domenica 12 novembre 2017

Quando l'archeoastronomia sconfina nella fantasia


di Mauro Peppino Zedda


Recentemente l'editore Condaghes ha pubblicato il volume Gigantes de Perda, I templi della luce, 2016, scritto da A. Atzeni, S. Garau e T. Mura. Stessi autori del Toro di luce, di cui si è discusso in altre occasioni in questo blog.

Gli autori hanno inaugurato un metodo consistente nel recarsi nei nuraghi la mattina del solstizio d'inverno (una, due o tre ore dopo il sorgere del Sole) a fotografare la luce del sole che entra dal finestrino (collocato sopra l'architrave d'ingresso) e si proietta nella camera del nuraghe. L'idea venne a Tonino Mura, che una mattina del solstizio d'inverno di una decina di anni fa, fotografò la cosiddetta luce del toro nel Santa Barbara di Villanova Truschedu. Pubblicando le sue impressioni in un fantasy di Leonardo Melis.
In quegli anni provai, inutilmente, a spiegare a Mura che recarsi in un nuraghe al solstizio d'inverno e fotografare il momento in cui il Sole attraversa l'ingresso una, due o tre ore dopo che è sorto, non attesta nessuna connessione col solstizio d'inverno. Il Sole attraversa l'ingresso dei nuraghi tutti i giorni dell'anno.
Non capiva che i marcatori che attestano il solstizio d'inverno sono tre, esclusivamente tre; e cioè i due punti azimutali dove sorge e tramonta il Sole e il particolare angolo che lo caratterizza quando attraversa il meridiano. Parlare di orientamento dedicato al solstizio d'inverno, solo perché si va in quel giorno a fotografare il Sole quando attraversa l'ingresso a qualsiasi ora del mattino è questione demenziale.
Del fenomeno del toro di luce, ovvero della forma taurina che talvolta assume la proiezione della luce solare che attraversa il finestrino, ne discutemmo con Franco Laner una ventina di anni fa. Laner studiava i finestrini dei nuraghi per valutare se fossero o non fossero di scarico (che pubblicò in un articolo su Sardegna Antica e poi riprese il concetto nel suo libro Accabbadora 1999). Si discusse a lungo della possibilità che la luce passante per le finestrelle cosiddette di scarico potesse essere funzionale ad essere utilizzata come una sorta di lancetta di orologio per misurare il tempo (misurare i giorni non le ore o minuti), cosa possibile, certamente, ma non si può inferire alcunché di scientifico (nel senso di intenzionale). Infatti anche dalle finestre di casa, osservando la proiezione della luce del Sole, è possibile osservare e misurare lo scorrere del tempo.
Franco Laner, nel bel mezzo della giornata, in un nuraghe di Ploaghe mi fece notare che il pennello di luce che penetrava dal finestrino assumeva una forma approssimativamente taurina, restammo ore ad osservare il fenomeno e discutere della cosa, del suo fascino ma soprattutto per cercare di capire se la forma taurina del pennello di luce potesse essere considerato intenzionale, ovvero, voluto e ricercato dai costruttori. Nei dettagli costruttivi del finestrino non vi era alcunché (una lavorazione intenzionale dei massi) che ci facesse pensare ad un'intenzionalità. Concludemmo che la forma taurina di quel pennello di luce non la si poteva considerare intenzionale ma direttamente conseguente al tipo di materiale usato nella costruzione del nuraghe. Se si costruisce con massi sbozzati si ottiene quel risultato a prescindere dalla volontà del costruttore.
Mai confondere gli effetti con le cause ci insegna pure un articolo di Franco in questo blog.
Per capire un fenomeno bisogna non lasciarsi incantare dalle apparenze. Un bell'esercizio lo si può fare osservando il moto degli astri sull'orizzonte, un movimento apparente che sino ad appena 500 anni fa era considerato reale. Una qualsiasi persona che non conosce l'astronomia direbbe che gli astri si muovono in cielo. Comprende che si tratta di un moto apparente solo quando gli si spiega che è la Terra che ruota, giornalmente, su se stessa a una velocità pazzesca e senza la scoperta della forza di gravità sarebbe da folli pensare che stiamo volando e girando come una trottola, in una navicella chiamata Terra attorno al Sole. Con Galileo e Newton l'astronomia diventa astrofisica, prima era comprensibile con la sola geometria.
L'apparenza è spesso ingannevole, bisogna sempre cercare indizi che provino a confutare le idee che scaturiscono dalla nostra immaginazione piuttosto che lasciarsi incantare da quelli che le confermano. A niente servono mille conferme, mentre basta un solo elemento contrario per confutarla.
In scienza se l'immaginazione creativa non viene governata da stringenti valutazioni conduce il pensiero in derive fantastiche, ottime per storie alla Indiana Jones. Il dramma avviene quando gli Indiana Jones pensano di essere dei Colin Renfrew...
L'idea del Toro di Luce del Santa Barbara piacque tantissimo a Aba Losi e Gigi Sanna, che i suoi numerosi ammiratori considerano come uno Champollion made in Sardinia. L'entusiasmo dei due fu incommensurabile ed elessero Tonino Mura a grande archeoastronomo per quella foto scattata un'ora e mezzo dopo il sorgere del Sole al solstizio d'inverno! Mura invece di ascoltare le mie critiche restò abbagliato dagli encomi che gli facevano Gigi Sanna e Aba Losi, Biofisica dell'università di Parma.
Forte dell'appoggio di Losi e Sanna, attorno a Tonino Mura si formò una squadra che procedette a immortalare un'altra decina di tori di luce una, due o tre ore dopo il sorgere del Sole al solstizio invernale! Gli altri tori, torelli e torellini, non sono affascinanti quanto quello del Santa Barbara, ma tutto fa brodo. Con le foto dei tori, torelli e torellini un pò scornati, sbilenchi e goffi, la casa editrice che edita i best seller di Leonardo Melis pubblicò Il Toro di luce. Doveroso specificare che il successo del fantarcheologo Melis è dovuto al fatto che sa raccontare storie affascinanti, mette i nuraghi al 10.000 a.C., e Monte d'Accoddi a seguire i nuraghi e soprattutto fa scorrazzare gli shardana in tutto il globo! Insomma, lo sceneggiatore di Indiana Jones gli fa un baffo! E non dubito che prima o poi il produttore di Indiana Jones verrà in Sardegna a sceneggiare le storie di Leo. Mi pare di immaginarlo un film con Indiana Jones che scopre il sacro graal nascosto nella torre centrale del nuraghe Arrubiu di Orroli! (in quel vano vi è veramente un vaso, interessantissimo, con dentro un altro vaso, con una fessura affinché il liquido scolasse al suolo, cit. Lo Schiavo). Se dovesse verificarsi immagino gli archeologi sardi con le lacrime agli occhi, mentre Leo Melis scrive l'ennesimo romanzo, sbracato in una villa ad Hollywood acquistata con le royalty del film...
