mercoledì 31 agosto 2016

Dulcis in fundo. Le statue sopra le ciste sepolcrali

di Franco Laner

Non c’è prova che le statue siano state progettate per essere poste sopra i pozzetti di sepoltura.
Né ci sono prove che, ammesso che siano state realizzate, siano effettivamente state poste sopra le sepolture.
Mancando questa correlazione, anche la cronologia dell’avventura scultorea di MP è aleatoria, in quanto la stima prende come riferimento la data degli inumati.
Qualche indizio ha indotto gli archeologi a pensare che tombe e statue fossero coeve: le dimensioni della pietra di copertura simile al basamento delle statue, la  vicinanza fisica di pezzi di statue e ciste, schegge di statue nelle ciste (?) l’uso della stessa pietra, ossa di giovani e statue di giovani. Statua come segnacolo dell’eroe che sta sotto. Tutti indizi, non prove.
Ho calcolato che il peso di una statua, basamento compreso, sia attorno ai 9-10q, circa 1/3 del blocco da cui sono state ricavate.
Immaginiamo di porre una statua sopra la pseudo-cista n. 5 (pseudo forse perché la cista ha solo due  ortostati e non quattro). Mi riferisco al chiaro rilievo Bedini riportato in “Giganti di pietra” , ed. Fabula, Cagliari, 2012, pag.190 (fig. 1). 


fig. 1 Rilievo Bedini delle ciste di sepoltura nello scavo del ’75. Sulla sinistra del lastrone della tomba 5 si vede l’ortostato sottile della cista 4 e quello più spesso. Caricati si abbassano in maniera differenziata e non avrebbero potuto  essere caricati coll’ulteriore peso di una statua di 10q, sopportando già con difficoltà il lastrone di copertura

La descrizione dell’archeologo riporta le dimensioni del lastrone in opera che mi consentono di dare una scala al disegno e stimare in 400kg il suo peso (Vxps=2x8x11,5x2.2). Mica poco!


fig 2 Lastrone della tomba 5 sempre dello scavo Bedini. Nell’ombra si vede il sottile ortostato della cista 4. La qualità della superficie del lastrone non mi sembra adatta alla sovrapposizione del piedistallo della statua. La sovrapposizione di due lastre non sufficientemente levigate comporta la concentrazione di carico nei picchi di contatto, dove si scarica il peso e l’immediata rottura del lastrone della cista per trazione da flessione.

Aiutandomi anche con la foto dello scavo (fig. 2), vedo che l’ortostato della cista 4 è circa 5cm di spessore, su cui appoggiava il lastrone, mentre l’altro appoggio è il doppio. Questa diversità di spessore degli ortastati comporta, nel tempo, abbassamenti differenziati e fuori piombo che la sezione longitudinale delle 10 ciste puntualmente registra e soprattutto si nota la non planarità dei lastroni orizzontali di chiusura, condizione minima per funzionare da basamento delle statue.
In pratica la struttura della cista è di mera compartimentazione e protezione del morto e ha “fondazione” appena sufficiente per il lastrone di chiusura.
Gli ortostati non appoggiano sulla lastra fondale di deposizione, che è molto più piccola, ma direttamente nel terreno.
In pratica non ha proprio fondazione.
Facciamo il passo successivo.
Supponiamo di sovrapporre  ai lastroni le statue che col loro piedistallo pesano 1000kg (10q).
Penso che gli ortostati di cista non avrebbero facilmente retto il nuovo carico sovrapposto, considerato che sono già in crisi per il solo lastrone. Soprattutto non sarebbe stata garantita l’orizzontalità del basamento su un supporto con cedimenti differenziati. Nemmeno metterei la mano sul fuoco sulla resistenza dei lastroni di copertura alla sovrapposizione di un così grave carico, specie perché la superficie di contatto non è liscia e quindi il carico non si distribuisce, bensì si concentra pericolosamente nei punti di contatto e poi alcuni lastroni si sono fessurati senza carico sovrapposto. Insomma l’ipotesi delle statue sopra le ciste di sepoltura non ha molte chances, semplicemente perché non c’è segno di opera fondale o altra attenzione atta a sopportare i carichi delle statue.
Oppure c’era l’idea di rinforzare le ciste nel momento in cui le statue sarebbero state poste in opera: ipotesi che non faccio mia!
Faccio invece mia, come altre volte espresso, che per la datazione bisogna dar ascolto non alle biotatazioni degli inumati, che non sono in correlazione con le statue, bensì alle relazioni dei due esperti scultori e storici della materia, Mondazzi e Rockwell, che prendono a riferimento gli strumenti di scultura individuati nella lavorazione e l’epoca in cui la loro presenza è comprovata, ovvero fine VII secolo, inizio del VI.
E se così fosse, postilla finale, l’aver dato per scontato che inumati e statue fossero coevi  e non con tre secoli di differenza, fanno sorridere le trecce della ricostruzione in 3D degli antropologi, ispirati dalle statue. A meno che nel DNA ci sia l’indicazione sulla lunghezza dei capelli…
Ancora, per completare il rompimento di armonie che ho inflitto in agosto, non pensavo che dal teschio lungo e stretto dell’inumato venisse fuori un florido e tarchiato Sioux (rubo l’immagine a Francu Pilloni)!





