di Franco Laner
Con oggi, fine agosto, finiscono le mie vacanze. Sono
rimasto a casa, complice l’estate non afosa, in ozio!
Fra le mie vacanze, è stata una delle migliori. Nel
rispolverare temi nuragici, complice l’ospitalità nel blog di Mauro, non vorrei
essere stato un tormentone. Comunque per ora basta.
Sicuramente non appare, ma ho una particolare affezione
per la Sardegna. Tuttavia ciò che ho scritto è solo una tiratina d’orecchi anche
se non ne sono legittimato. Ma come scrissi a Lilliu che rimproverava e non
gradiva gruppetti di scellerati, autodefinitesi archeoastronomi, che pullano
senza discernimento sui nostri nuraghi, (si capiva nell’articolo che si
riferiva a Mauro Zedda, Mauro Maxia e sottoscritto) si consideri che come
Venezia, anche la Sardegna è patrimonio dell’umanità pertanto, né Venezia è dei veneti, né la
Sardegna dei sardi. Di leghismo già bastava e avanzava quello veneto. Mi arrogavo dunque il diritto di cercare, in Sardegna meglio che
altrove, le mie origini umane.
Per me la storia archeologica sarda andrebbe riscritta e
non sarebbe difficile, basterebbe smetterla con nuraghe-fortezza, madre di ogni
sciocchezza, ed assegnare il nuraghe alla sfera del sacro.
Fig. 1 Statuina dell’ arte Vinča, ritrovata presso Belgrado.
La dea ha le sembianze dell’uccello. Simboli a V e chevron sono presenti nella
bellissima statuina neolitica.
Il recente ritrovamento in Serbia di una singolare
composizione della dea uccello (1) consente di ampliare l’area del simbolismo
cosmico quadripartito
Già la presenza di modellini cosmologici era stata segnalata
in diverse località africane dal grande etnologo Leo Frobenius nel suo libro
sulle civiltà africane del 1950 (2).
Fig. 2 Da “Sa ‘ena”, Laner, 2011. Modello cosmologico
africano.
Fig. 3 Da “Sa ‘ena”, Laner, 2011. Altari, troni ed altri oggetti ripetono l’immagine del mondo diffusa presso tutte le culture arcaiche, africane, orientali e mediterranee.
Anche nel Convegno Archeologico in Sardegna del 1926 il tema
fu trattato diffusamente. Peccato che Lilliu non fosse stato ammesso, non tanto
per la sua giovanissima età –a 12 anni ne sapeva quanto bastava– ma era ben
nota la sua posizione di intransigenza sulla priorità mediterranea del modello
di nuraghe.
Ora l’indagine è stata estesa all’Isola di Pasqua per
l’intrigante presenza di un omphalos (axis mundi) molto simile all’omphalos di
Monte d’Accodi, archetipo –secondo Mircea Eliade– delle rappresentazioni
cosmologiche in tutto il mondo, con
probabile origine in Medio oriente (v. rappresentazione mandalica).
Fig. 4 Da “Sa ‘ena”, Laner, 2011. Omphalos di Monte d’Accodi e Isola di Pasqua. Stessa rappresentazione cosmologica. Considerati i luoghi e i tempi, e quindi l’impossibilità di contaminazione emulativa, è legittimo parlare di comune punto d’arrivo spirituale, puro frutto del cervello umano. O vogliamo discutere chi l’abbia fatto per primo? L’idea di maglia rosa lasciamola al valoroso Aru.
I modellini di nuraghe, come quelli di Monte Prama,
confermano, qualora ci fosse bisogno, la capacità costruttiva nuragica di
riuscire, sfidando la gravità, ad uscire a sbalzo in sommità della torre
costruita a secco, quando già un abile costruttore è in difficoltà a costruire
un paramento inclinato verso l’interno. È del tutto evidente che con conci non
squadrati, appena sbozzati a cuneo non è facile andare in altezza seguendo la
perpendicolare (equilibrio instabile). La prima condizione è quella di
allontanarsi dalla perpendicolare e costruire il paramento inclinato verso
l’interno, in modo che la struttura si “chiuda”. Basterebbe provare ad uscire a
sbalzo e si capirebbe, se non si riesce ad intuire, l’improponibilità statica.
