di Dedalonur
Inevitabilmente il modello sociale da noi attribuito ai nuragici si riflette sulla natura e sulla funzione dei nuraghi, in un continuo gioco di sponda tra immagine mentale del nuraghe e le istanze sociali che produssero il nuraghe.
Così Lilliu, osservando i bronzetti, fece dei polilobati delle rege fortezze e dei monotorre fortini; Contu, considerando dell’uso e del commercio di rame sardo, parlò di funzione di controllo. Per Santoni il nuraghe fu un edificio di natura civile, simbolo di una società che gestiva in modo collettivo beni e risorse, modello poi superato dalla creazione dei “santuari federali”(come per Ugas e in contraddizione col Lilliu). Il Trump è sostenitore di una società egualitaria ma fa del nuraghe la sommatoria delle tre istanze della difesa del territorio, status, proprietà. Per la Balmuth invece il nuraghe è espressione ed esibizione di prestigio. Usai parla del nuraghe come simbolo di un potere non istituzionalizzato dn una società contraddittoria nella quale, se da un lato gli scambi commerciali marittimi presuppongono l’esistenza di una aristocrazia, dall’altro lato non emergono differenziazioni sociali ne nelle abitazioni civili ne nelle tombe. Ugas, vede già nella dislocazione dei proto nuraghi uno strumento di protezione delle risorse minerarie ed agropastorali; nel bronzo recente l’aumento degli scambi con l’esterno determinerebbe la più forte gerarchizzazione del territorio con i nuraghi polilobati. Per Perra, il nuraghe, il villaggio, la tomba dei giganti sono l’espressione più visibile dell’ineguaglianza di una società nuragica contraddittoria, divisa com’è, tra la spinta alla gestione comunitaria delle risorse e quella della aristocrazia emergente la quale tende ad impiegare il surplus economico per consentire la realizzazione dei Nuraghi e degli altri monumenti.
A tutte queste posizioni fa da sfondo il crollo della teoria Lilliana. La fine della regia fortezza, lasciò un vuoto incolmabile soprattutto a motivo del modo in cui rovinò. Essa infatti cadde su se stessa, la teoria militare implose sulle più elementari constatazioni che si possano fare intorno ad una fortezza; ma proprio per questo, essa non fu sostituita e superata da una valida teoria alternativa. Manca dunque anche una disamina organica che stabilisca ciò che della teoria del Lilliu và mantenuto e ciò che andrebbe rigettato; in questa situazione confusa, tuttavia, le reliquie della regia fortezza continuano ad influenzare gli studiosi. Non credo che il pensiero del grande Lilliu sia da rigettare in toto. Ma tra gli aspetti dell’eredità lilliana (per me) più deleteri ed ancora operanti, vi è quella della netta separazione tra le sfere del civile e del sacro, di cui più o meno tutti gli autori risentono. Questa dicotomia è visibilmente all’opera nel pensiero del Santoni e dell’Ugas. In questi studiosi la distinzione tra il civile ed il sacro viene addirittura utilizzato come la cartina di tornasole della decadenza politica. Nella trasformazione dei nuraghi in templi essi intravedono il tramonto della vecchia élite nuragica e del nuraghe. Tronchetti, applica tale criterio anche ai Giganti di Monte Prama per i quali, la rappresentazione di pugili più che di guerrieri dotati della specialistica panoplia è a sua volta segno di decadenza politica. Questo criterio e prospettiva mi pare opinabile potendo comportare varie storture nella ricostruzione della società nuragica. Soffermandoci momentaneamente sui Giganti di Monte Prama, oltre a rilevare la presenza di guerrieri si potrebbe comunque supporre che i pugili siano membri della stessa aristocrazia. Soprattutto, le statue sono associate ai modellini di nuraghi in un chiaro moto d’identificazione (reiterato in vari altri reperti), per cui è dubbio che si possa parlare di una decadenza del nuraghe. In realtà, questi autori coerentemente applicando la dicotomia tra civile e sacro, non possono leggere ed indagare il rapporto ideologico sussistente tra il pozzo sacro magari inserito nel santuario, ed il nuraghe polilobato. Di conseguenza, il riscontro della presunta decadenza politica trova conforto solo nel mantenere aprioristicamente valida la natura civile dei nuraghi. Altri ancora cercano di districarsi tra la contraddizione creata dalla coesistenza di tombe collettive (sinonimo di una società tribale e collettiva) ed il nuraghe frutto (per lo più) di una volontà aristocratica auto celebrativa. Sono soprattutto questi autori ad accennare alla funzione simbolica del nuraghe, ma qui si fermano, giacchè anche per loro continua ad esser valido il significato esclusivamente civile del nuraghe. È evidente per tanto, quali siano le storture consegnateci dall’invalicabile solco tra il civile e il sacro. Esso impedì ed impedisce tutt’ora d’indagare e magari riconoscere un solido legante ideologico tra i vari monumenti del kosmos nuragico. Privi di questa indagine gli studiosi subiscono passivamente, le contraddizioni (apparenti o reali) determinate dalla monumentalità nuragica. Una volta venuta meno la giustificazione militare per l’imponenza ed il numero delle opere nuragiche, la prorompente irrazionalità del nuraghe esplode sprigionando un generico simbolismo che credo debba essere considerato il più formidabile ostacolo alla ricostruzione della società nuragica e del nuraghe stesso. Il simbolismo del nuraghe è la cifra della nostra ignoranza intorno al nuraghe e alla società che lo produsse.