Torniamo al toro di luce, i GRS invece che su ricostruzioni storiche di fantasia hanno puntato sugli effetti luminosi speciali, dove la tesi consiste nel fatto che al mattino del solstizio d'inverno si fotografa la luce del Sole nel momento in cui attraversa l'ingresso del nuraghe, una, due o tre ore dopo il suo sorgere sull'orizzonte.
Quale sia la connessione oggettiva col solstizio invernale non si capisce, e loro pensano che basti andare a fare le foto il giorno del solstizio per istituirla. Che non sappiano che il Sole attraversa gli ingressi dei nuraghi ogni giorno dell'anno?
Sicuramente non hanno ancora capito che i marcatori che attestano il solstizio d'inverno sono tre, esclusivamente tre (i punti azimutali dove sorge e tramonta e il particolare angolo che raggiunge in cielo quando attraversa il meridiano). Parlare di orientamento dedicato al solstizio d'inverno, solo perché si va in quel giorno a fotografare il Sole quando attraversa l'ingresso a qualsiasi ora del mattino è questione demenziale.
Riguardo al fenomeno luminoso tauriforme, solo nel Santa Barbara la forma assume un suo fascino particolare, ma come ho spiegato in altra occasione le fratture che presenta il nuraghe dovrebbe far escludere quell'esempio ai fini di una dimostrazione dell'intenzionalità del fenomeno.
Osservando gli esempi che portano è facile concludere che la forma che si proietta sia una diretta conseguenza del sistema costruttivo e che non ci sia nessuna intenzionalità da parte dei costruttori.
Ora nel nuovo libro Gigantes de Perda I templi della luce, oltre a ribadire le fantasie sul solstizio invernale hanno aggiunto quelle sul solstizio estivo.
Con tanto pressapochismo, Mura, Atzeni e Garau si sono recati in una quindicina di nuraghi ad osservare la luce del Sole che penetra nel foro apicale. Le foto che registrano l'evento, secondo loro topico, mostra un orario che varia da nuraghe a nuraghe, in un ventaglio che va dalle nove e mezza alle dodici , ovvero sino a quattro ore prima del momento in cui il sole raggiunge la sua massima altezza in cielo al momento del suo transito in meridiano.
Purtroppo i GRS non hanno capito che i marcatori che attestano il solstizio d'estata sono tre, esclusivamente tre (i punti azimutali dove sorge e tramonta e il particolare angolo che raggiunge in cielo quando attraversa il meridiano). Parlare di orientamento dedicato al solstizio d'estate, solo perché si va in quel giorno a fotografare, a qualsiasi ora del mattino, la luce del Sole che penetra dal foro apicale e va a illuminare la base della camera è questione demenziale.
Confesso che mi dispiace che non ne abbiano trovato neppure uno in cui il fenomeno si registra al momento del transito del Sole in meridiano. Dunque la tholos di Is Paras continua ad essere l'unica che ha un rapporto base altezza che determina un angolo di 16° (angolo compreso tra la linea che congiunge base e foro apicale e la linea zenitale), perfettamente corrispondente alla distanza angolare del sole dallo zenit al momento del transito dell'astro in meridiano al solstizio d'estate alla latitudine di 40°.
Le loro fotografie al solstizio mostrano distanze angolari dallo zenit comprese tra 25° e 35°, in pratica sono cascati in una circolarità di ragionamento sicuramente anche più ingenuo di quello che praticano al solstizio d'inverno.
Sulla questione esiste una bibliografia a cui riferirsi, ovvero le analisi della cupola del pozzo di Santa Cristina e di quella del nuraghe Is Paras dove le geometrie delle cupole riflettono, rispettivamente, la massima altezza che raggiungono la Luna e il Sole sull'orizzonte.
Dalla assenza di A. Lebeuf nella bibliografia emerge che non tengono in conto delle sue meravigliose analisi sul pozzo di Santa Cristina, e neppure delle mie sull'Is Paras, anche se i miei testi sono nella loro bibliografia. A leggere la loro bibliografia si capisce che di archeoastronomia, oltre ai miei testi, hanno letto solo il testo di Maxia e Fadda e due scritti di A. Gaspani.
Nient'altro.
Fortunatamente hanno scritto che i loro maestri sono Maxia e Fadda, dunque ho la fortuna di non essere accusato di averli influenzati io.
Adriano Gaspani, relativamente alla Sardegna ha scritto un articolo, su tre tombe di giganti con un orientamento interpretato verso il sorgere di Aldebaran (la stella più luminosa della costellazione del Toro). Ancora mi domando perché ha preso in considerazione solo quelle tre, e non le risultanze che sono emerse da studi basati su un campione ben più consistente. Le tombe di giganti sono orientate verso un range di orizzonte molto ampio (specialmente nella parte meridionale dell'Isola , per chi vuole approfondire legga Astronomia nella Sardegna preistorica), se si volesse adottare un target stellare bisognerebbe prendere tutte le stelle del cielo, cadendo in ragionamenti circolari, come ha ben evidenziato Michael Hoskin.
Non so se Gaspani condivide ancora quella sua proposta, non so se abbia compreso che ragionare in questo modo rappresenta un’operazione scientificamente sbagliata.
Prendendo in esame l’ingresso di un qualsiasi edificio, compresa l’abitazione di Gaspani,si troverà che è orientato verso il sorgere o il tramontare di qualche stella…
Quando si vuole studiare l’orientamento di una tipologia di monumenti bisogna studiare un campione significativo, e, stabilito il range e il picco delle frequenze, tentare un’interpretazione.
La pubblicazione di Gaspani sulle tombe di giganti è il classico esempio di cattiva archeoastronomia.
I GRS ringraziano Gaspani per i preziosi suggerimenti, sono veramente curioso di conoscere quali siano stati i preziosi suggerimenti di Gaspani.
Spero che non sia un suo suggerimento quello di andare al mattino del solstizio d'inverno, aspettare anche quattro orette, a fotografare la luce che attraversa l'ingresso e andare pure al solstizio d'estate, e restandoci tutta la mattina ad aspettare l'angolazione giusta...
Santa Ingenuità.