fig 3 Ricostruzione dell’inumato di MP degli antropologi dell’Univ. di Sassari

domenica 28 agosto 2016

Nuove acquisizioni. Modelli di nuraghe trovati fuori dalla Sardegna

di Franco Laner

Con oggi, fine agosto, finiscono le mie vacanze. Sono rimasto a casa, complice l’estate non afosa, in ozio!
Fra le mie vacanze, è stata una delle migliori. Nel rispolverare temi nuragici, complice l’ospitalità nel blog di Mauro, non vorrei essere stato un tormentone. Comunque per ora basta.
Sicuramente non appare, ma ho una particolare affezione per la Sardegna. Tuttavia ciò che ho scritto è solo una tiratina d’orecchi anche se non ne sono legittimato. Ma come scrissi a Lilliu che rimproverava e non gradiva gruppetti di scellerati, autodefinitesi archeoastronomi, che pullano senza discernimento sui nostri nuraghi, (si capiva nell’articolo che si riferiva a Mauro Zedda, Mauro Maxia e sottoscritto) si consideri che come Venezia, anche la Sardegna è patrimonio dell’umanità  pertanto, né Venezia è dei veneti, né la Sardegna dei sardi. Di leghismo già bastava e avanzava quello veneto. Mi  arrogavo dunque  il diritto di cercare, in Sardegna meglio che altrove, le mie origini umane.
Per me la storia archeologica sarda andrebbe riscritta e non sarebbe difficile, basterebbe smetterla con nuraghe-fortezza, madre di ogni sciocchezza, ed assegnare il nuraghe alla sfera del sacro.


Fig. 1 Statuina dell’ arte Vinča, ritrovata presso Belgrado. La dea ha le sembianze dell’uccello. Simboli a V e chevron sono presenti nella bellissima statuina neolitica.

Il recente ritrovamento in Serbia di una singolare composizione della dea uccello (1) consente di ampliare l’area del simbolismo cosmico quadripartito
Già la presenza di modellini cosmologici era stata segnalata in diverse località africane dal grande etnologo Leo Frobenius nel suo libro sulle civiltà africane del 1950 (2).


Fig. 2 Da “Sa ‘ena”, Laner, 2011. Modello cosmologico africano.


Fig. 3 Da “Sa ‘ena”, Laner, 2011. Altari, troni ed altri oggetti ripetono l’immagine del mondo diffusa presso tutte le culture arcaiche, africane, orientali e mediterranee.

Anche nel Convegno Archeologico in Sardegna del 1926 il tema fu trattato diffusamente. Peccato che Lilliu non fosse stato ammesso, non tanto per la sua giovanissima età –a 12 anni ne sapeva quanto bastava– ma era ben nota la sua posizione di intransigenza sulla priorità mediterranea del modello di nuraghe.
Ora l’indagine è stata estesa all’Isola di Pasqua per l’intrigante presenza di un omphalos (axis mundi) molto simile all’omphalos di Monte d’Accodi, archetipo –secondo Mircea Eliade– delle rappresentazioni cosmologiche  in tutto il mondo, con probabile origine in Medio oriente (v. rappresentazione mandalica).


Fig. 4 Da “Sa ‘ena”, Laner, 2011. Omphalos di Monte d’Accodi e Isola di Pasqua. Stessa rappresentazione cosmologica. Considerati i luoghi e i tempi, e quindi l’impossibilità di contaminazione emulativa, è legittimo parlare di comune punto d’arrivo spirituale, puro frutto del cervello umano. O vogliamo discutere chi l’abbia fatto per primo? L’idea di maglia rosa lasciamola al valoroso Aru.