Se in qualche modo avessi ragione, la mancata esplicazione di un ideologia nuragica coinvolgente il nuraghe porta inoltre alla perenne confusione tra aspetti meramente ideologici e i reali fenomeni socioeconomici della società nuragica. Per esempio: la povertà e al contempo la imponente monumentalità delle tombe dei giganti sono fenomeni in contraddizione apparente o reale? La scelta di impiegare risorse per erigere tali monumenti, tuttavia presentando corredi funebri poveri, deriva da una ripartizione delle risorse in cui la torre, assume la priorità rispetto al corredo? Se la povertà dei corredi collettivi è reale, allora come spiegarsi la profusione di risorse nei Nuraghi? D’altro canto, se la povertà è apparente (come accade in numerose altre culture in cui l’aristocratico si mimetizza da povero) ed il nuraghe è il vero simbolo di ricchezza, qual'è il nesso (che a questo punto può esser solo ideologico) tra la tomba dei giganti ed il nuraghe?
A scanso di equivoci so bene come gli archeologi questi interrogativi se li siano posti prima e meglio di me. La Lo Schiavo, ha per esempio parlato più volte della tomba dei giganti come monumento di èlite. Altri hanno proposto indagini sulla ritualità delle stesse tombe, e dunque sulle istanze sociali che le presupporrebbero.
Ciò che a me preme sottolineare è che relegare il nuraghe in una sfera esclusivamente civile, od in una oscura nube simbolica, impedisce la valutazione del rapporto ideologico tra i due monumenti e quindi probabilmente, di capire sia gli uni che gli altri. Non mi pare sia un caso se si tenti di sciogliere i nodi gordiani della civiltà nuragica con analisi interessantissime ma di volta in volta, ponendo l’accento su di un singolo aspetto del nuragico e del nuraghe (commercio esterno, grandi polilobati, protezione delle risorse, attività edile impetuosa, presunta gestione collettiva risorse ecc.).
Non posso sottrarmi dal far presente gli imponenti problemi di ordine cronologico che bisognerebbe risolvere al fine di fornire una lettura ideologica del rapporto tra i monumenti nuragici. Una qualsiasi interpretazione elaborata risentirà dela collocazione dei pozzi sacri nel bronzo recente piuttosto che nel ferro. Analogo discorso per tutti gli altri monumenti. Ma su questo punto non v’è che da affidarsi agli archeologi: onore e onere loro è determinare le stratigrafie. Un altro problema pregiudiziale riguarda l’origine del nuragico. L’ipotesi più quotata del momento è la cultura Bonnannaro. Però su di essa gravano a sua volta, gravi problemi cronologici e al di sopra di tutto, la rarità dei contesti archeologici integri. Tra questi vi è per luminosità l’ipogeo di Iroxi, il quale ci parla di una società agropastorale e guerriera, dotata di buone conoscenze metallurgiche con alcuni contatti extrainsulari e già, in qualche modo, gerarchizzata (Ugas, Bernardini). Ma è ancora troppo poco per poter ricavarne una immagine sociale compiuta, e dunque stabilire il livello sociale, l'imprinting dell'identità nuragica. Si può invece tentar di approfondire un problema che riguarda più da vicino la questione della funzionalità del nuragico: l’uso delle ceramiche. A porre il problema è stato a più riprese il Campus. Questo autore lamenta l’assenza di una classificazione funzionale delle ceramiche nuragiche. Esiste ormai, una buona classificazione tipologica e una classificazione cronologica (con problemi vari). Manca invece una nomenclatura indicante quali attività i nuragici svolgessero con un coccio piuttosto che con un altro. Sempre il Campus propone varie soluzioni, ma i problemi, che io sappia, rimangono aperti. La questione è cruciale: se non sappiamo come i nuragici utilizzavano le loro ceramiche, com’è possibile stabilire come venissero utilizzate entro il nuraghe, e dunque l’utilizzo stesso del monumento? Soprattutto, credo esista un problema di livello diverso ed ulteriore. Il significato del coccio varierà a seconda che si trovi entro il nuraghe piuttosto che nella singola capanna o rimarrà inalterato, in quanto sempre e comunque d’uso civile? In altri termini, tale opera classificatoria sarà un lavoro di mera ripulitura (Kuhn) in quanto manterrà inalterata la distinzione tra civile e sacro? Se la mia domanda dovesse apparire poco chiara è perché, non ho ancora fatto notare in modo esplicito, come la funzione civile del nuraghe mascheri la funzione pubblica. Questo intendevo quando parlavo di legante ideologico nel kosmos nuragico. La dimensione pubblica del nuraghe (il che non vuol dire già e di per sé, edificio collettivo) è evidente. Essa fin qui è stata appiattita nella dimensione civile. Poniamo ancor più esplicitamente il problema: il ritrovamento e l’uso di un coccio potrebbe variare di significato a seconda che lo si trovi in un luogo pubblico (nuraghe) od in una capanna (cvile-privato)?
