di
Franco Laner
-Cosa
intendi per chevron?- mi chiede fra gli altri Giorgio Pala, egregio amico sardo
(anche egregio meriterebbe spiegazione per capire bene perché uso questo
aggettivo). - Hai presente il logo della Citroen? Quello!-
Ma
con gli chevron della simbologia universale a partire dal paleolitico, non ha
parentela. Il sig. Citroen lo usò per un suo brevetto di ruote dentate a V e
rimase come logo per le auto che costruì col fratello.
La
signora degli chevron è Marija Gimbutas, lituana, docente negli Usa, con
l’altrettanto grande J. Cambell. Il suo libro “Linguaggio della dea”,
Longanesi, 1992 credo che ci sia nella biblioteca di ogni archeologo, come io
nella mia ho la copia anastatica di Palladio.
fig 1 Da Gimbutas. Simboli gemmati dall'archetipo V tipici della dea madre. La presenza del simbolo rielaborato nella cultura di Ozieri (3800 a.Cr.) da ceramiche di Monte d'Accodi e da Conca Illonis.
Il
segno primigenio dello chevron è la V, segno pubico che poi si articola con
varianti: si chiude a triangolo, si moltiplica a zig-zag, si sovrappone appunto
a chevron, è il simbolo per eccellenza della dea uccello e dea madre. A questo
segno il libro dedica i significati, nelle diverse civiltà primitive. La
Gimbutas, con una visione davvero globale, riporta una figura della cultura di
Ozieri 3800 a.Cr., dove due V simmetriche formano figure danzanti femminili
(1).
Ho,
non penso di sbagliarmi troppo, un punto fermo di approccio all’arte e
all’architettura sarda, non solo del passato.
Sardegna,
isola al centro del lago mediterraneo e
sulle cui rive si sono formate le grandi civiltà, è crocevia obbligato. La
Sardegna è laboratorio: recepisce, rielabora e spesso esporta ciò che inevitabilmente
le sbatte contro, con aggiunzioni e creatività, in continuità col proprio genius loci.
Esempi
di laboratorio, come le scene dipinte su ceramiche della cultura di Ozieri con
la V protagonista e declinata con singolari interpretazioni, ce ne sono a iosa.
Accenno
al tumulo di sepoltura diffuso, gonfiore della madre terra pregna, nel
Mediterraneo, come le navetas delle Baleari, che in Sardegna diventa la Tomba
di Giganti, con la straordinaria aggiunzione dell’esedra e della stele col
simbolismo inferi-terra-cielo.
Ancora?
Saccargia, splendida rielaborazione del Romanico toscano.
Torniamo
agli chevron, simbolo di fertilità, di procrezione, di vita. La Gimbutas
raccomanda di non intendere la V e combinazioni come decorazione: sarebbe
riduttivo e privo di inferenza
archeologica. Il segno è intriso di sacro e raffigurato su tutto ciò che
afferisce al sacro, ai riti e alle cerimonie.
Il
segno, specie nella sua declinazione a zig-zag e chevron, è presente nei
frammenti di Monte Prama e sui coronamenti delle cosmologiche torri dei
cosiddetti modelli di nuraghe (2).
fig. 2. Da Monte Prama. Coronamento di torre centrale con iterazione della simbolica V.
Riuscirò
prima o poi convincere gli archeologi sardi di non chiamare così questi
simboli, altari, che sono modello del cosmo, icona, mandala, da sempre in tutto
il mondo, come in Africa, medio ed estremo Oriente, ecc.? Si potrà ogni tanto, uscire dal
provincialismo che caratterizza la loro ricerca nuragica? Si leggano gli atti
del convegno internazionele di archeologia in Sardegna del 1929 dove il modello
appartiene al sacro anche per Taramelli (! sì quello del nuraghe fortezza, gran
maestro di Lilliu sul nuraghe fortezza) dove i bronzetti (Ittireddu) sono
interpretati come modello di tempio, che
si costruisce in armonia con la visione cosmologica.
E
una volta per tutte. Se i nuraghi sono fortezze, perché farne un modello?
Arriviamo
al dunque e vorrei che si condividesse, almeno per un istante, lo scoramento e
il disappunto nel leggere la didascalia ad una immagine della sommità della
torre con V ripetute in un libro collettaneo di archeologi sardi su Monte
Prama, che recita, a commento dei segni sul coronamento: "La decorazione
triangolare verosimilmente indica il parapetto in legno"
Ahimé!
Amarezza e dolore, anche fisico, mi pervade e svuota.
Mi
fermo qua. Potrei a lungo discutere se i nuraghi abbiano mai avuto parapetto,
ma intuisco che non interessa a nessuno,
trasformare però un simbolo sacro in un parapetto, mi annichilisce.
Nella decorazione della banda di un arciere, spero si veda nella fotocopia, le
righe orizzontali parallele sono interrotte da V iterati.
Sono
parapetti? Cosa si teme che caschi di sotto?
fig. 3.
Egregia lavorazione della banda, stola, di un arciere con evidente l'iterazione
del propiziatorio simbolo a V fra le righe orizzontali.
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