martedì 30 giugno 2020

Significato simbolico di alcuni caleffatoi etruschi



di Franco Laner



Nel gruppo facebook Preistoria sarda al post di Fabio Manca su dei caleffatoi eruschi vi riporto alcuni commenti.

...: Molti reperti sono scomparsi dai siti Archeologici della Sardegna in diverse aree di grande interesse archeologico che fine hanno fatto e poi vengono fatti passare per altri siti Archeologici non Sardi più chiaro di così.

...: Sembrano dei Kernos, venivano usati nei rituali cerimoniali... Hanno diverse forme ma la struttura generale è quella.

...: di ispirazione nuragica

...: Secondo me rappresentano i nostri cari nuraghi!!!

: Nessuna meraviglia, il mondo nuragico era ben conosciuto sulla penisola italica. I ritrovamenti di manufatti certamente sardi lo comprovano (navicelle ceramiche ecc.).

: Che la frequentazione dei nuragici in terra etrusca non credo che ormai possa essere messa in dubbio, stante l'abbondanza di reperti sicuramente sardi trovati in moltissimi siti etruschi.

: Sì, hanno una grande somiglianza con i modello di nuraghe che troviamo in Sardegna ma credo che siano dei vasi da rito ,infatti le parti che sembrano delle torri ( come si vede nei modelli di nuraghe ), credo che avessero una qualche funzione forse scenica.




Prendo spunto da alcuni interventi di risposta alla domanda di Fabio Manca per ringraziare Donatello Orgiu per avermela segnalata e a Paolo Littarru per aver inserito il mio parere su questi modellini cosmologici, oggetto di mia curiosità e studio da tanti anni, riprendendo il parere di studiosi intervenuti nel Convegno archeologico sardo del 1929 organizzato da Taramelli, dove furono mostrati modellini assolutamente simili di quelli in oggetto. Ho dedicato un intero capitolo di “Sa ‘ena”, mi pare anche ben documentato, sull’immagine diffusa, specie in Oriente, del cosmo, fondato su 4 pilastri cardinali e l’axis mundi centrale, pianta di moschee antiche, base dei mandala. In ogni antica civiltà questo modello è stato riprodotto in molti oggetti d’uso rituale e sacrale.

Sono pertanto molto contento di essere venuto a conoscenza di questi due caleffatoi (termine per me nuovo, che significa “scaldavivande” ! = grazie internet!)

Sull’autenticità della provenienza dei due modellini cosmologici, vista la perfetta somiglianza dell’impianto della tomba di Porsenna, non ho sospetti (e perché mai dovrei?) poiché questa rappresentazione, pur diversamente declinata, è universale. Invece le trovo di squisita fattezza e colmi di simbologia: i 4 punti cardinali e quello centrale sono riprodotti anche sulle facciate, né mancano i ritualissimi chevron.

Che siano “scaldavivande” lo trovo surreale (non vedo segni di fuliggine, né riesco ad immaginarne le modalità d’uso possibili per scaldare cibo…

Vengo ora al mio commento, leggendo alcune risposte riportate. Mi pare che alcuni abbiano la sensibilità di separare il sacro dal profano. Questa distinzione è alla base di tante considerazioni, proprio a proposito della destinazione dei nuraghi, che appartengono alla sfera del sacro e non del profano (Nuraghe fortezza = madre di ogni sciocchezza).



Altre risposte appartengono alla cultura dell’isolamento masochistico e autoreferenziale di molti sardi, che necessitano di essere protagonisti ed esportatori di civiltà, primi in ogni attività sociale e culturale, non accorgendosi nemmeno di essere al centro del grande lago mediterraneo, dove hanno sbattuto le civiltà di tre continenti, dai cui hanno appreso e a volte rielaborato ed esportato . Mi pare comunque un campione esiguo ma assai rappresentativo della visione archeologica isolana, ben rappresentato dalle istituzioni accademiche e dalla soprintendenza, che continua a guardare solo il dito che indica la luna, incapaci di rapportarsi al mondo, chiusi in un risibile provincialismo. Si provi solo ad immaginare di scrivere, a margine di questa mostra romana, che i due calefattoi altro non sono che “Modelli di nuraghe”, provenienti dalla Sardegna. Anzi, si provino gli archeologi isolani ad avanzare quest’ipotesi agli archeologi, non solo continentali. Sarebbero esclusi per sempre dalla comunità scientifica. Al contrario in Sardegna, sono cooptati dalla disciplina, che conta meno di niente.
Un’ultima annotazione.
Riguarda la lapidaria conclusione secondo la quale i due modellini cosmologici rappresentano i nostri cari nuraghi. Sui nostri, non insisto, anche se appartengono all’umanità e mai pretenderò di convincere un sardo su quest’aspetto. Invece, molto semplicemente, nella frase c’è per me una verità: anche i nuraghi sono un’immagine cosmologica, una ri-creazione straordinaria del cosmo: così in cielo, così in terra.
Venezia, 30 giugno 2020