I modellini di nuraghe, come quelli di Monte Prama, confermano, qualora ci fosse bisogno, la capacità costruttiva nuragica di riuscire, sfidando la gravità, ad uscire a sbalzo in sommità della torre costruita a secco, quando già un abile costruttore è in difficoltà a costruire un paramento inclinato verso l’interno. È del tutto evidente che con conci non squadrati, appena sbozzati a cuneo non è facile andare in altezza seguendo la perpendicolare (equilibrio instabile). La prima condizione è quella di allontanarsi dalla perpendicolare e costruire il paramento inclinato verso l’interno, in modo che la struttura si “chiuda”. Basterebbe provare ad uscire a sbalzo e si capirebbe, se non si riesce ad intuire, l’improponibilità statica. I mensoloni proposti per uscire a sbalzo garantiscono si e no di resistere al peso proprio.
Un’osservazione sui modelli di nuraghe, come quelli di MP. Essi terminano col possente aggetto e con un cono centrale sul terrazzo. Quest’ultimo, secondo gli archeologi, rappresenta la copertura della scala, oggi non più presente nei nuraghi, perché probabilmente costruita di legno e quindi deperita. Forse la copertura serviva affinché la guarnigione militare non si bagnasse in caso di pioggia e a far la guardia riparati dal caldo estivo e dal freddo invernale.
Io non ho visto molti nuraghi, ma quelli in cui sono salito, la scala-rampa elicoidale usciva sul bordo del terrazzo e mai una usciva al centro.
Sento la facile critica: non puoi pretendere che un modello sia preciso, vedilo anche con la deformazione e stilizzazione artistica. È ovvio ad esempio che la torre centrale non ha le proporzioni della torre del nuraghe e anche l’aggetto è una visione enfatizzata, così come una copertura eccentrica avrebbe danneggiato la simmetria. Ok, meno convinto di prima!
Infine vorrei però capire cosa si intenda per modello di nuraghe:
a)      Modello come maquette che serve da riferimento per costruire un nuraghe. Per semplificare,  il progetto costruttivo del nuraghe quadrilobato, rappresentato non sul piano, es. con carta e matita, ma tridimensionale e in scala.
b)      Modello come ciondolo, ninnolo, ricordino per ingraziarsi i suoceri (come oggi la basilica di S. Pietro miniaturizzata nella sfera di vetro e, quando la capovolgi, nevica) desunto dal nuraghe quadrilobato con torrione centrale, appunto la sede principesca (Lilliu, 1981)
c)      Oggetto di culto della civiltà nuragica, simbolico e votivo.
Più probabile la terza, che lascia però scoperti altri interrogativi. Nella concezione di nuraghe-fortezza, maggiormente diffusa fra gli archeologi di ieri e oggi, con qualche concessione al pluriuso fino all’avanguardia vispa che concede il cambio  di destinazione (ovviamente dietro congrui oneri urbanistici) mi viene difficile la correlazione militare con la sfera del sacro e accettare che il modello di nuraghe sia modello di una fortezza. Nei modelli di nuraghe conosciuti, in bronzo o pietra, nessuno ha indicata la porta. Particolare insignificante? Non tanto visto che il nuraghe ne ha una sola e che particolari forometrici sono evidenti nelle facciate dei modelli. Ma nessuno ha giustamente indicato l’ingresso, perché non si entra, si è nel cosmo
Il modello è dunque un’ icona del cosmo, coi quattro pilastri posti ai punti cardinali, che sostengono il cielo, la volta stellata e al centro, l’axis mundi, collegamento fra cielo e terra, da cui scende la divinità o sale lo sciamano (M. Eliade).
Non è solo esplicativa dell’universo in cui l’uomo è inserito, ma è una immagine bellissima, poetica, sacra, che ha il potere di rassicurare l’uomo che cerca un ordine superiore e lo concretizza nei modelli universalmente raffigurati e condivisi.
Ma non dagli archeologi di Sardegna.
Una buona soluzione sarebbe quella di chiamarli modelli cosmologici e assegnarli alla sfera del sacro e non militare e così cominciare ad inserire la civiltà nuragica nel resto del mondo.
Altrimenti continuerò a pensare che, magari inconsciamente, si faccia il massimo sforzo nel tentativo di autoescludersi dal resto del mondo, dando la colpa agli altri.

