di Franco Laner
Per
celebrare il centenario della nascita di Lilliu, 1915, la Soprintendenza della
Sardegna col Ministero dei Beni culturali e Turismo ha organizzato una mostra a
Milano “L’isola delle torri, tesori dalla Sardegna nuragica”. Non l’ho vista e
mi dispiace, perché anche dal peggiore dei libri si salva sempre mezza pagina,
ma, visto che ho letto le pagine (58-69) che uno dei curatori ha scritto per il
catalogo dell’evento (Alessandro Usai. 2015, Paesaggi nuragici, in MINOJA M., SALIS G., USAI L. (a cura di), L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica, Sassari, pp. 58-69.) forse mi sono
evitato una sofferenza inutile.
Già
il titolo del “saggio” mi rimanda al libro di MP Zedda, che sette anni fa
tracciava i prolegomeni per un nuovo approccio (paesaggio) di ricerca nuragica
e mi indispone non poco perché -tranne il titolo- il saggista archeologo ha
recepito solo ciò che poteva dare un’aurea di novità a posizioni stantie e
logore dell’archeologia isolana. Comunque ha messo in bibliografia il libro di
Zedda (forse questa è la mezza pagina che si salva!)
Già
in una recente intervista Rai il soprintendente Minoja -come ho descritto in questo
blog (6 dic. 2015)- aveva dato dimostrazione dell’infimo stato dell’arte della
disciplina. Pertanto se quello è l’indirizzo, cosa ci si può aspettare?
Il
prof. Massimo Pittau mi ha insegnato molte cose. Una in particolare: “Se ti
occupi di archeologia, occupatene con la tua disciplina!” Memore del consiglio,
delle pagine di Usai mi fermo su ciò che posso sostenere con strumenti
tecnico-costruttivi.
Mi
è assolutamente chiaro che gli archeologi quando parlano di tecnica costruttiva
di nuraghi mancano del “senso del grave” (*v. nota). Pensano che le cose stiano
su perché stanno su, ma capire perché stiano su e quali siano gli ingegni
sottesi, la concezione, l’intelligenza costruttiva messa in atto, è una
categoria che proprio non appartiene a loro.
Qualcuno,
pur non conoscendo nulla di costruzione, restaura però i monumenti antichi.
E
allora scrivono cose generiche, criptiche, perché le ammantano di frasi
abbellite di fronzoli che nascondono l’inconsistenza comprensiva. “I nuraghi
arcaici sono notevolmente diversi l’uno dall’altro; ciascuno di essi è l’esito
di una singolare sperimentazione strutturale e funzionale. La tholos o
falsa cupola, composta di anelli di blocchi sempre più stretti dalla base alla
sommità, fu la grande invenzione degli architetti nuragici della fase di
maturità, che diede ai nuraghi classici la caratteristica forma di torri
troncoconiche…. questa ingegnosa semplificazione consentì la costruzione
in serie di nuraghi semplici a una sola torre, sia lo sviluppo di monumenti
complessi a più torri…I reperti archeologici chiariscono che i nuraghi
furono strutture di servizio polivalenti dell’economia rurale, utilizzate per
abitazione e per la conservazione, trasformazione e prodotti di ogni genere.
Nessun elemento sembra indicare una connessione esplicita e preponderante con
forme di culto… Al di là della funzionalità materiale, nei nuraghi
si manifesta la volontà di creare edifici monumentali, fortificati (cioè
“resi forti”) senza essere vere e proprie fortezze, possenti per suscitare
ammirazione e rispetto in un’incessante gara di organizzazione, abilità ed
ardimento….”
Prendo
atto che si è passati dal concio a sbalzo della falsa volta (da Lilliu in poi)
agli anelli sempre più ristretti, che formulai 25 anni fa.
Certo, se metto un anello, poniamo di legno, più stretto
sopra quello più largo, e poi un altro più stretto, realizzo una struttura che
sta su senza bisogno di centine. Peccato che in pratica metto conci singoli,
non anelli di pietra. E allora come si realizza il gioco delle forze che
consentono la costruzione autoportante della cupola vera, non “falsa”?? I
nuraghi sono formalmente, morfologicamente, diversi, ma hanno tutti la stessa
concezione strutturale (stesso tecnema). In parole molto semplici, c’è un unico
sistema costruttivo, che ha il suo principio negli stati di coazione. E’
proprio uno straordinario stato di coazione che dà continuità ai conci in
orizzontale e consente la formazione di quell’anello di cui si parla, anche se
non si sa di cosa si parli!
Oggi
ad esempio si usa per costruire la tecnica del cemento armato. La stessa
tecnica consente la realizzazione di edifici morfemicamente diversi, ma
tecnemicamente uguali. Le differenze che
si notano fra i nuraghi non dipendono dalla concezione costruttiva della
muratura ciclopica (per favore non megalitica), unica, invariante, bensì dal
“genius loci” (diversa pietra, luogo, tradizione, maestranze, capacità
costruttiva, ecc.).
La
forma troncoconica deriva da altre questioni strutturali, non dalla tecnologia
della cupola.
Parlare
di semplificazione tecnologica, significa semplificare (nel senso di
tradurre per semplici) l’arcano
costruttivo nuragico, la sua essenza. Ciò che, assieme all’esito formale, è in
grado di emozionare! Ma per sentire vibrare certe corde è necessario capire.