Credo che il problema vada posto. Sacrum profanum, publicum privatum habent; in questa frase di Plauto è visibile la fusione delle due sfere, quella pubblica e quella religiosa. Ciò che appartiene alla divinità (Sacrum) è altresì pertinenza del pubblico, mentre il profanum non avendo alcuna parte nel divino, è privato. A dimostrazione di quanto detto, basti ricordare l'istituto giuridico della consecratio (publicatio) bonorum. A seguito di un delitto (in origine un tabù religioso) per ripristinare la pax deorum, un bene privato doveva esser ceduto alla sfera divina tramite un elaborata cerimonia la quale a sua volta, attesta l'arcaicità dell'istituto (Francesco Salerno). Tramite la consecratio il bene abbandonava la sfera privatum-profanum diventando sacer-pubblicum, al fine del ristabilimento dell'amicitia tra dei e uomini. Potrei fare altri esempi, ma spero basti questo. Con questo non si vuol certo pretendere che le categorie romane siano di per sé applicabili alla cultura nuragica. Basti richiamare tra i tanti, Durkheim: “due fatti derivanti da due società diverse non possono essere comparati in modo utile solo perché sembrino somigliarsi; occorre che queste società stesse si somiglino cioè che costituiscano varietà della medesima specie”. Certo la società romana è di diversa specie da quella nuragica. Ma nelle varie società del bronzo solo le culture più avanzate possono vantare luoghi “esclusivamente” preposti alla divinità e luoghi esclusivamente dediti all’esercizio del potere pubblico: penso agli egizi e agli ittiti. Un parallelo che si potrebbe proporre è quello del mondo miceneo, dove la probabile assenza di un ceto sacerdotale portò al mantenimento del Wanax come pontefice e re coadiuvato dai nobili in funzione di sacerdoti, e del megaron come principale luogo cultuale e di decisione politica. Credo non sia balzano immaginare anche per il nuragico, una più o meno perfetta simbiosi del Sacer-pubblicum. Un esempio di come questa prospettiva modificherebbe le interpretazioni attuali sul nuragico si può già scorgere nella sua applicazione ai concetti espressi dal Santoni, Ugas, Tronchetti. La maggiore religiosità espressa dai nuragici con il sorgere dei santuari già nel 1200 a.C. di per sé non comporterebbe l’esautorazione del nuraghe dalle sue funzioni originarie (comprovando la decadenza politica), ché infatti continua ad esser venerato quale totem di quella società. Comporterebbe soltanto una maggiore articolazione della funzione pubblica e dunque (eventualmente) della ritualità e del culto, che a sua volta rimanda ad una maggiore articolazione della società nuragica. Va ovviamente sottolineato con forza come la dimensione pubblica a sua volta, non dimostri di per sé il culto e la ritualità entro il nuraghe. Non di meno, poiché la dimensione pubblica è condizione necessaria anche se non sufficiente per parlare di Nuraghi come “templi”, è davvero possibile escludere dal nuraghe pubblicum il sacer? In una società come quella nuragica che almeno sino alla produzione degli askos, non ebbe una produzione vascolare esclusivamente dedicata alle funzioni liturgiche, inquadrare un determinato vaso nel suo utilizzo pubblico potre dischiudere nuovi sentieri. A queste domande non si può rispondere se non analizzando l’ideologia sottesa ai nuraghi, pozzi sacri, megaron, tombe dei giganti, rotonde e quant’altro, nel tentativo d’inquadrare lo sfondo religioso e individuare i segni di rito e culto. Il danno prodotto dal modo con cui la teoria delle rege fortezze crollò, lasciando del tutto in vigore la dicotomia civile-sacro, è che tale domanda non risulta ancora posta e affrontata per il, Nuraghe.
Da qui, credo, la palude.
Bello il tuo lavoro Ded, e mi piace molto il tuo sottolineare il link tra pubblico e sacro e la frattura civile-sacro che appare incolmabile nel pensare i nuraghi ed ai nuragici.
RispondiEliminaE' mia convinzione che solo i documenti scritti possano darci una risposta=fare la storia, in parte ce l' hanno già data con la radice NUR-luce, più volte ritrovata anche in forma lineare (quindi "facile"). Gli studi di Mauro, ma non solo i suoi, me lo hanno confermato-anche se lui non fa il collegamento. In queste stesse pagine si è da poco scritto di sole, di toro ecc. tutti elementi che emergono anzi spiccano, nei documenti epigrafici.
Al di là di questo, la mia impressione è che in qualche modo abbiano a che fare con la morte o/e la supposta resurrezione via una qualche "tecnologia" astral-divina.
