sabato 31 luglio 2010

Origine di Assemini e del suo nome

di Massimo Pittau

Assemini (Assèmini) (grosso paese del Campidano di Cagliari). L’abitante Asseminesu.- È molto probabile che questo paese ed il suo nome siano carichi di storia.
Nel lontano passato il centro abitato risultava situato alla fine della laguna di Santa Gilla e di certo sulla riva di questa, prima che venisse interrata dai detriti dei fiumi Mannu e Cixerri. Si intravede che Assemini costituisse l'approdo più avanzato verso la pianura del Campidano e la vallata del Cixerri. La grande antichità e l'importanza di Assemini nella Sardegna antica è in primo luogo dimostrata dal ritrovamento nel suo territorio di numerosi ed importanti reperti archeologici, fra cui uno dei 17 talenti di rame a forma di pelle bovina distesa, di matrice egiziana o cipriota o cretese, e inoltre una iscrizione in geroglifici egizi (OPSE 137).
Ciò premesso, dico che il toponimo Assèmini (medioevale Arsèmine) si lascia condurre facilmente a una base lat. Artemide(m). Questa era una divinità assai conosciuta nell'antico mondo mediterraneo, ma la cui patria originaria era molto probabilmente la Lidia, terra di origine dei primitivi Sardiani o Protosardi ed in cui era conosciuta sia come Artemide Efesia sia come Artemide Sardiana (cioè delle città di Efeso e di Sardeis). È pertanto molto probabile che Assemini sia stato il primo e il principale punto di approdo dei Sardiani provenienti dalla Lidia, che sia divenuto il loro centro più importante e che appunto per questo sia stato consacrato alla grande dea della madrepatria anatolica, derivandone la propria denominazione teoforica o sacrale (vedi Sardara, Sardegna, Serdiana). Siccome però sappiamo che in lingua lidia Artemide si diceva propriamente Artimus, c'è da supporre che questo nome di divinità abbia subìto un processo di adattamento alla fonologia greca e dopo a quella latina, sino a trasformarsi, attraverso la forma Arthemide(m) (realmente documentata in Sardegna) nel sardo medioevale Arsemine (OPSE §§ 24, 28, 45).
Il villaggio è citato come Arsemine nei più antichi documenti medioevali relativi alla Sardegna (C. Imperiale, Codice Diplomatico della repubblica di Genova, I 25, num. 20, anno 1107; Codex Diplomaticus Sardiniae, I, 180 num. 4 e 5, anno 1108; I 199, num. 27, anno 1119; Codice Diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, I 47; e anche Rationes Decimarum Italiae, Sardinia, passim).
Nella Chorographia Sardiniae (210.31) di G. F. Fara (anni 1580-1589) il nostro villaggio compare come oppidum Asseminis della diocesi di Cagliari.*

