sfere litiche maggiori(una bianca e l'altra nera), mentre le altre cinque minori tra cui ve ne è anche una rossiccia (!!), pensavo a Giove , Saturno, Marte, Venere e Mercurio.
RispondiEliminasolitamente il nero è riferito a saturno (il pianeta più lontano che riceve meno luce...), comunque se anche una è rossiccia pochi dubbi che ci si rifà ai pianeti
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