venerdì 26 agosto 2016

Aborto naturale di una gestazione gemellare. Eziologia dell’insuccesso di due statue a Monte Prama*

 di Franco Laner



Uso il lessico medico per un caso di insuccesso. Pertanto la parola aborto sta a significare l’interruzione scultorea delle due statue gemelle venute alla luce durante la ripresa degli scavi nel sito di MP nel 2014. L’interruzione della gestazione è stata  probabilmente causata da una gravidanza patologica, quindi l’assegnerei ai parti naturali e non terapeutici, quelli, per intenderci, praticati artatamente.


La grave patologia,  che colpisce soprattutto i marmi di poco pregio scultoreo, come gran parte delle rocce calcaree, si manifesta non appena siano sollecitate a trazione. Resistono molto bene alla compressione, ma alla trazione, che si ingenera quando sono inflessi, la resistenza è minima. Tale resistenza si abbassa soprattutto se prima di essere sollecitato l’elemento è stato percosso iteratamene da colpi di subbia inferti durante la fase di sbozzatura, perché si creano microfessure che favoriscono l’innesco dell’energia di frattura.
In compenso sono facilmente lavorabili.


Le due creature sono state trovate per terra. Supine. Molti indizi fanno pensare che non siano mai state in piedi, anzi, proprio al tentativo di metterle in piedi per procedere alle finiture, ascrivo la causa del collasso delle parti più sottili e quindi deboli, perché si sono create sollecitazioni di trazione. Comunque, ma col senno di poi è facile da dire, poco male: sicuramente non sarebbero potute mai stare in piedi, a meno che non fossero state provviste di stampelle o altre protesi mimetiche**.
Anche l’eventuale trasporto o collocazione definitiva non sarebbe stata facile, a meno di non imbracare come un salame la creatura per evitare la flessione e quindi la trazione.
Non ho altro modo per spiegare la vulnerabilità che con la scheda allegata.
Con alcune semplificazioni e conteggi, lo schizzo serve per quantificare l’ordine di grandezza della vulnerabilità. Niente infatti, meglio dei numeri, consente di valutare e quantificare l’assunto, pur da tutti facilmente intuibile, visto lo sbilanciamento del bubbone. Ma non cambia molto nemmeno per gli arcieri, pugilatori e guerrieri. I problemi per queste tipologie sono diversi, perché arti e oggetti si discostano troppo dal tronco. I due gemelli invece, se non fosse stato per lo sbilanciamento abnorme dello scudo avvolto, potevano aver successo, perché sono colonnari, senza parti a sbalzo. Lo scudo avvolto è così definito perché i gemelli molto assomigliano al bronzetto di Vulci, trovato nella grotta di Cavalupo. Anche in questo caso penso che la terminologia serva per identificare subito di quale pugilatore si tratti, non quello dello scudo in testa, bensì quello con lo scudo avvolto.
Mi auguro che gli schizzi della scheda siano intelligibili e anche i fenomeni schematizzati e quantificati. La didascalia è un “romanzo”: serve anche a me per  ricordarmi i passaggi. Il tutto suppone che la statua sia stata ricavata da un unico blocco calcareo, piedistallo di base incluso. Si potrebbe pensare ad altri artefici per l’attacco a terra, visto che i gemelli non hanno piedi, ma anche gli altri altrettanto disgraziati fratelli hanno avuto le caviglie o le gambe traumatizzate all’attacco col piedistallo durante la gestazione e non vedo ragione per pensare che i gemelli non avessero lo stesso attacco a terra!
Si fa strada una facile ipotesi: se non potevano stare in piedi, o comunque sarebbe stato un equilibrio precario e instabile, non sono mai state abbattute perché non sono mai state messe in piedi. 
Di solito infatti non si fa il corredino all’aborto. Si prova caso mai a rifare la creatura. Ma se poi la maledizione si invera ed itera, il progetto di avere discendenza viene accantonato!
No, no. Qui di pezzi finiti ne sono stati trovati e molti! Scusa, pezzi? D’accordo. Ma una statua finita intera? Se sono un bravo scultore e ho bisogno di altri (direi bottega, che è un concetto moderno, ma rende) che mi aiutino a fare più di una statua di diversa tipologia devo insegnarlo. Per far ciò faccio vedere come deve venire scolpita una testa, la finitura di un torso, la mano che tiene l’arco e altri particolari. Forse c’era bisogno del consenso del/dei committenti e i particolari andavano mostrati.
