mercoledì 16 marzo 2011

Buon compleanno Archeologia del Paesaggio Nuragico

di Franco Laner


Poco più di un anno fa usciva il volume di Mauro Zedda, compendio dei suoi studi sul campo, sui libri e soprattutto sul continuo confronto e dibattito. Con contenuti che stanno agitando le quiete acque dello stagno ufficiale dell’archeologia preistorica nuragica, che in sintesi si trastulla ancora con l’ipse dixit taramel-lilliano.
Il libro, per riassumerne il contenuto, non fa stazione solo o principalmente sul tema di cui Mauro è riconosciuto cultore, anche in campo internazionale, ovvero sull’archeoastronomia, ma, fedele al titolo, tratta un’esauriente panoramica sul paesaggio nuragico, sommatoria ed intreccio di aspetti etnologici, antropologici, religiosi, scientifici, culturali, anche materiali e tettonici, nel senso che sia l’ambiente costruito e trasformato, sia quello ambientale naturale, morfologico, geografico, diventano componenti di una ricostruzione della società nuragica complessiva a cui il libro mirava, in modo da avere un contenitore entro cui poter collocare nuove acquisizioni, ipotesi e teorie.
I 20 capitoli del libro, le numerose schede tecniche e la ricchissima bibliografia perimetrano un bacino entro cui ci si può orientare e soprattutto confrontare. Ciò non deve però far pensare ad un lavoro compilativo, anzi il libro è progettuale, propositivo. L’apporto originale lo rilevo non tanto nell’archeoastronomia –scontato ed intrigantissimo!- quanto piuttosto nel modello di ricerca che contraddistingue l’opera, improntata al paradigma epistemologico inaugurato da Popper, ai coraggiosi e documentati capitoli sul modello teoretico della società nuragica, sulla religione e soprattutto il mirabile capitolo 20 sul residuale nuragico, che per me, da solo, paga il biglietto!
Il consuntivo culturale diventa, sotto questi aspetti, non facile e non registrabile nell’anno di vita del libro. Sappiamo benissimo quanto certe teorie -una per tutte il nuraghe=fortezza, scientificamente insostenibile, fuorviante, ostativo di ogni progresso- siano difficili da far morire, grazie anche all’accanimento terapeutico della classe archeologica isolana, che ancora vive di rendita parassitaria taramel-lilliana. Una cosa però mi pare indiscutibile. La nuova visione che il libro offre sul paesaggio nuragico è lo strumento più efficace per inaugurare una nuova stagione di studio per l’archeologia nuragica. Non se ne può fare a meno se nell’approccio alla disciplina si è onestamente intenzionati e liberi da pregiudizi.
Con sicurezza posso dire invece, per la frequentazione che ho con Mauro, che per lui questa è una tappa, un lavoro che prosegue. Quando una tesi -dico spesso ai miei studenti- un lavoro di ricerca è ben riuscito, si capisce dal fatto che, non ancora finito e messo in bella, ha già provocato nuove ricerche e interesse!
Insomma non basta a Mauro il riconoscimento di riferimento per l’archeoastronomia nuragica, che Michael Hoskin gli attribuisce nella presentazione del libro, ma ci sono intenzioni che travalicano e che vogliono conferma di sincretismo scientifico, inaugurando un nuovo capitolo della storia della Sardegna.

Venezia, 15 Febbraio 2011