giovedì 29 luglio 2010

Tra il lidio e il basco preferisco l'illirico

di Alberto Areddu


C'è una strategia che ho appreso frequentando l'ambiente scolastico, e sopratutto quello femminile, ahimè la più parte. Più gridi più acquisisci importanza e rispetto. Non vi dico la marea di colleghe che nulla facendo nelle loro ore di scuola, provviste come erano e sono di cicca e del solo sguardo torvo per incutere paura ai (ram)polli, al momento dei Collegi (il vero strazio della vita dell'insegnante "normale") scaldano la cistifellea per scatenarsi in ridde tra loro e la Dirigenza. Un po' di adrenalina non fa mai male, ma quando questa è ripetuta, quando ti prende un paio delle ore che avresti trascorso sul tuo letto a ripassarti un po' di albanese o col tuo cane, sentirti nelle orecchie quelle grida colle consonanti raddoppiate in rude sarda orgogliosa maniera, quando sai che la seduta sarà aggiornata, e te le dovrai riascoltare a saldo di lì a poco, ecco pensi a quanta gente ha devoluto gran parte della sua vita per trovare modo d'incazzarsi nei pubblici incontri, e a cosa sia giunta la scuola italiana oggi: uno sfogatoio di persone, e spesso per poco più di 1000 euro mensili. E connesso a tutto ciò altezzosità, assoluta mancanza di autoironia, incapacità di guardarsi allo specchio, eretismo palabratico. Riflettendo su ciò, non è che il mondo dell' Accademia sia molto distante da queste risse da massaie con laurea. Sul sempreverdolino sito di Massimo Pittau piovono strali in questi dì afosi, contro il più giovane collega Eduardo Blasco i Ferrer, che agevolandosi di una rivista quasi privata dépendance del vegliardo nuorese, avrebbe sbandierato una insensata risoluzione del mistero del Paleosardo. Come già dicemmo Blasco crede di aver trovato un lume nel basco al Paleosardo, mentre son decenni che Pittau sostiene (imperterritamente, non sostenuto da nessuno, tranne le poche riviste fiorentine e sarde che lo ospitano) che il Paleosardo sarebbe, anzi è una lingua imparentata (se non madre) dell'Etrusco. Il Pittau, nell'intemerata non risparmia nulla al giovane: "E pensare che sono stato io ad aiutarlo ad entrare nel mondo universitario 35 anni fa ed anche in seguito…. E già allora era solito parlare male di me alle mie spalle". Verrebbe da dirgli, bel fesso che sei stato allora ad allevartelo, sopratutto se inviti poi a riguardarci quel lontano giudizio delle Commissioni giudicatrici su Blasco, che relazionavano (terribil cosa nel mondo delle auree cose di Sardegna) che Blasco non sapeva di latino. Allora non solo fesso, ma anche profanatore della scienza, ché aiutavi un inesperto. E chissà poi se magari Blasco il latino l'avrà iniziato a masticare. Ma al vegliardo nuorese, a cui non va che si sparli a spalle, non va neppure che si usino metodi erronei. Faccio presente che Pittau è un maestro di metodica, in cinquant'anni e più non ha mai usato la Historische Lautlehre del Wagner (cercatela col lumicino nei suoi scritti e poi mi dite), e già questo induce VERAMENTE al massimo della fiducia, qualora gliela si voglia dare al Massimo. Poi dice che lui non ha mai fatto accostamenti ai toponimi "opachi", limitandosi a guardarli. Falso. Mi basta fare due esempi: Dualche, toponimo opaco che Pittau spiega con gualchiera toscano; Orolai, toponimo opaco, che Pittau spiegò con latino Orulare, e così di gran carriera. Pittau s'adonta perché lo reputano un badiale filoetruschista? Ma basta leggersi gran parte dei Suoi scritti in cui quasi tutto è legato all'idea che ogni buio possa ritrovare luce grazie a quel balsamo Gerovital che è il sacro libro sull'onomastica latina dello Schulze, manuale che gran parte della critica considera, da gran pezza, superatissimo perché manicheo nello spiegare l' onomastica latino-italica nella sola chiave etrusca. Ma da latino e greco, passando per la via Cassia, il Pittau non ha mai staccato le penne. Certo Blasco, se è vero quel che dice il lontano mentore nuorese, avrebbe dovuto esser più cauto, o se non altro usare con intelligenza l'arma della demolizione delle altrui opinioni, prima di innalzare il vessillo dell'Ibericità ritrovata, cosa che in realtà non poteva fare giacché, seguendo l'abbrivio del suo maestro spirituale, quel Heinz Jurgen Wolf che, frequentando i più raffinati tzilleri dell'interno, per raccogliere forme antiquate, ma mai andando motu proprio sui luoghi di cui avrebbe parlato, si è formato l'idea che il Paleosardo sia inspiegabile con l'indoeuropeo e conseguentemente ha iniziato a spezzettare le parole in maniera cinica e inverosimile, Blasco ha proseguito in questo tragitto, fino ad arrivare alla sua autoreferenziale soluzione Paleobasca, che Pittau non poteva non cassare. Insomma gli Accademici si parlano addosso, se non usi un po' di riguardo se ne hanno a male, come le massaie laureate si incazzano, anche se per più laute prebende; e iniziano a cercarsi i morti e le raccomandazioni di cent'anni. E in tutto questo balletto tra di loro, rimane che son tre anni e nessun bisticciatore indigeno si è preso la briga di dire in che cosa qualcuno ha sbagliato a tirare in causa gli Albanesi. E nel silenzio io, l'irresponsabile di tale efferato delitto, il profanatore della maestà Sarda etrusco-basca, mi sento sotto accusa, e come quel mafioso che portato a giudizio, si rivolgeva al Giudice di Corte d'Assise, implorando: "Signor Giudice, mi dica in che cosa ho mafiato ?", non ottengo veruna risposta

mercoledì 28 luglio 2010

I nuraghi erano fortezze?