Ci provo con un particolare difficile, un arco. Viene, ma cavoli, addio alle proporzioni, una corda sottile  me la sogno…e così la spada. Non parliamo dello scudo in testa. Togliere tutto quel pieno per lasciare il sottile scudo è impossibile. E se facessi lo scudo a parte e poi glielo attacco? Con cosa? Avessi almeno un trapano: bucherei il corpo e il braccio, caccerei poi un perno di bronzo nei buchi e bloccherei il tutto col piombo. Il piombo c’è, ma il trapano no!
Oppure? Senti, ne ho piene le scatole, o mi lasciate fare delle varianti ai modellini che mi mostrate, o ci rinuncio. E’ impossibile fare una statua uguale al bronzetto!
C’è un’altra questione, veramente carogna. Nemmeno Galileo ha fatto bella figura ragionando nei “Dialoghi…” di proporzionalità fra carichi e dimensioni strutturali! Il problema va sotto il nome di “cambio di scala” e fra bronzetti e statue non è facile passare da 1 a 10, mantenendo le proporzioni dirette, specie con un materiale come la pietra che ha proprietà assolutamente diverse dal metallo.
Un particolare per tutti: almeno un piede delle statue fosse stato messo più avanti all’altro, anziché entrambi in linea. Macché, piedi con o senza sandali, sono tutti in linea. Le masse, rispetto al baricentro, avrebbero avuto un pelo d’inerzia in più. Coi piedi in linea reggono meno ad eccentricità frontali o tergali. Mentre è più difficile ribaltare la statua con spinte laterali.
Il progetto, bellissimo progetto, di realizzare in grande scala le figure dei bronzetti, è stato anche la causa dell’insuccesso.
In tutto ciò c’è del male? Assolutamente no! Ogni progetto importante trova ostacoli. Spesso si superano, con la perseveranza e con nuove idee. Cos’è il progresso se non una storia di gradini sulla cui pedata qualche volta si è costretti a fermarsi?
Non si sono trovati, dopo l’insuccesso, altri tentativi per superare le difficoltà, invero insormontabili se si ci ostinava a non cambiar strada.
La storia della statuaria di MP non ha un precedente e nemmeno un conseguente. Manca una “scuola” che pure c’è per la bronzettistica
La batosta e lo spreco di risorse sono stati tali che nessuno ha voluto riprovarci. E magari sono cambiate anche le condizioni socio-politiche ed economiche.
Penso che non sarebbe stato comunque facile superare le difficoltà, nemmeno se avessi avuto il marmo pario, con cui sono stati realizzati i kouros, statue di giovani anche più grandi di MP (fino a 6m) per le necropoli greche più o meno coeve –VI-VII-VIII secolo a.C. con le statue di MP–  o l’abilità di Fidia o Prassitele. Nemmeno Canova avrebbe potuto col biocalcare gessoso di MP fare una copia in scala 1:10 dei bronzetti. Invece l’avrei potuta fare anch’io, ma di metallo! O con un bel sostegno in più e con sbalzi molto più contenuti.
Fuor di favola: le statue di MP sono state un episodio, senza un prima e senza un dopo storico in qualche modo documentato. Si possono rintracciare precedenti di statuaria in Sardegna, qualche testa taurina, una stele aniconica, ma lontanissimi parenti del nostro oggetto. Il progetto era ambizioso, convincente e pensare ad una necropoli, ma anche solo ad un tempio adornato con alcune statue di pietra, con la carica emotiva, storica, eroica che i bronzetti hanno in sé era non solo lecito, ma oserei dire doveroso, per l’epilogo del nuragico.
Viene allestito il cantiere, ci sono le maestranze arrivate da..?, si lavorano le pietre, per le colonne e capitelli, conci per basamenti e muri; i più bravi sbozzano le statue, alcuni si esercitano sulle parti più delicate e a sbalzo, ai lavori di ornato e finezza. Cominciano le difficoltà. Ogni piccolo successo fa i conti con disastri. I committenti mugugnano, sospendono  le provvigioni pattuite. Il cantiere è abbandonato.
Qualcuno si porta via i conci finiti e utili, qualcun altro fa pulizia e ammucchia in discarica l’inservibile, anzi rompendo i pezzi più grossi: pesano meno. I terreni vengono “spietati” e resi idonei alle semine…
Ed è lo stesso aratro che resuscita il già sepolto. E ogni simulacro, scheletro, rinvenuto, compiuto o feto, reclama spiegazioni che spesso sono impossibile da soddisfare***, perché il caso, grande romanziere, irrompe nello scorrere tranquillo del tempo, spezzando, con le statue, un sogno di rappresentazione di una epopea, quella della civiltà nuragica.

