di Franco Laner
Riprendo -a proposito dell’orientamento dei nuraghi-
quanto già esposi nell’occuparmi di alcune questioni costruttive dei nuraghi e
in particolare il tema dell’orientamento dell’entrata, con una introduzione che
deriva da come ho spesso inteso i miei studi di storia della tecnica.
Spesso, occupandomi appunto
di storia delle tecniche costruttive, mi sono intestardito su alcuni problemi
ancora senza risposte soddisfacenti, su cui molti studiosi si sono confrontati.
Ad esempio come costruire una cupola a secco, senza impiego di centine, oppure
come trasportare grandi pesi e come sollevarli. Temi che hanno profondamente ed
incessantemente occupato la mia mente per mesi. Senz’altro ho capito cosa
significhi ossessione e come un pensiero costante possa diventare pericolosa
paranoia! Ma è grande anche la soddisfazione che si prova nel presentare
soluzioni concrete e semplici, come quando venni a capo delle modalità di
sollevamento del monolite di 230 tonnellate che copre il Mausoleo di Teodorico
a Ravenna, oppure dell’intuizione del sistema cuneo-leva per il trasporto dei
grandi pesi da parte degli assiri o ancora quando chiarii l’arcano sotteso al
ponte di legno che Giulio Cesare ordinò nel 55 a.Cr. per passare il Reno!
Ogni volta la soluzione è arrivata solo quando sono riuscito
a riformulare il quesito!
Faccio un esempio.
Durante una ispezione nel ’92 alla copertura lignea del
Teatro La Fenice a Venezia. viene segnalata una preoccupante lesione di un
componente -il monaco- di una grande capriata. Non c’erano state sollecitazioni
improprie né alcun evento anomalo che potesse giustificare tale rottura in
esercizio. Investito del problema, la ricerca della soluzione mi tormentò
parecchio -era in ballo la mia credibilità di esperto di costruzioni di legno e
per di più a Venezia dove insegno!- la soluzione arrivò evidente riformulando
la domanda. Quando si è rotta la trave? E se fosse stata messa in opera già
lesionata?
Scoprii così che durante l’abbattimento, l’albero può cadere
su un dosso o in un avvallamento e subire lesioni che si ricompongono data
l’elasticità del legno fresco e la mancanza di carico.
Subito dopo il trauma, il tronco viene segato, squadrato e
posto in opera senza che ci si possa accorgere della rottura! Ciò succede una o
due volte su mille alberi tagliati!
“E’ possibile mettere in opera una trave già rotta?”è quasi
la stessa cosa che domandarsi perché il monaco si fosse rotto. Ecco, quel quasi
fa la sostanziale differenza!
La soluzione di molti problemi sta proprio in quel quasi,
che però è inversamente proporzionale alla difficoltà. Ovvero più è sottile
quel quasi, più difficile è la soluzione, perché non è affatto facile formulare
bene la domanda!
Ebbene, un interrogativo ricorrente fra coloro che si occupano
di nuraghi e che li conoscono è il seguente: “Come mai l’ingresso del nuraghe è
generalmente (statisticamente significativo) rivolto nel quadrante sud-est,
anzi intorno a 148° ? “
Le risposte degli studiosi, quando hanno capito che
l’iterazione tipologica non poteva essere casuale, è stata di ordine pratico o
simbolico. Giovanni Lilliu ha osservato che in questo modo l’entrata si oppone
alla direzione del fastidioso maestrale e dunque fosse un modo per difendersi
dall’evento. Altri hanno ipotizzato che dipendesse dal fatto di avere il
miglior irraggiamento solare, altri che in quella direzione c’era una stella o
costellazione particolarmente simbolica o significativa.
Se ci si accanisce a voler rispondere al perché l’entrata è
orientata in quella direzione non se ne viene a capo. Ma se sposto appena la
prospettiva e mi chiedo se questa evidente ricorrenza non sia conseguenza di
altra necessità, ovvero un semplice corollario, forse se ne può venire a capo.
