lunedì 23 gennaio 2012

GUERRIERI DI MONTE PRAMA
Preconcetti ed autoreferenzialità alla base di una risibile ricostruzione

di Franco Laner

Ricomporre un puzzle di più di 5.000 frammenti e soprattutto con molti pezzi mancanti penso sia impresa difficile che diventa impossibile se alla carenza di reperti si aggiungono distorsioni ideologiche, ignoranza di semplici regole statiche e tremendi quanto fuorvianti preconcetti. Il peggiore in assoluto è quello di vedere in ogni frammento cilindrico o di colonna, con basamento o capitello, un modello di nuraghe.
La parte centrale della Mostra “La pietra e gli eroi”, allestita a Li Punti (SS), nel Centro di Restauro e visitabile fino alla fine del mese, è dedicata infatti ai modelli di nuraghe. Il percorso della Mostra inizia con scontornate statue di pugilatori, così identificati per il gonnellino chiuso con lembo posteriormente sporgente. Il percorso espositivo si sofferma poi sui tanti, tantissimi, modelli di nuraghi e si conclude con le statue “meglio” ricostruite. La parte finale a mio avviso è l’apoteosi della sommatoria di errori e forzature, con la chicca dello scudo in testa ai pugilatori e il modello di nuraghe polilobati con le torri e il mastio centrale ben fornite di aggetti medioevali.
Non v’è antica cultura al mondo –Africa, Asia, Mediterraneo- in cui la rappresentazione cosmica non sia stata interpretata con i quattro pilastri che reggono la cupola celeste ed il pilastro centrale (axis mundi).
Con questa rappresentazione cosmologica si sono costruiti templi, santuari, mandala e moschee. Lo stesso Taramelli, illustre archeologo nuragico, interpreta i bronzetti con la torre centrale (es. Ittireddu) con le quattro più piccole laterali come modello di santuario (v. Convegno archeologico in Sardegna del 1926).
Legittimo dunque a fronte di tante colonne con allargamento apicale far riferimento a questi modelli cosmologici, ma interpretare una colonna con basamento o capitello come modello di nuraghe, mi sembra una forzatura disarmante. Anche un chiarissimo basamento quadrangolare –basamento del tutto uguale per dimensione e spessore (circa 60x60x15cm di spessore) ai basamenti delle statue, con relativo spezzone di colonna, è descritto nel cartellino come modello di nuraghe! Oltrettutto è esibito capovolto.
La finitura della sommità dei nuraghi, costruzioni di muratura ciclopica ed a secco, è possibile con mensoloni incastrati. Ma su questi mensoloni è impossibile costruire alcunché, poiché i mensoloni non sopporterebbero momenti flettenti e subito si spezzerebbero. L’aggetto apicale di una colonna , ovvero il suo allargamento, è possibile perché è monolitica, ma non è possibile in una costruzione a secco come il nuraghe. E ciò per semplici ragioni statiche e di scarsissima resistenza a trazione offerta dalla pietra.
Per questa stessa ragione di poca resistenza a trazione della pietra, le statue marmoree devono sottostare a vincoli statici che ne condizionano la composizione. Ad esempio, se il loro appoggio è dato solo dalle due gambe, la statua non può reggere al ribaltamento, dato da una lieve spinta o eccentricità del carico. Per reggersi, una statua di pietra, ha necessità di un terzo appoggio. Si veda qualsiasi statua litica dai greci a Canova! Ovvio che questo discorso non vale per statue bronzee o metalliche, poiché tali materiali resistono a trazione. Pertanto le statue di Monte Prama, con due soli appoggi, possono resistere solo a carichi verticali e non possono che essere telamoni. Devono essere “schiacciati”, ovvero solo compressi, sollecitazione a cui la pietra regge ottimamente. Come corollario i pugilatori non avevano in testa lo scudo –lo scudo lo hanno gli scudieri!- bensì l’architrave del tempio.
Esibire al mondo spezzoni di colonna con basamento o capitello e dichiararli modelli di nuraghe equivale ad una frase con gravi errori di grammatica e sintassi. Significa mettere in cattiva luce il paziente lavoro di ricomposizione di frammenti anche se guidata da una molto discutibile idea nuragica di appartenenza dei reperti. Per un tale ed impegnativo lavoro di ricostruzione l’archeologo doveva essere affiancato dallo storico dell’arte e soprattutto da chi abbia tenuto in mano lo scalpello (uno scultore). Monte Prama appartiene geograficamente alla gronda lagunare di Cabras, frontiera terra-acqua. Serviva dunque anche un profondo conoscitore della storia e geografia dei navigatori del Mediterraneo. Ancora era necessario chi conosca le tecniche costruttive a secco e chi abbia chiaro il comportamento statico. E’ stato in verità chiamato uno fra i maggiori esperti di statuaria antica, il prof. Rockwell, ma i suoi suggerimenti di statica e datazione (uso della gradina introdotto in Grecia solo nel V sec. av. Cristo), sono stati del tutto disattesi, proprio per l’insistenza nuragica. L’autoreferenzialità e soprattutto idee preconcette, ad esempio voler dimostrare come la statuaria a tutto tondo dei guerrieri di Monte Prama abbia preceduto quella greca di alcuni secoli e l’insistenza su qualche somiglianza coi bronzetti, ha molto nociuto alla scientificità della ricostruzione.
Ci sono assonanze coi bronzetti nuragici, ma c’è assonanza anche con l’arte cicladica o dogon. Assonanze ma anche sostanziali diversità. I telamoni di Monte Prama sono statici, privi di plasticità, colonnari e alquanto sproporzionati: gambe cortissime e tozze rispetto ad un corpo massiccio, privo di tensione.
Gli enigmatici occhi, con le pupille dilatate e la bocca ermeticamente chiusa sono eloquenti: ci invitano tutt’ora ad essere vigili ed attenti. Forse anche a preferire il silenzio.