Vista la mia ignoranza, mi dici cosa sono le rotonde? qui a parma ne abbiamo una ogni 55 metri di strada (si riproducono) ma immagino che tu intenda altro..
Ciao Atropa,
RispondiEliminami spiegheresti meglio il discorso nur-luce???
Grazie
Caro Fabrizio
RispondiEliminanon voglio qua abusare dello spazio di Dedalonur: vediti questo post, per la radice consonantica semitica NR/NL (= luce)
http://gianfrancopintore.blogspot.com/2010/05/scrivere-nuraghe-e-come-scrivere-srdn.html
avrei dovuto apporre le seguenti Scuse al Lettore, come note a margine dell'articolo:
RispondiEliminaPrima scusa: credo che debba concordare con Mauro del fatto che l'opera di demolizione della teoria del nuraghe fortezza sia dovuto anche all'opera del Pittau. se nelmio breve "articolo" non lo cito è per mia ignoranza: ancora non sono riuscito a leggere alcuna sua opera. me ne dispiace perchè son certo del fatto che avrei trovato numerosi spunti con cui dar più spessore alle riflessioni di sopra.
Seconda scusa: per la mitragliata criminogena della parola Nuraghe ripetuta una cinquantina di volte.Ho avuto poco tempo per l'editing: è quasi ferragosto pure per me..
@ Atropa:
si tratta di edifici "cultuali". Collegati in qualche modo al culto dell'acqua (canalette) e del fuoco (braciere).Sono fatte con conci isodomi, però alcune di esse sono rifasciate con tali conci: prima erano cioè come le grandi capanne delle riunioni nuragiche, con conci poligonali.
http://www.sardegnadigitallibrary.it/index.php?xsl=626&id=86240
Caro Dedalonur , tu parli di caduta della teoria di Lilliu, ma sei proprio sicuro che sia caduta?
RispondiEliminaA me non pare prorio che gli archeologi abbiano preso atto della confutazione della confutazione che Pittau fece della teoria del nuraghe fortezza.
Certo gli archeologi che citi stanno cercando di fare nuove proposte, ma, fatte salvo Trump o la Balmuth, non mi pare che gli altri abbiano abbandonato il teorema lilliano, mi pare che seppur con dei distingui sono ancora in quell'alveo teoretico.
Prova ne sia che non citì nè Moravetti nè la Tanda che sono i più alti in grado!
Hai messo tanta carne sul fuoco, bisognerebbe metterla un po alla volta, e provare a fare una severa analisi critica delle proposte, dei diversi autori che hai citato.
Da chi cominciamo? Io inizierei da Lilliu!
Caro Mauro, mi costringi ad una ulteriore premessa: Ricordo a tutti che non sono archeologo. Di conseguenza cito gli autori che conosco meglio. Di Moravetti ho letto qualche articolo sparso (molti di quelli che citi nella bibliografia del tuo libro li ho letti): ma detto sinceramente non sono riuscito ad estrapolare un idea di società definita. per cui non me la sento di dare un giudizio su di lui.di Giuseppa Tanda vi è da dire che sui nuraghi non ha scritto quasi niente, e in quel poco che ha scritto si è affidata a Lilliu. Per le mie letture, mi sono concentrato su autori che riescano a darmi una visione complessiva...; Di Lilliu, posso dire di conoscere molto: senz'altro le opere principali. Non so quanto (spero il meno possibile) potrebbe essermi sfuggito vista la sua produzione enciclopedica.degli altri conosco i testi che pure tu citi nella tua bilbografia (infatti l'ho sfruttata..). Mi pare una premessa dovuta. Non voglio essere il giudice sommario della archeologia isolana come potrebbe apparire (qualcuno potrebbe pensarlo): tengo a far presente i miei limiti.
RispondiEliminadetto questo e per risponderti: mi puoi dire cosa tu intenda per "caduta"? il problema sta nell'intedersi sul significato del termine. Tu per esempio, visto che hai una visione molto particolare della società nuragica (che come sai io non condivido del tutto), potresti intendere "caduta" con: sostituzione del paradigma Lilliano con il tuo paradigma: società del tutto egualitaria, "pacifica", ecc. se la intendi così dubito che la teoria Lilliana cada del tutto. se intendi dire che non sia caduto perchè alcuni sostengono ancora la teoria della fortezza, allora è nei fatti che quella teoria sopravviva (per es. in Ugas).
ma nella maggior parte degli autori trovo che rimangano davvero in pochi coloro ch siano convinti dei nuraghi come fortezze. per cui da quest'altro punto di vista si potrebbe dire che il nuraghe fortezza, sia crollato (conta l'opinione prevalente).
nel mio piccolo articolo, dico piuttosto che se è venuto meno il convincimento generale sul nuraghe come fortezza, rimangano ben saldi alcuni postulati della teoria lilliana: quello di cui ho parlato è il postulato (per me) negativo. Ed anche da questo punto di vista si può dire che la"fortezza" non sia ancora espugnata.