Per di più se non si capisce qualcosa, come si può farlo proprio e -nel caso
della Soprintendenza- come si può salvaguardare e valorizzare?
Ed
eccoci alla nuova e straordinaria novità del saggio: i nuraghi erano masserie agricole,
contenitori di ogni tipo di derrate e quant’altro. Posso ridere? Ho pensato,
visto che la mostra era a Milano, tutto sommato questa destinazione non sarebbe
stata sgradita a Berlusconi, che definì i nuraghi contenitori di ricchezze e
tesori del capo! Ho tradotto con “masseria” l’azienda agricola ipotizzata,
anche perché la masseria necessità del latifondo, paragonabile ai cantoni di
lilliana memoria.
E
poi: nessun elemento giustificherebbe la destinazione a culto?!?!?!?!?!?!?
Certo il saggista
archeologo si sta mettendo in un bel guaio. Nuraghi complessi =
masserie-aziende, nuraghi monotorri = semplici cascine rurali, proprio nella
mostra dedicata a Lilliu, che stabilì che la funzione dei nuraghi fosse
militare, come smentirlo spudoratamente? Come celebrare il sommo Archeologo sputtanandolo?
Affermo
sinceramente che l’escamotage del saggista è degno di tutta la mia ammirazione.
Il
nuraghe (massaria-azienda agricola) risponde all’esigenza di edificio
monumentale, fortificato, “cioè reso forte”, senza essere una vera e
propria fortezza, possente per suscitare ammirazione.
In
altre parole Lilliu ci aveva visto bene: fortezze, però non nel senso che tutti
abbiamo inteso! Ragazzi! Suvvia, uno piccolo sforzo di esegesi. Fortificato non
per la guerra, ma semplicemente reso forte, durabile, robusto,
monumentale! Ovviamente, il nuraghe, oltre a conservare, trasformare e
proteggere prodotti di ogni genere, era anche abitazione! Dai! butta dentro,
ammucchia roba, cibo, attrezzature, suppellettili, famiglie, animali! Eppure
non si trovano, cavoli!, tracce di materiale organico! Forse, continuando gli
scavi, qualche traccia verrà pur fuori, ma bisogna scavare, scavare molto in
profondità! In sintesi? Non chiudiamo alla possibilità che il nuraghe avesse
anche il cesso!
Potrei
continuare con le fantasie del modello espansivo delle masserie sul territorio
descritte dal saggista e la formazione del paesaggio (da cartolina), che
lascia però aperta anche alla possibilità che la dislocazione di qualche
nuraghe fosse decisa a seguito di vaticini, sogni, allucinazioni, o altri
presunti “segni” come la caduta di un fulmine, lo scoppio di un incendio, la
nascita o la morte di una persona o di un animale, l’accadimento di fatti
inspiegabili o preannunciati da racconti mitici?
Insomma qualche nuraghe poteva, ma eccezionalmente, essere
legato anche al sacro, o alla morte del cane o a fatti inspiegabili!
Continuare
mi crea problemi. Ho metri di veli pietosi. Li uso!
Mi
sia consentita (non a caso ho chiamato in causa anche Berlusconi) una
considerazione laterale.
Della
mostra ho saputo in questi giorni. Non
credo però che si siano levate voci di dissenso, soprattutto dagli archeologici
sardi. Anzi lo stile degli archeologi è quello del silenzio.
Mai
si smuovono per prendere posizione. Sono stoici e superiori ad ogni critica,
chiusi nella torre eburnea della verità vera. Nemmeno ovviamente prendono in
considerazioni ipotesi suffragate da molti indizi e prove, a meno che non siano
dette dalla casta. Tutto ciò che non sia accademico-archeologico è buono per la
pattumiera. Non si prenda nemmeno la briga di confutare!
Spesso
ci siamo detti, forse anche con un po’ di presunzione, per me legittima se si è
arrivati a qualche risultato logico e consequenziale con fatica: prima
tacciono, poi ti mettono in ridicolo, poi vinci. La fase del silenzio è
superata. Molti libri sono lì da anni, letti ed apprezzati: vedi Pittau che
contrastò la teoria dei nuraghi-fortezza, v. Zedda, v. Laner, v. Gigi Sanna, v.
Aba Losi, v. Mulas e l’elenco potrebbe continuare, anzi l’elenco ufficiale lo
si può desumere dai destinatari degli attacchi vigliacchi dell’anonimo untore
che ha imperversato per anni. Questa è la seconda fase, quella di metterti in
ridicolo, di attaccarti anche sul piano gli affetti personali. Di gettare
discredito in ogni modo, anche il più becero. Ora è noto che l’untore non era
solo e quale categoria gli dava corda. Il detto che ho richiamato sopra si
realizzerà.
*
Il “senso del grave” l’ ho appreso da Carlo Scarpa. Il grande architetto, allora preside della
mia facoltà sosteneva che questa qualità, già espressa da Leon Battista Alberti
che riduceva l’architettura all’arte di sollevare pesi e fare in modo che
rimanessero là, non era così diffusa
nemmeno fra gli architetti e gli ingegneri. Oggi potrei dire che spesso
un muratore ha molto più “senso del grave” di molti professionisti. Sicuramente
non è qualità propria di laureati in letteratura, o in molte materie
umanistiche, come l’archeologia, ovviamente con le dovute eccezioni!
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