note
* Le ho viste solo in foto. E le foto fregano, perché e troppo facile vedere quello che vuoi vedere
** Ho sintetizzato,  giornalisticamente, il mio pensiero su MP frutto di una indagine che sto completando. Ognuna delle “sparate” sopraesposte hanno un corredo esplicativo dettagliato, logico e consequenziale con un metodo severo che mi sono proposto, proprio perché ho chiara la percezione della generale non condivisione del risultato. Partenza e arrivo in salita.
*** Ho necessità di rivedere le statue, sia del museo di Cagliari, sia di quello di Cabras. Non posso più ragionare sulle foto!

giovedì 25 agosto 2016

Dubbi non fugati

di Franco Laner

Dopo le perplessità sollevate dal confronto fra il reperto di scavo del ’79 e la sua collocazione nella ricomposizione ora esibita a Cagliari, alcune precisazioni dei blogger non permettono risposte certe.
Il contributo di R.S. -grazie!- mi pari confermi che manchi qualcosa rispetto al reperto, soprattutto fra lo scudo e la testa la distanza è minore.


Fig. 1 Si vede il moncone del braccio, ma il frammento di scudo è piccolo rispetto al frammento di scavo



Fig. 2 La foto mostra la rispondenza fra reperto e ricomposizione di fatto avvenuta, come mostra la fig.1. Rimangono perplessità forti che cercherò di fugare con un nuovo sopralluogo. Comunque questa documentazione sembra voler prevenire sciocche illazioni.


Mentre la gentile segnalazione di Orni Corda è più intrigante pur lasciando aperte domande, ancora sulla minore distanza fra testa e scudo e il pezzo di scudo della foto mi pare molto più corto di quello dello scavo, che oltrettutto poco assomiglia a quello sovrapposto.
Non rimane che un nuovo sopralluogo al museo di Cagliari.
Invece questo modo di indagare mi fa scoprire altre foto da verificare. Sempre sul pugilatore, a Cabras però, noto un brusco cambiamento di direzione nell’apposizione dello scudo, Nella foto di Li Punti il frammento di scudo del gomito porta ad un raggio di curvatura molto accentuato se si vuol far passare lo scudo sopra la testa. Mi sembra che riducendo l’angolo fra frammento e scudo si sia potuto ricostruire uno scudo con curvatura blanda.
Non è però questa l’indagine che sto conducendo, anche perché le foto spesso fanno vedere quel che vuoi vedere. Il tema di ricerca che mi sono dato è verificare se mai le statue siano state messe in piedi. Durante la gestazione c’è stato un aborto fisiologico. Il feto non è arrivato a compimento e la creatura non è mai stata distrutta, perché rotta prima. Bellissimo il progetto per la necropoli, coi bronzetti ingigantiti, ma un inghippo ne ha negato l’esito e il cantiere è stato abbandonato.
I dati di ricerca mi permettono di anticipare queste conclusioni.
In questo percorso di ricerca ogni tanto inciampo in qualche difficoltà, che supero non prestando che pochissima attenzione alla risibile ricostruzione delle varie tipologie di guerrieri e alle forzature messe gratuitamente in atto per offrire ai turisti di bocca buona qualcosa di verosimile e uguale ai bronzetti.
                                    



Fig. 3 Cabras. Ci sono due diverse direzioni di curvatura dello scudo. Nel pugilatore ricomposto -che male è venuto!- si vede, nel gomito come lo scudo di resina cambi di direzione rispetto al frammento di scudo ancora libero. Nella foto di Li Punti si intuisce che per passare sopra la testa lo scudo avrebbe dovuto avere un raggio di curvatura accentuato e non blando.