Ma in Lilliu sussistono anche dei postulati "positivi", o meglio, delle questioni inattuali. questi, se ho ragione intorno alla loro natura inattuale non verranno mai meno. non mi chiedere quali essi siano perchè li sto ancora studiando.
ciao.
Secondo voi la cultura nuragica potrebbe essere stata sciamanica in qualche misura? E, in caso affermativo, potrebbe ciò aver avuto un ruolo nella funzione attribuita agli edifici? Cosa ne pensate?
RispondiElimina@Austiinu, il problema che hai posto è una dlle questioni più importanti da capire.
RispondiEliminaEsisteva una classe sacerdotale o quella nuragica era una religiosità sciamanica?
Io ritengo più verosile che si trratava di una religiosità sciamaniche, dove però più che di sciamani si trattsva di sciamane, che in ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO NURAGICO ho definito meigas.
La questione è di fondamentale importanza in quanto ha delle fondamentali implicanze nei caratteri della sosietà nuragica , una società con una classe sacerdotale, si configurebbe come una società a chiefdom , mentre ad una di tipo sciamanico dovrebbe corrispondere una società egualitaria.
mauro peppino zedda
Caro Mauro, non mi pare corretta la tua impostazione. i micenei non avevano alcuna classe sacerdotale ed erano almeno uno chiefdon (ma c'è chi parla persino d'impero). dobbiamo metterci in testa che la classe sacerdotale intesa come ceto esclusivamente dedito alle funzioni liturgiche, è della società statuale. nell'età del bronzo questa caratteristica l'avevano in pochissimi: Ittiti eed egizi. Presso questi popoli il clero era (che io sappia) una "professione" specialistica degli scribi.Nel senso che per diventare sacerdote, occorreva diventare prima scribi (così come per diventare funzionario dell'esercito e amministrativo) per poi si approfondire le conoscenze in campo religioso e così specializzarsi.
RispondiEliminalo chiefdom che io sappia, non ha tra i suoi requisiti esclusivi la presenza di un ceto religioso a se stante. Non ricordo comparisse per es, tra i requisiti di Renfrew e Bhan (anche questi da prendere come parametri indicativi). Inoltre nelle società possono configurarsi tantissime situazioni intermedie e più sfumate. lo stesso sciamano sempre che io sappia, può essere uno che si mimetizza nel popolo ed espletare le sue funzioni solo in particolari occasioni, oppure può essere un soggetto distinto e temuto dalla collettività con una posizione di prestigio che lo sottrae ale mansioni ordinarie (in questi casi si può parlare di un ceto sacerdotale in embrione).
le classificazioni sociali (tipo appunto quelle di renfrew) sono utili ma quando si usano per sussumere a determinati sociali una realtà ..bisogna ben guardarsi dall'usare l'accetta.
@ Austinu:
ance Lei mi pare parta da una dicotomia di fondo: quella tra una concezione religiosa sciamanica da un lato, e una concezione religiosa evoluta cioè dotata di una sua mitlogia, divinità, ecc. Se ricordo bene lo stesso Mircea Eliade metteva in guardia da queste distinzioni artificiose, e in un suo testo portava esempi di elementi sciamanici nelle religioni "evolute"come quella greco romana. a maggior ragione dovremmo presupporre che in Sardegna queste pratiche sciamaniche ci fossero e le fonti storiche...ci segnalano persino i sardi come dei necromanti.
Però stabilire che cosa i nuragici facessero nei nuraghi è tutta un altra questione.
@ Dedalonur e Mauro
RispondiEliminaGrazie, risposte interessanti...
Potreste per favore indicarmi qualche testo dove poter approfondire questi temi? Anche per esempio le fonti antiche che descrivono i sardi come necromanti...
@ Dedalonur:
Non vedo necessariamente una dicotomia tra concezione sciamanica e evoluta. Anzi qualche volta mi viene il dubbio che la concezione sciamanica sia evoluta quanto quella cosiddetta evoluta. Nelle tribù native delle pianure del Nord America per esempio, lo sciamanesimo comprende mitologia e divinità. La mia domanda nasce dal fatto che, avendo approfondito alcuni aspetti della cultura dei Lakota, ho provato ad immaginare di confrontare alcune delle loro concezioni con le nostre. Semplice curiosità dunque, non sono per niente ferrato. Però per esempio, il modo in cui danziamo in Sardegna e le musiche stesse mi hanno molte volte fatto pensare che potessero avere una qualche valenza sacra anticamente. Magari un modo per raggiungere la trance sciamanica. Insomma niente di supportato da fatti scientifici, solo curiosità sbrigliata. Ma a volte cambiare prospettiva completamente può rivelarsi utile per suggerire approcci nuovi ai dilemmi che ci troviamo davanti parlando di civiltà nuragica. Per esempio facciamo costante riferimento alla cultura mediorientale e greca per analizzare la nostra storia, perchè non guardare a culture magari più lontane geograficamente ma più vicine nelle concezioni del mondo. Che ne pensate?