Nel Santa Barbara il fenomeno del fascio di luce tauriforme ha un fortissimo impatto scenografico. Ma il finestrino del Santa Barbara è stato soggetto a delle fratture delle sue parti componenti, sia nei conci che gli fanno da stipite che nell’architrave superiore al finestrino. Dunque è un caso che non si dovrebbe prendere a prova.
Nelle foto possiamo osservare che il paramento esterno del nuraghe ha avuto un assestamento strutturale, con la fratturazione di una serie di conci. Ve ne segnalo tre,  quello dove poggia l’architrave dell’ingresso, l’architrave del finestrino e infine vi è una frattura molto accentuata (ampia una ventina di centimetri) nel concio collocato due filari sopra l’architrave del finestrino. In pratica vi è una linea di cedimento e di frattura che attraversa in diagonale il finestrino.
Altre lesioni meno “fotogeniche” ma facilmente osservabili in sito sono riscontrabili nelle parti interne dei conci che costituiscono gli stipiti del finestrino.
Insomma il caso del Santa Barbara rappresenta un caso che non può essere utilizzato al fine di dimostrare l’intenzionalità del fenomeno del toro di luce. Degli studiosi seri dovrebbero capire che le lesioni strutturali interessano parti inerenti la conformazione del dettaglio strutturale su cui si basa la tesi che si vuol dimostrare e concludere che il caso in esame non fa testo.
Solo degli sprovveduti o persone aliene al metodo scientifico possono lasciarsi incantare dai giochi di luce del Santa Barbara.