lunedì 22 agosto 2016

Chevron amari


di Franco Laner

-Cosa intendi per chevron?- mi chiede fra gli altri Giorgio Pala, egregio amico sardo (anche egregio meriterebbe spiegazione per capire bene perché uso questo aggettivo). - Hai presente il logo della Citroen? Quello!-
Ma con gli chevron della simbologia universale a partire dal paleolitico, non ha parentela. Il sig. Citroen lo usò per un suo brevetto di ruote dentate a V e rimase come logo per le auto che costruì col fratello.
La signora degli chevron è Marija Gimbutas, lituana, docente negli Usa, con l’altrettanto grande J. Cambell. Il suo libro “Linguaggio della dea”, Longanesi, 1992 credo che ci sia nella biblioteca di ogni archeologo, come io nella mia ho la copia anastatica di Palladio.


fig 1 Da Gimbutas. Simboli gemmati dall'archetipo V tipici della dea madre. La presenza del simbolo rielaborato nella cultura di Ozieri (3800 a.Cr.) da ceramiche di Monte d'Accodi e da Conca Illonis.

Il segno primigenio dello chevron è la V, segno pubico che poi si articola con varianti: si chiude a triangolo, si moltiplica a zig-zag, si sovrappone appunto a chevron, è il simbolo per eccellenza della dea uccello e dea madre. A questo segno il libro dedica i significati, nelle diverse civiltà primitive. La Gimbutas, con una visione davvero globale, riporta una figura della cultura di Ozieri 3800 a.Cr., dove due V simmetriche formano figure danzanti femminili (1).
Ho, non penso di sbagliarmi troppo, un punto fermo di approccio all’arte e all’architettura sarda, non solo del passato.
Sardegna, isola al centro  del lago mediterraneo e sulle cui rive si sono formate le grandi civiltà, è crocevia obbligato. La Sardegna è laboratorio: recepisce, rielabora e spesso esporta ciò che inevitabilmente le sbatte contro, con aggiunzioni e creatività, in continuità col  proprio genius loci.
Esempi di laboratorio, come le scene dipinte su ceramiche della cultura di Ozieri con la V protagonista e declinata con singolari interpretazioni, ce ne sono a iosa.
Accenno al tumulo di sepoltura diffuso, gonfiore della madre terra pregna, nel Mediterraneo, come le navetas delle Baleari, che in Sardegna diventa la Tomba di Giganti, con la straordinaria aggiunzione dell’esedra e della stele col simbolismo inferi-terra-cielo.
Ancora? Saccargia, splendida rielaborazione del Romanico toscano.
Torniamo agli chevron, simbolo di fertilità, di procrezione, di vita. La Gimbutas raccomanda di non intendere la V e combinazioni come decorazione: sarebbe riduttivo  e privo di inferenza archeologica. Il segno è intriso di sacro e raffigurato su tutto ciò che afferisce al sacro, ai riti e alle cerimonie.
Il segno, specie nella sua declinazione a zig-zag e chevron, è presente nei frammenti di Monte Prama e sui coronamenti delle cosmologiche torri dei cosiddetti modelli di nuraghe (2).


fig. 2. Da Monte Prama. Coronamento di torre centrale con iterazione della simbolica V.

Riuscirò prima o poi convincere gli archeologi sardi di non chiamare così questi simboli, altari, che sono modello del cosmo, icona, mandala, da sempre in tutto il mondo, come in Africa, medio ed estremo Oriente, ecc.?  Si potrà ogni tanto, uscire dal provincialismo che caratterizza la loro ricerca nuragica? Si leggano gli atti del convegno internazionele di archeologia in Sardegna del 1929 dove il modello appartiene al sacro anche per Taramelli (! sì quello del nuraghe fortezza, gran maestro di Lilliu sul nuraghe fortezza) dove i bronzetti (Ittireddu) sono interpretati come modello di  tempio, che si costruisce in armonia con la visione cosmologica.
E una volta per tutte. Se i nuraghi sono fortezze, perché farne un modello?
Arriviamo al dunque e vorrei che si condividesse, almeno per un istante, lo scoramento e il disappunto nel leggere la didascalia ad una immagine della sommità della torre con V ripetute in un libro collettaneo di archeologi sardi su Monte Prama, che recita, a commento dei segni sul coronamento: "La decorazione triangolare verosimilmente indica il parapetto in legno"
Ahimé! Amarezza e dolore, anche fisico, mi pervade e svuota.
Mi fermo qua. Potrei a lungo discutere se i nuraghi abbiano mai avuto parapetto, ma intuisco che non interessa a nessuno,  trasformare però un simbolo sacro in un parapetto, mi annichilisce. Nella decorazione della banda di un arciere, spero si veda nella fotocopia, le righe orizzontali parallele sono interrotte da V iterati.
Sono parapetti? Cosa si teme che caschi di sotto?


