di Franco Laner
Da tempo desideravo rivedere il Maestro Sciola, che avevo
conosciuto una quindicina d’anni fa a Bonorva, durante una sua conferenza di
ritorno dall’Isola di Pasqua e poi reicontrato a Mestre.
L’occasione è stata il corso sulle strutture di legno per
gli ingegneri organizzato a Monastir, a pochi km da S. Sperate, ospiti di
Teknolegno. L’amministratore della ditta, ingegnere R. Usala, conosce bene il
Maestro e l’ha invitato a cena. Al contrario Pinuccio ha voluto ospitarci e,
oltre al sottoscritto e Usala, si sono uniti altri due docenti del corso,
ingegner A. Pantuso e G. Lauricella.
Ebbene ci ha ospitati nel suo grande e incasinatissimo
studio: dappertutto statue, di pietra, di legno, di laterizio, libri, giornali,
disegni, manifesti, foto e poi modelli, schizzi, maquette, plastici, scaffali
pieni e in terra casse…un lungo tavolo, anch’esso stracarico di libri, riviste,
giornali, lettere, fogli di appunti e bozzetti, trapassava gli archi di tre locali,
terminando davanti ad un caminetto, acceso di vivace fiamma. L’estremità del
tavolo era preparato con cura, sobria ed invitante. La tovaglia era ravvivata
da segni discreti e riquadri tenuemente colorati.
Prima però di sederci, ci ha portato all’esterno: anche qui
pietre incise e altre sculture. Su di un banco, sotto la tettoia, c’erano
pietre sonore di varia altezza, quasi grattacieli in miniatura che insieme
componevano una metropoli contemporanea e suggestiva.
Il Maestro si è posto dietro il banco, assorto, con le mani
quasi giunte, immerso in preghiera. E poi il gesto d’effetto: sputatosi appena
sulle mani, le ha sfregate, con lentezza, più volte. Come chi, un tempo,
accingendosi ad un lavoro impegnativo –tagliare un albero o impastare ghiaia e
cemento- inumidiva le mani per inforcare l’attrezzo. Ha dunque accarezzato le
superfici delle pietre segate in profondità in rebbi geometrici e di diversa
lunghezza.
Ne è uscito un suono, lungo, acuto e poi dolce, ancestrale,
siderale. Il suono provocato non ha iati, si prolunga e sovrappone. I timpani,
quasi feriti da ultrasuoni e infrasuoni, sono sollecitati e tesi, piacevolmente
lacerati. Portano dentro al cuore struggimento ed emozione. Il tempo è sospeso
e non ha tempo.
“In principio era il Suono” proferisce semplicemente.
Azzardo: “In principio era il Verbo”.
“No -ribatte- il Suono. Il Suono è nella pietra che
preesiste prima del tempo. L’ho liberato, evocato, sprigionato dai vincoli
cosmici. Il Suono, capace di negare il frastuono del primordiale Big-Bang!
L’armonia può creare, non il rumore”
Fin che torniamo a tavola, faccio osservare che un elemento
snello, come il sottile parallelepipedo di calcare, sollecitato, vibra e le
onde energetiche percuotono il timpano e così noi percepiamo il suono.
“Non mi interessano spiegazioni scientifiche -mi blocca- o
si percepisce l’armonia consustanziale alla pietra, la rievocazione del Tempo e
l’invito alla meditazione, oppure si resti fedeli al tecnologico e freddo
Prometeo, incapace di tendere l’orecchio alla melodia primordiale”.
Ci porta una fumante zuppiera. Un minestrone di verdure
autunnali. Trionfa il cavolo, attaccato da altri sapori, finocchietto,
zucchina, carota -poche rotelle che macchiettano di colore il biancore
dominante- sottili schegge di patata, cipolla, costa e forse porro e una
pastina, figlia minore della fregola. Dal fuoco del caminetto trae fette di
pane abbrustolito su cui ci invita a passare un filo d’olio.
Ovvio il bis.
Si allontana e rientra con una portata di finocchi lessati
punteggiati da briciole di tuorlo. Delicato, in contrapposizione a scaglie di pecorino, stagionato e profumato
che saccheggiamo, mentre i bicchieri di Cannonau sembrano svuotarsi per magia.
È il momento che aspettavo e comincio:
“Quale reazione hai avuto quando alcuni studiosi hanno
identificato, nel retro della grande pintadera del Genna Maria che hai
scolpito e posta all’entrata del museo
archeologico di Villanovaforru, segni nuragici o addirittura scrittura? Ti
hanno tacciato di aver manomesso un reperto archeologico!”