@ Austino:
RispondiEliminase scarica (da digital Libry) il libro del Mastino sulla storia della sardegna troverà il passo in questione. Si trattava, se ben ricordo di una motizia epistolare. purtroppo non è descritta la tecnica del necromante sardo a di cui si parla: ne rimarrà deluso, glielo anticipo. Però leggere non fa male..
Se vuole approfondire le qestioni sullo sciamanesimo, ovviamente il libro dello stesso Mircea Eliade.
Austinu scrive:
Per esempio facciamo costante riferimento alla cultura mediorientale e greca per analizzare la nostra storia, perchè non guardare a culture magari più lontane geograficamente ma più vicine nelle concezioni del mondo. Che ne pensate?
che l'analogia etnoantropologica è uno strumento che va adoperato con cautela... ;)
Mauro, tu ritieni che la società nuragica fosse una società egualitaria, allora favorisci la presenza di sciamani che (circolarmente) favoriscono la presenza di una società eguaglitaria. Ma su quali basi oggettive, me lo spieghi?
RispondiEliminaAdesso poi che Ded ha associato i sacerdoti all' attività scribale, immagino che parteggerai ancor più per le sciamane..
Ciao Dedalo
RispondiEliminaSuperare la barricata della netta distinzioine tra sfera del sacro e del civile nell' ambito di un costrutto teorico sull' umanità nuragica, è senz' altro un passo che occore fare. Anche io son dell' opinione ( ma già discutemmo di ciò in altra sede) che nella quotidianità nuragica gli aspetti del sacro e del civile fossero profondamente intessuti. Quanto ciò si ripercuota sulle origini e lo sviluppo delle strutture nuraghe è palese. Com'è palese che ,di conseguenza ,sarebbe doveroso cambiare approccio anche nell' imbastire un ipotesi sul modello di evoluzione sociologica da attribuire ai popoli nuragici e in ciò,il fattore sacro-civile, gioca un ruolo fondamentale.
Comunque ottima riflessione la tua!!!
A presto
Faulas
Grazie caro Faulas, è scritto da cani...causa ferragosto e infognamenti vari. Ma se si riesce a coglierne il senso vuol dire che non è stato un buco nell'acqua.
RispondiEliminaIl tuo intervento mi da il destro per puntualizzare una aspetto che nell'articolo ho colpevolmente dato per implicito;
definire gli spazi, individuare un confine tra il pubblicum/sacer da un lato e il profanum serve a non cadere di nuovo nell'indefinita e vaga polifunzionalità. Serve a dargli un contorno e degli argini privi dei quali suabiamo passivamente le contraddizioni senza poter neppure tentare di risolvere.
Il problema che pongo è in realtà, se il nuraghe appartenesse alla quotidinità o meno.
cioè se come luogo pubblico, vi si svolgessero attività "ordinarie" da un punto di vista materiale ma non nel loro significato.
Per superare questa empasse va appunto studiata quale fosse la dimensione e l'ideologia pubblica nuragica da opporre (non più a quella sacra) a quella civile e meramente quotidiana.
Un esempio: una cosa potrebbe esser macellare un capretto in una capanna. un altra sarebbe compiere lo stesso atto in un nuraghe.
Risottolineo che quest'atto compiuto nel nuraghe potrebbe senz'altro rientrare nella dimensione del sacro, ma non ancora in un rituale o atto di culto.
non ci abbandonare. ciao ;)
@ Atropa:
non preoccuparti Mauro non farà questo perchè ove lo facesse, gli opporrei l'esempio dei Druidi.
D'altro canto io (come sai) non accetto a priori l'assioma società statuale-scrittura; società non statuale analfabetismo totale.
Società non statuali posono sviluppare sistemi elementari per far di conto e quindi dei simboli. poi si tratterebbe di capire cosa s'intende per ideogramma.
ciao.
Caro Dedalo
RispondiEliminaLa "indefinita e vaga polifunzionalità" nelle mie ipotesi perde i connotati della tua aggettivazione. Un approccio corretto dovrebbe esser quello di focalizzarsi sul "sistema nuragico" e non su singoli aspetti della fenomenologia in discorso. In parole semplici si tratta di studio del paesaggio nuragico e dell' intrazione tra strutture singole e complesse nell' ambito di una medesima porzione di territorio,unitamente al numero e posizionamento di Tdg e pozzi( mettiamo anche circoli e aree sacre!).A corredo poniamo le informazioni (certe!!) a disposizione circa le attività praticate all' interno delle strutture nuragiche: metallurgica,tessile,di magazzinaggio,rituali,di vita quotidiana.Sulla polifunzionalità verticale(temporale) si può discutere dopo, una volta accertata o dimostrata quella orizzontale,discorso che ci riporta tout court alla ricerca della scaturigine dell' input in aedificando.
Saluti
Faulas
caro Faulas,
RispondiEliminasu quanto dici, in parte ti ho gia risposto nell'altro post di Dedalo.
