di
Mauro Peppino Zedda
Nel
1977, ovvero 39 anni fa vide la luce il libro Sardegna Nuragica di Massimo Pittau
.
Un
testo che mise in luce che la tesi del nuraghe fortezza si basava su
motivazioni inconsistenti.
Lilliu
non ebbe l’umiltà scientifica per considerare confutata la sua teoria, e,
purtroppo, gli archeologi attuali sono ancora invischiati dentro le macerie del
paradigma interpretativo ideato dal Lilliu. La
maggior parte degli archeologi prende per buone, senza spirito critico, le
teorie del loro maestro e rivolge il suo tempo a disegnare e catalogare cocci.
Usai
è dei pochi archeologi che prova ad andare oltre le proposte di Lilliu, anche
se lo fa in maniera alquanto superficiale. Questo archeologo in un suo recente
scritto (USAI A. 2015, Paesaggi nuragici, in
MINOJA M., SALIS G., USAI L. (a cura di), L’isola delle torri. Giovanni Lilliu
e la Sardegna nuragica, Sassari, pp. 58-69.) scrive: “I nuraghi furono strutture di servizio polivalenti
dell’economia rurale, utilizzate per abitazione e per la conservazione,
trasformazione e prodotti di ogni genere…” per Usai il nuraghe
sarebbe una specie di masseria (sic!?).
Immaginate un nuraghe costruito sulla cima di una
rupe o a strapiombo di un dirupo, mi sembra assurdo pensarlo come abitazione o
come magazzino. Dunque o i nuragici
erano dei cretini o è demenziale pensare che quei nuraghi fossero abitazioni o
magazzini.
Usai non si accorge che la sua tesi è assai più
innocente ed inconsistente della teoria
del Lilliu.
Certamente postulare una società guerriera senza
trovare i resti dei guerrieri è un’assurdità, ma pensare i nuraghi come
magazzini lo è ancor di più.
Usai, nell’analizzare i motivi che determinarono la
loro ubicazione scrive: “Anche se credo
che il senso generale dei nuraghi e degli altri monumenti nuragici possa essere
compreso solo nell’ambito delle dinamiche sociali ed economiche di grande
portata, tuttavia penso che alcuni particolari potrebbero essere almeno
inquadrati facendo riferimento a un mondo simbolico per noi oscuro, ma che per
i protagonisti di allora poteva costituire un codice condiviso. In poche
parole, non possiamo accontentarci di solidi argomenti razionali e processuali,
ma dobbiamo almeno considerare l’esistenza di un piano irrazionale, da
affrontare con ragionamenti controllati di tipo contestuale, senza pretendere
di decifrarlo. Per esempio, ferme restando le ragioni di fondo, è possibile che
la costruzione di un nuraghe o insediamento o tomba o tempio, oppure la loro
ubicazione, fosse decisa a seguito di vaticini, presagi, sogni, allucinazioni o
altri presunti “segni” come la caduta di un fulmine, lo scoppio di un incendio,
la nascita o la morte di una persona o di un animale, l’accadimento di fatti
inspiegabili o preannunciati da racconti mitici? È possibile che per iniziare
la costruzione si aspettasse un momento particolare definito da una speciale
posizione di uno o più astri, oppure che il monumento venisse orientato in modo
tale da registrare la data d’inizio della costruzione? Sulla scorta di simili
valutazioni si potrebbero ricondurre a un quadro di riferimento, senza
spiegarle, le forti oscillazioni di orientamento ed altre apparenti stranezze;
ma ciò non rivelerebbe la natura e funzione dei nuraghi, che è azzardato
cercare al di fuori del legame con la terra, le risorse e le attività umane.”(Zedda 2009).
Usai proprio non capisce che la terra
con le sue risorse era un tutt’uno col cielo, forse che l’acqua non viene dal
cielo? Forse che il clima non trova perfetta corrispondenza con la posizione
del Sole? Forse che le stelle non entravano nei miti e nelle spiritualità dei
nostri progenitori?
Alessandro Usai non comprende che trascurare queste cose è un suicidio
intellettuale!
Usai scrive che il suo modo di fare
archeologia sia razionale, a me pare che le sue analisi siano tutt’altro che
razionali. La razionalità bisogna praticarla non sbandierala!
Penso di aver dimostrato che i nuraghi
sono disposti sul territorio secondo regole geometriche e astronomiche , e
siccome la geometria non è un opinione quanto affermo è facilmente
verificabile.
Usai invece di provare a capire chiama
in causa l’irrazionale, sic!?
Usai cita un mio libro, in teoria
dovrebbe averlo letto, e dunque deduco che non
ha compreso che i nuraghi sono disposti sul territorio secondo schemi
geometrici astronomici.
Sulla scorta di questo dato di fatto, possiamo
discutere sul perché li abbiano disposti
secondo schemi geometrici astronomici.
Seppur a livello embrionale, nel
pensiero di Usai , sembra intravedersi l’idea che esistesse un qualche rito di fondazione.
Mi domando se abbia mai sfogliato un buon
libro di storia delle religioni, o che abbia perlomeno sfogliato il
manuale principe di ogni archeologo, ovvero il manuale di Renfrew e Bahn in cui
oltre che descrivere i dettami dell’archeologia cognitivo-processuale vi è una
parte dedicata all’archeoastronomia.
Nel leggere questa parte del testo di
Usai, il mio pensiero è andato dritto alla prima pubblicazione di Franco Laner
(La construction des “nuraghi” in Sardegne, in Mécanique et Architecture, 1995,
Basilea). In quel testo Laner spiegò come la costruzione dei nuraghi fosse
anche un fatto rituale.
Meravigliosi i riferimenti di Laner a
Mircea Eliade,
Non sarebbe male che anche gli
archeologi sardi leggessero le opere di questo e di altri storici delle
religioni.
Laner, oltre ai libri di lilliu, ebbe
modo di leggere anche il mio primo libro (I nuraghi il Sole la Luna, 1992) e
comprese che la disposizione geometrica astronomica che avevo riscontrato tra i
nuraghi della valle di Brabaciera, fosse spiegabile col desiderio dei nuragici di
cosmizzare il territorio secondo coordinate spaziali e temporali. Concetti che
poi ha sviluppato nei libri
Accabadora 1999 e Sa Ena 2011.
Ovviamente non posso
non ricordare che solo un
archeologo ignorante in geometria può non comprendere che i nuraghi sono
disposti secondo schemi geometrici astronomici.
Vi sembro troppo caustico con gli
archeologi sardi?
Dal mio primo libro sono passati 24
anni, ho presentato le mie tesi in consessi scientifici internazionali. Per il
prestigioso Handbook of Archaeoastronomy and
Ethnoastronomy edito dalla Springer mi è stato chiesto di curare il capitolo sui nuraghi.
Come dovrei etichettare degli
archeologi che continuano a negare l’evidenza? Mi pare che definirli ignoranti in
geometria sia il minimo!
Nessun commento:
Posta un commento