I mensoloni proposti per uscire a sbalzo garantiscono si e no di resistere al
peso proprio.
Un’osservazione sui modelli di nuraghe, come quelli di MP.
Essi terminano col possente aggetto e con un cono centrale sul terrazzo.
Quest’ultimo, secondo gli archeologi, rappresenta la copertura della scala,
oggi non più presente nei nuraghi, perché probabilmente costruita di legno e quindi
deperita. Forse la copertura serviva affinché la guarnigione militare non si
bagnasse in caso di pioggia e a far la guardia riparati dal caldo estivo e dal
freddo invernale.
Io non ho visto molti nuraghi, ma quelli in cui sono salito,
la scala-rampa elicoidale usciva sul bordo del terrazzo e mai una usciva al
centro.
Sento la facile critica: non puoi pretendere che un modello
sia preciso, vedilo anche con la deformazione e stilizzazione artistica. È
ovvio ad esempio che la torre centrale non ha le proporzioni della torre del
nuraghe e anche l’aggetto è una visione enfatizzata, così come una copertura
eccentrica avrebbe danneggiato la simmetria. Ok, meno convinto di prima!
Infine vorrei però capire cosa si intenda per modello di
nuraghe:
a) Modello
come maquette che serve da riferimento per costruire un nuraghe. Per
semplificare, il progetto costruttivo
del nuraghe quadrilobato, rappresentato non sul piano, es. con carta e matita,
ma tridimensionale e in scala.
b) Modello
come ciondolo, ninnolo, ricordino per ingraziarsi i suoceri (come oggi la
basilica di S. Pietro miniaturizzata nella sfera di vetro e, quando la
capovolgi, nevica) desunto dal nuraghe quadrilobato con torrione centrale,
appunto la sede principesca (Lilliu, 1981)
c) Oggetto
di culto della civiltà nuragica, simbolico e votivo.
Più probabile la terza, che lascia però scoperti altri
interrogativi. Nella concezione di nuraghe-fortezza, maggiormente diffusa fra
gli archeologi di ieri e oggi, con qualche concessione al pluriuso fino
all’avanguardia vispa che concede il cambio
di destinazione (ovviamente dietro congrui oneri urbanistici) mi viene
difficile la correlazione militare con la sfera del sacro e accettare che il
modello di nuraghe sia modello di una fortezza. Nei modelli di nuraghe
conosciuti, in bronzo o pietra, nessuno ha indicata la porta. Particolare
insignificante? Non tanto visto che il nuraghe ne ha una sola e che particolari
forometrici sono evidenti nelle facciate dei modelli. Ma nessuno ha giustamente
indicato l’ingresso, perché non si entra, si è nel cosmo
Il modello è dunque un’ icona del cosmo, coi quattro
pilastri posti ai punti cardinali, che sostengono il cielo, la volta stellata e
al centro, l’axis mundi, collegamento fra cielo e terra, da cui scende la
divinità o sale lo sciamano (M. Eliade).
Non è solo esplicativa dell’universo in cui l’uomo è
inserito, ma è una immagine bellissima, poetica, sacra, che ha il potere di
rassicurare l’uomo che cerca un ordine superiore e lo concretizza nei modelli
universalmente raffigurati e condivisi.
Ma non dagli archeologi di Sardegna.
Una buona soluzione sarebbe quella di chiamarli modelli
cosmologici e assegnarli alla sfera del sacro e non militare e così cominciare
ad inserire la civiltà nuragica nel resto del mondo.
Altrimenti continuerò a pensare che, magari inconsciamente,
si faccia il massimo sforzo nel tentativo di autoescludersi dal resto del
mondo, dando la colpa agli altri.
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