venerdì 3 novembre 2017

Chevron o parapetto?

di Franco Laner

Chiedo solo di seguire questo ragionamento.
Do tutto per scontato: che siamo difronte ad un modello di nuraghe monotorre, che grazie ai mensoloni si sia potuta allargare la sommità del nuraghe e ampliare l’area calpestabile o semplicemente per difendere il nuraghe dall’alto e gettare olio caldo sopra gli assalitori e che ci fosse la necessità di impedire con un parapetto di cadere di sotto.
Lo si sarebbe potuto realizzare di muratura, ma forse non era bene caricare eccessivamente lo sbalzo e si preferì optare per un parapetto di legno più leggero come indicato nel modello-rendering (fig.1).

fig 1 Rendering del parapetto dei nuraghi nella mostra itinerante “Nuragica”

Ovviamente la raffigurazione del parapetto non può scendere nei particolari, ma è sufficiente stilizzarlo e semplificare il tutto con una serie di elementi a zig-zag.
Lo zig-zag, che sottolinea gli elementi obliqui del parapetto non dà l’idea di protezione, perché non è un diaframma, la V è aperta e non impedisce il passaggio e la caduta e quindi abbisogna di un elemento superiore orizzontale di chiusura, diciamo il corrimano, che oltretutto leghi l’insieme (fig. 2).
fig 2 Schizzi esplicativi degli elementi di un parapetto

Il parapetto deve necessariamente possedere un altro requisito, quello di resistere al rovesciamento e perciò ho bisogno di elementi verticali che, per resistere al rovesciamento (alle spinte), devono essere conficcati o fissati alla base. Per fissarli alla base c’è bisogno di ferramenta o colla. Potrei però predisporre una sede fra le pietre, infilare il montante e bloccarlo con cunei. O altro sistema, ma devo fare in modo che ci sia un montante che resista alla spinta. Un montante ben fissato al piede è indispensabile.
Allora lo schema della recinzione ha tre elementi principali: il corrente superiore orizzontale, l’asta obliqua (col legno sono solitamente due a croce di S.Andrea, basta una se l’asta e ben unita agli angoli contrapposti per resistere a compressione e trazione) e l’elemento verticale. Il rendering del parapetto è molto esplicativo di quanto sopra. Ancora più essenziale potrebbe essere la riduzione a due elementi: corrimano e montanti.
Per passare però dal disegno alla sua realizzazione ho bisogno di un carpentiere o falegname, ok c’è, di strumenti per lavorare il legno, ma soprattutto di avere connettori (chiodi o almeno cavicchi e quindi trapani…).
Allora umilmente chiedo: tutto ciò era possibile nel 1000 a. C.? Quali prove se non supposizioni?
È sufficiente la schematizzazione a V ripetuti per sottendere un parapetto?
Se la risposta è affermativa allora lo schema a chevron rappresenta un parapetto.
Altrimenti il rendering del parapetto è solo un esercizio di grafica, frutto della fantasia, parte patologica dell’immaginazione.