di Paolo Littarru

Tutte le verità passano attraverso tre stadi:
primo: vengono ridicolizzate,
secondo: vengono violentemente contestate,

terzo: vengono accettate dandole come evidenti

"Dilettanti! Così vengono chiamati con disprezzo coloro che si occupano di una scienza o di un'arte "per il loro diletto", cioè per la sola gioia che ne ricevono. Un tale disprezzo deriva dalla meschina convinzione che nessuno possa prendere qualcosa sul serio se non sotto lo sprone della necessità, del bisogno o della avidità. La verità è al contrario che per il dilettante la ricerca diventa uno scopo, mentre per il professionista rappresenta solo un mezzo, ma solo chi si occupa di qualcosa con amore e dedizione può condurla a termine in piena serietà. Da tali individui, e non da servi mercenari, sono sempre nate le grandi cose."
Arthur Schopenauer

Un paradigma è “una costellazione complessiva di convinzioni, valori, procedimenti condivisi dagli appartenenti a una determinata comunità”
(Thomas S. Kuhn The Structure of Scientific Revolutions, Chicago University Press, Chicago)
I nuovi paradigmi non nascono dai risultati raggiunti dalla teoria precedente ma, piuttosto, dall'abbandono degli schemi precostituiti del paradigma dominante, secondo le fasi sintetizzate nel seguente schema: scienza normale; nascita delle anomalie; crisi del paradigma; rivoluzione scientifica.
Cosa sono i nuraghi?
edifici abitativi (G. Spano 1867), rifugi (G. Centurione 1888),
tombe (A. La Marmora),
templi (V. Angius ),
templi (M. Pittau, 1977)
Paradigma di Taramelli Lilliu
A partire dagli studi di Taramelli, ripresi da Lilliu, il nuraghe fu “anche e soprattutto uno strumento potente e temibile di guerra, in cui i sardi esprimono le più sottili arti della loro intelligenza e del loro animo bellicoso. Le sezioni preistoriche dei musei sardi sono veri e propri arsenali di armi di ogni specie. Ogni genere di contesa per i protosardi fu guerra ” (Lilliu, 1988).
Di più, in particolare per i nuraghi
“architettonicamente più elaborati e di aspetto complesso per aggregazione di torri, la funzione di vita e di difesa si nega soltanto da fantasiosi outsiders” (Lilliu, 1988)”.
Affermava infatti Taramelli nel 1926 senza mezzi termini:
Le recenti indagini non fanno altro che confermare la idea espressa anni addietro dal canonico Giovanni Spano, appoggiata dalle ricerche del compianto Nissardi e accettata dal Pais e dal Mackenzie e da molti studiosi, che cioè i nuraghi, considerati in se stessi e nella loro postura, parlano chiaramente dello scopo di difesa, di conquista e di possesso della terra sarda, sia nel suo complesso che nel particolare frastaglio di valli, di altopiani, di pianure di cui è costituito il vasto territorio".
Secondo G. Lilliu i nuraghi polilobati come il Losa costituirebbero “opere di arte militare molto evoluta, grandiosi e complessi edifici fortificati – veri e propri castelli nelle guerre tribali tra cantone e cantone”.
Tali valutazioni sono a tutt’oggi attuali nell’accademia sarda e, secondo V. Santoni (2001) chiuderebbero “le sterili disquisizioni ottocentesche e del primo ventennio del Novecento sulla natura e funzione dei monumenti nuragici” ed aprirebbero “ la strada alla ricerca scientifica dei depositi stratigrafici”.
A me pare che Santoni non si sia reso conto che la teoria del nuraghe fortezza teorizzata dal Lilliu fu confutata da Massimo Pittau e che il dibattito sulla funzione dei nuraghi debba essere riaperto.

martedì 27 luglio 2010

E' nata Archeologia Nuragica!!!

Contiamo di ospitare tanti post inerenti la storia, l'archeologia, l'architettura e la linguistica della Sardegna e del Mediterraneo.