“Ho voluto lasciare la mia firma, ma senza nessun intento falsificatorio su una pietra che ho estratto.
Pura interpretazione artistica…e con rispetto e devozione alla Nostra Cultura
di Pietra! Sono comunque contento che i segni abbiano ispirato una decifrazione
linguistica. I segni devono scatenare significati, portare un contributo
metafisico”
“E dei cosiddetti
guerrieri di Monte Prama? Li hai anche tu accolti quando sono arrivati al Museo
di Cagliari, imbragati e artatamente rimessi in bella…”
“Volevo salutare Thabor,
l’antico scultore e rendere omaggio ad un collega, anche se ingenuo e neofita.
Di queste sculture lamento l’eccessivo clamore mediatico, oltrettutto nemmeno
sarde e di modesta valenza artistica. Troppo fiato sprecato,
incommensurabilmente distanti dall’arte e dall’architettura nuragica. Spazio e
impegno devono essere al contrario dedicati allo straordinario patrimonio
nuragico”.
All’illazione che fosse
direttamente coinvolto nella “messa in bella” di qualche testa, nemmeno mi
risponde, come non sapesse nemmeno a cosa volessi alludere.
Sulla fonte della sua
produzione artistica e accostamenti che la mia poca dimestichezza scultorea mi
suggerisce, prende immediatamente la distanza da Titino Nivola. In sintesi,
partendo dal concetto di unicità dell’opera d’arte, vede nella produzione
dell’illustre oranese troppa facilità riproduttiva e quindi ci sono troppe
opere di Nivola in circolazione, prive di anima. La riproduzione non può
possedere l’anima. Mentre accetta l’accostamento con Brancusi, con cui ha avuto
frequentazione parigina.
L’artista invece che
condivide con lui l’eccellenza sarda e non solo, è Maria Lai. La discussione,
accesa dagli altri interlocutori fa stazione sulle effettive difficoltà
economiche di un artista, esposto a debitori e creditori insolventi, come
sempre, non solo ora, in tempo di crisi. Esclama esasperato: “Ho un sogno: di
essere incarcerato! Sto pensando al misfatto che potrei compiere per godere del
soggiorno coatto, ma tranquillo e pieno d’ozio produttivo!” Il discorso scivola
sul prezzo dell’opera d’arte. “Io vendo a peso” Interpreto la battuta come
provocazione, anche se insiste sulla posizione. Ma anche a proposito della
necessaria unicità dell’opera d’arte, che per me rimane tale anche se
riprodotta, non ammette repliche e ci lascia perplessi.
Traspare nei suoi movimenti, nei gesti, la pacatezza di una
serenità interiore. Ci legge alcuni pensieri, dove il Tempo, la Natura,
l’Anima, sono protagonisti. La Natura reclama oggi un altro approccio di
intimità e reciprocità. Capisco che possa affermare di essere nato da una
pietra, di essere una pietra!
Ci dice del suo progetto di accostare lungo tutta la Carlo
Felice, da Cagliari a Sassari, ai già tanti monumenti nuragici, nuraghi, pozzi,
come Santa Cristina, opere scultoree di artisti internazionali e per questo sta
contattando le Ambasciate. Una
esposizione lunga 230 km !
È tardi.
“Ti possiamo dare una mano per i piatti?”
“ Prego, fate pure!”
E così avvenne che l’ing. Pantuso potrà dire di aver lavato
i piatti a Sciola!
Nell’accomiatarci mi attrae un computer acceso. C’è
l’immagine della facciata di pietra del nuovo Parlamento a La Valetta, Malta,
dell’architetto, senatore a vita, Renzo Piano.
“Ma ti ha copiato!”
“Diciamo -risponde Pinuccio- che si è ispirato alla mie sculture.
Mi fa piacere essere copiato: si copia ciò che vale! Anch’io traggo ispirazione
dalle ossa della madre terra!”
Un’ultima battuta: “Complimenti per lo squisito minestrone!”
“Un artista è tale se è anche un cuoco”
Condivido. Sempre di cultura si tratta. E mentre gli stringo
la mano, noto che ha indossato una raffinata sciarpa. La temperatura esterna si
è fatta rigida. Anche l’abbigliamento è cultura
Arricchiti, affrontiamo i dedali delle viuzze di San Sperate
e finalmente un’insegna indica Cagliari. Poca segnaletica? Macché, un inconscio
desiderio di rimanere dove si sta bene, mentre l’ingegnere ripete: “Ho lavato i
piatti a Sciola!”