mercoledì 1 novembre 2017

Resa incondizionata

di Franco Laner

Stamane un amico, in visita al Museo archeologico di Olbia, mi ha mandato alcune foto. Seppure non chiare, come quella che riproduco, sono eloquenti (fig.1).

Fig. 1 Poster nel Museo di Olbia che illustra la prova dei parapetti sulla sommità dei nuraghi
Non sapevo nel Museo facesse stazione la mostra itinerante “Nuragica”. Leggo su internet che è stata inaugurata a giugno e che in quell’occasione l’archeologo Rubens D’Oriano, collaboratore di “Nuragica”, abbia dichiarato che “Grazie agli spazi del Museo i monumenti (di “Nuragica”) sono stati accolti al suo interno. Si tratta di una mostra dal contenuto scientifico ben lontano da altre iniziative di fantascienza colme di stupidaggini” (da Olbianova, 23 giugno 2017).
Fa dunque riferimento ad altre mostre – non immagino quali, anche perché le mostre archeologiche sarde sono promosse dalla Soprintendenza – e comunque sarebbe utile, per non perdere tempo a guardare stupidaggini, essere informati.
La didascalia del manifesto esposto all’interno del Museo, recita che “dal reale, attraverso lo studio degli elementi costruttivi si passa al virtuale”. Ho insegnato – mi rendo conto invano – proprio la disciplina che contempla gli elementi costruttivi, Tecnologia dell’architettura.
Dal reale dunque, dal cosidetto “modello di nuraghe” in cui sono incisi chevron (VVV ripetute) si passa alla recinzione lignea della sommità del nuraghe.
Il “reale” per chi studia (o semplicemente osserva) elementi costruttivi è semplicemente un capitello! Un capitello sostenuto da una colonna. In tutto il mondo si chiama così, ma in Sardegna diventa modello di nuraghe!
Fig. 2 Frontespizio di “Indagini su Monte Prama” ed. Nor, 2017

Ho dedicato alcune pagine del mio ultimo libro “Indagini su Monte Prama” (fig. 2) per dimostrare che la categoria “parapetto” è piuttosto recente, improponibile al periodo nuragico e scambiare la decorazione propiziatoria di un capitello con una recinzione lignea cozza sia con la logica, sia con il buon senso comune.
È talmente fantasiosa che diventa difficile dimostrare la cantonata.
Mica è facile dimostrare che l’evidenza è evidente! E quando i segni a chevron sono doppi (fig. 3 e 4)?

Fig. 3 Colonna e capitello con doppia fila di chevron

Fig. 4 Chevron o parapetti sul copripancia del guerriero?

Forse è il parapetto in prospettiva! Se così fosse, in Sardegna ci sarebbe anche il primato della prospettiva e della geometria descrittiva, altro che Leon Battista Alberti!
A Monte Prama sono esposti degli evidenti capitelli quadrati (pag. 17 libro citato). Ovviamente la didascalia spiega che sono modelli di nuraghe. Bene, quando dagli scavi verrà fuori un nuraghe quadrato, mi farò frate.
La tecnologia costruttiva a secco e ciclopica dei nuraghi permette solo la circolarità, facilmente, questo sì è dimostrabile, ma rinuncio, perché la mia resa nei confronti della concezione strutturale degli archeologi, è incondizionata. Non saprei infatti da dove cominciare. Forse dalla forza di gravità, che per un archeologo penso sia un optional.
Un paletto fondamentale degli statuti dell’archeologia e che più volte viene ricordato per rigettare teorie è quello di lasciar perdere la fantasia e le congetture che non abbiano riscontro col “fattuale”. Per dirla col Taramelli o con Lilliu quel che conta è solo ciò che brilla sulla punta del piccone. Resti di un parapetto, ligneo o altro, sono mai stati trovati?