In quel commento ho scritto che non si può prescindere dai risultati che emergono dalle interazioni emerse dalla distribuzione dei nuraghi della valle di Brabaciera, dove l'ingegner Marco Sanna esperto matematico (la sua analisi prima di farla mia l'ho fatta visinare anche a prof accademici di matematica, per es. Giuseppe Arca dell'Università di Cagliari) ha detto chiaro e tondo che applicando il teorema di Bayes (o delle cause) il caso di Brabacierà dovrebbe essere comune e non l'eccezione.
In altre parole un approccio serio alla analisi del paesaggio nurgaico deve prendere in considerazione che i nurgahi sono stati dislocati e ubicati secondo un criterio astronomico.
Su quanto hai detto due altre osservazioni, l'analisi deve essere diacronica e sincronica. Come ho cercato di fare nel mio Archelogia del Paesaggio Nuragico, ovviamente si potrò fare sempre di meglio!!
Quando iniziano a costruire nuraghi non c'erano i pozzi sacri e quando iniziano a fare questi stanno per smettere di fare nuraghi!!
Insomma bisogna pensare al paesaggio nuragico come ad un processo, piuttosto che ad un quadro in cui si inseriscono gli elementi senza stare attenti alla loro cronologia.
Uno studio di archeologia del paesaggio, deve capire come i nuraghi , i villaggi , le tombe di giganti si inseriscono in un paesaggio dilazionato nel tempo.
Insomma le "fotografie" da fare sono molte.
Infine sulla funzione dei nuraghi, nessun archeologo si è mai preso preso la briga di analizzare con compiutezza gli spazi interni, ed infatti, nelle loro planimetrie, spesso e volentieri ommettono pure le scale che dovrebbero indicare le dimensioni.
Credo che dall'analisi degli spazi si possa escludere che i nuraghi fossero delle fortezze astronomicamente orientate!
Il dato astronomico è il dato certo, se qualcuno riuscisse a dimostrare che sono fortezze dovrebbe classificarle come fortezze astronomicamente orientate.
Nei giorni scorsi, non ho potuto rispondere ad Aba e a Dedalo sulla questione della gestione del sacro nel mondo nuragico.
RispondiEliminaOvviamente è inutile dire che in questo aspetto non vi sono le certezze che abbiamo sul significato astronomico dei nuraghi.
L'unica cosa che appare certa è che la prima fase nuragica è aniconica (come nel prenurgaico a partire dai Monte Claro) e poi diventa iconica a partire dal Bronzo Finale o dall'età del ferro (a seconda da come si risolverà la questione della cronologia dei bronzetti).
Se il sacro fosse stato in mani maschili il mondo nuragico si sarebbe strutturato secondo strutture piramidali a chiefdom teocratici (che a mio parere avrebbe dato luogo ad un paesaggio nuragico diverso da quello che abbiamo).
Chi sostiene lo chiefdom, non ha mai veramente portato sino in fondo la sua analisi quanti chiefdom c'erano quanto erano ampii, quale era il centro, ecc. ecc..
Un sacro in mani femminili, antico retaggio Neolitico (e probabilmente anche Paleolitico), con un potere politico maschile, con antiche consuetudini tribali (uso del territorio) che dovrebbero affondare almeno per certi aspetti le loro radici nel Mesolitico (la presenza in Sardegna di tre popoli), ha fatto in modo che si sviluppasse un sistema sociale egualitario dove i capi venivano eletti.
Insomma la Sardegna preistorica e protostorica, a mio parere, non conosce la ereditarietà del potere.
@ Mauro,
RispondiEliminaCerto in questo spazio non puoi argomentare efficacemente le tue proposte ma poichè io le trovo le stesse nel tuo libro, posso dire di trovarle un poco preconcette.
Trovo sbagliato postulare che se il sacro si trova in mano femminile si sia in presenza di una società egualitaria. Il sacro in mano femminile è sempre in presente anche in società patriarcalie piramidali. Grandi divinità maschili furono serviti da "clero" e fedeli femminili. Service addirittura parlava di matriarcati retti a chiefdom. Non ricordo gli esempi che fece, non ho i libri di Service, ma ricordo distintamente che ammise questi esempi. Anche se si trattava di casi eccezionali è doveroso farli presente, quando si argomenta.
Trovo sbagliatissimo, collocare Monte Claro nel prenuragico. perchè anzitutto tra monte claro e il nuragico vi è la cultura di filigosa. Soprattutto perchè nell'immediato prenuragico appena 50 anni prima (allo stato attuale dell'arte che piaccia o non piaccia) c'è l'epicampaniforme a2: Iroxi, per semplificare (mica monte claro). dall'epicampaniforme la futura società nuragica ereditò: l'idelogia funeraria megalitica; le fogge ceramiche tripodi a parte;che però significativamente scompaiono gia nel Bonnannaro A2 iroxi mentre sono presenti nel più risalente bonnannaro a1; ereditano la metallurgia: le daghe iroxi sono simili a quelle del primo nuragico (lo schiavo Ugas). Questa cultura doveva conoscere la navigazione. sia perchè fu in contatto con popolazioni (sempre guerriere) italiche. sia perchè a detta di ugas, le allè absidate che la contraddistinsero si trovano collocate anche in altre parti del mediterrano. sia perchè provenì in Sardegna da altrove: è lampante la cesura con le precedenti civiltà sarde, le ceramiche parlano chiaro. Vi furono sincretismi, probabilissimo, ma ciò non sposta cronologicamente il prenuragico sino a Monte claro. chiaramente le spade di iroxi rimandano ad una società guerriera e in questo caso, il discorso più verosimile da farsi è che la sardegna fosse gia proiettata verso uno chiefdom di tipo semplice (non esistono solo gli chiefdom complessi) al momento dell'alba nuragica.