In altre parole, nemmeno il costruttore sapeva che l’apertura fosse in quella
direzione, perché per lui non era quello l’obiettivo! L’ingresso è in quella
direzione in quanto effetto, non causa prima, dell’atto fondativo. Non è qui il
caso di richiamare l’importanza del tracciamento delle fondazioni di un
edificio, la presa di possesso del suolo, la sacralità del gesto e le
intenzioni sottese al suo orientamento. Importanti punti di riferimento
congelati nel nuraghe e sottolineati dalle nicchie spesso presenti, sono la
nascita del sole al solstizio estivo e il tramonto al solstizio invernale
che si trovano sullo stesso asse inclinato di 58°. Tracciato questo
fondamentale asse, se si procede alla divisione in quattro parti dello spazio -orientamento-
l’altra nicchia e l’entrata si troveranno sull’asse 58° + 90° = 148°. Non mi si
obietti, per ora, la divisione in quattro parti, atto primo di cosmizzazione
del territorio e dello spazio, tema che ha caratterizzato la mia ricerca sul
nuragico.
Sta di fatto che ogni nuraghe, ugualmente orientato, anche
se mi è sconosciuto, offre le stesse informazioni di orientamento spaziale e
temporale. Ad esempio, la luce della finestrella sopra la porta che entra nel
buio della camera, potrebbe essere una
indicazione temporale valida per tutti, non solo per chi l’ha costruito.
Con questa spiegazione, o se vogliamo, con questo modo di
porre la questione, l’enfasi dell’enigma sul comune orientamento dell’entrata
ai nuraghi, si sgretola e perde di importanza e la speculazione, caso mai, si
sposta sulle asserzioni -atto fondativo, importanza dei solstizi, capacità di
divisione del terreno- richiamate per dar risposta al quesito che da principale
diventa semplice corollario.
Teoricamente dovremmo dunque avere 148°. In pratica se
prendo come riferimento la nascita del sole al solstizio d’estate nel punto
all’orizzonte e se all’orizzonte ho un monte rischio di riferirmi ad una
nascita apparente e subito faccio un errore. Erano in grado di correggerlo? E
quando oggi misuro l’asse di orientamento dell’entrata, per quanto sia
sofisticato lo strumento, che senso ha una misurazione di un manufatto così
indefinito come un paramento nuragico?
Di questo ho spesso discusso con Mauro. Egli non condivide questa
impostazione, ma non ha argomenti così convincenti da farmi desistere. Quando
mi convincerà, cambierò idea.
Che bello cambiare idea, specie quando ti è costata fatica.
È ammissione che esiste qualcosa che supera la tua capacità e dimostrazione
dialettica del divenire, nel continuo sforzo di ridurre l’aleatorietà della
verità. Corollario di questa affermazione? Quanto sia sciocco rivendicare la
priorità di una “scoperta”, semplice step di un processo inesauribile e quanto
al contrario, sia onesto (e senza costo alcuno) citare chi in qualche modo ha
contribuito a ridurre i margini di incertezza di una teoria.
Innanzitutto, bellissimo il titolo che hai scelto, il tuo articolo mi rimanda indietro di una ventina d'anni , come passa veloce il tempo!!
RispondiEliminaCon quel titolo se non ricordo male hai intitolato pure un capitolo di Accabbadora, così pure l'immagine è inserita in quel bel libro.
Capire le cause senza farsi confondere dagli effetti.
In questo caso non ti posso dar ragione, quando hai pubblicato questa ipotesi nel 1999 ti sei basato sui dati presentati da Proverbio e su misure che iniziava a fare.
Ma quanto emerso Salle misurazioni eseguite tra il 2001 e 2003, confermava quel picco ma il!range mi pare troppo ampio per sostenere quella ipotesi.
Magari provo a convincerti con un altro articolo, ma senza speranza , visto che non ci sono riuscito sino ad oggi