Collocare Monteclaro, (piuttosto che bonnnaro a2) nel prenuragico falsa l'immagine del nuragico di partenza e dunque tutta quanta la ricostruzione della società nuragica. come hai detto tu a faulas, mettiamo in ordine e sequenza corretta le varie fasi altrimenti ragioniamo sulle nuvole.
Infine, non ti pare che i grandi polilobati (che nascono poco prima dei pozzi sacri: fine bronzo medio inizi bronzo recente) non possano essere il centro politico cerimoniale della società nuragica? perchè dovrei pretendere un unico super-centro isolano per poter parlare di chiefdom?
Ti faccio presente che le tribù germaniche o quelle mongole che utilizzavano spade erano fortemente egualitarie.
RispondiEliminaSu monte Claro non ho detto che sia la cultura appena precedente il nuragico, ho detto che a partire dai Monte Claro inizia l'aniconismo.
Sulla navigazione bisogna intendersi, pensare come pensa Ugas che i nuragici avessero una flotta in grado di invadere l'Egitto, creare teste di ponte in Palestina e mettere a ferro e a fuoco l'intero Mediterraneo Orientale, mi pare una proposta inverosimile.
Se per navigazione si intende che i nuragici (ante XIV secolo) avessero dei contatti con le popolazioni del Mediterraneo Occidentale attraverso piroghe allora siamo nel campo del verosimile.
Mauro Peppino Zedda
Caro Dedalo nel libro Archeologia del Paesaggio nuragico ho provato ad affrontare senza preconcetti il tema della struttura sociale del mondo nuragico.
RispondiEliminaChe il mondo nuragico fosse strutturato secondo una serie di chiefdoms non esiste una articolata e seria teoria, anche se vi sono dei sostenitori (Mauro Perra; Alessandro Usai) che lo postulano senza darsi pena di spiegarne l'articolazione.
Si potrebbe dire che Giovanni Lilliu fu un antesignano del modello a chiefdom, ancor prima che questo modello venisse codificato secondo schemi scientifici dalla moderna antropologia.
ma il modello di Lilliu fa acqua da tutte le parti.
Giovanni Ugas ha infatti corretto il modello del suo Maestro proponendo un modello simil feudale, che se da un lato risolve alcune lacune del sistema di Lilliu dall'altro ne fa emergere delle altre (pensare ad una rete di 10000 castelli e fortini in miniatura è alquanto irrealistico).
In un modello a chiefdom quanto pensi che ogni chiefdom debba essere ampio?
In un modello a chiefdom quanto pensi che ogni chiefdom debba essere ampio?
RispondiEliminacaro Mauro dovrei stimare quanto un ipotetico chiefdom fosse ampio? a che serve? Infatti gli chiefdom possono essere estremamente complessi o minuscoli e semplici. io ho letto di chiefdom (classificati come tali nella letteratura) di 1000 abitanti il cui capo ereditario non si distingueva affatto dalla popolazione restante, tranne che per un particolare seggio (abitazione, tomba, non erano formalmente distinguibili) e tutto qui. secondo me dovresti chiederti cosa per te sia uno chiefdom...
Tieni presente:
l'antropologia può descrivere compiutamente (anche se pure lei non può comrendere tutto) la complessità di chiefdom perchè studia tale sistema da vivo e vegeto. se l'antropologia non potesse fare interviste, ma solo autopsie come fa l'archeologia, ci sfuggirebbe gran parte di tale complessità pichè il dato archeologico o non ce lo può tramsettere affato o lo rende controvertibile come nel caso dei sisteni di irrigazione o dei terrazzamenti.
Sulla navigazione: mi spiace ma siano in forte disaccordo. Medas parla di marineria in senso compiuto gia per i tempi neolitici. che tu attribuisca ai nuragici del bronzo medio, ancora le piroghe neolitiche mentre tutto il resto presenta un forte progresso, mi fa rintenere che la tua immagine della marineria nuragica sia inverosimile. Non posso immaginare che mentre tutto è in progresso lento ma cosyante solo la carpenteria navale rimanga ancorata alla tecnologia neolitica..
Sugli shardana (che in questa discusione non c'entrano nulla) faccio presente che sulla visione che tu prospetti non sarei d'accordo. il punto è che non è quella la visione che bisogna avere dei shardana.
ciao