fig. 3. Egregia lavorazione della banda, stola, di un arciere con evidente l'iterazione del propiziatorio simbolo a V fra le righe orizzontali.


sabato 20 agosto 2016

Frammento, chiave di logica

di Franco Laner


Nell’articolo precedente Esercizio di Logica, a riguardo della fig. 4, lasciavo al lettore l’osservazione e il giudizio di due sequenze di foto degli scavi del ’79 di MP. Le risposte, non molte, sono tutte maligne e tendono in conclusione a proporre di scambiare la sequenza: il primo scatto è quello di destra e il secondo quello di sinistra.
Tutti però premettono che non è facile perché distanza e angolazione sono diverse…
Ipotizziamo che la sequenza sia quella proposta in fig. 4 del precedente post.
Nell’avanzamento dello scavo, le foto provano:
-         che la testa del pugilatore emersa sia quella tutt’ora esibita, intatta.
-         che sopra la testa ci sia lo scudo, come recita la dida (v. fig. 4 precedente post)
In sintesi le foto ci dicono che le illazioni, i sospetti, financo il ridicolo, sono cattiverie e stupidità.



fig. 1 La didascalia degli archeologi dello scavo del ’79 recita come sia ben visibile il frammento della scudo sopra la testa del pugilatore, emersa intatta, come mostra la foto a destra. Nemmeno del raccordo fra testa e scudo c’è traccia

Osserviamo bene il frammento di scudo della fig. 1 posto sopra la testa. Esso è leggermente curvato e all’estremità curva improvvisamente. È  un frammento piuttosto caratterizzato, difficilmente confondibile. È anche piuttosto grande, come la testa del pugilatore, ma non lo vedo inserito né nello scudo del pugilatore di Cagliari, sopra la sua naturale testa, né sopra quello di Cabras.
Dov’è andato a finire? Non c’è al suo logico posto come rinvenuto. Ho poche foto dello scudo da sotto o sopra, ma per quelle che ho trovato, es fig. 2, il frammento non è stato collocato.


fig. 2. In questa foto (prof. Mondazzi) non c’è il frammento dello scavo del’79. Nemmeno il frammento è stato messo nello scudo del pugilatore di Cabras

Le deduzioni  della sequenza di scavo sono:
  1. le due foto sono strumentali per dimostrare l’autenticità della testa appena scavata e della certezza dello scudo in testa al pugilatore.
  2. La testa è autentica e la dida dello scudo in testa è stato un errore
  3. La testa è stata messa “in posa” e il frammento dello scudo è andato perso, o dimenticato o si è appurato che non fosse un frammento di scudo
  4. è tutto autentico, sia foto, sia ricostruzione, secondo le ipotesi confermate di Lilliu e C.
Ognuno ovviamente può scegliere. Io propendo per la deduzione 1.
Mi riservo di verificare de visu i due scudi e se le foto non mi hanno fatto vedere il frammento effettivamente collocato, specie se i voli Treviso-Alghero saranno ripristinati. Certe cose sarde sono davvero incomprensibili. È lapalissiano che Ryanair per il turismo sardo conta mille volte più che l’assessorato al turismo della Regione, che ancora sta pensando come valorizzare il patrimonio archeologico dell’Isola


sabato 13 agosto 2016

Esercizio di logica


di Franco Laner

L'esercizio è un'applicazione della metodologia indicata nel racconto di F. Pessoa "Il furto della Villa delle Vigne" in cui il grande scrittore e poeta portoghese inaugura un metodo di indagine per individuare il ladro.

Domanda.
Come mai le teste di pugilatori esibite a Cagliari e a Cabras, dello stesso calcare, trovate nello stesso sito, si mostrano differenti nel grado di finitura e conservazione?

Il fatto.
Durante gli scavi dal ’74 al '79 vengono alla luce teste e altri numerose parti di statue. Più di 5.000 frammenti, in parte ricomposti a Li Punti ed ora sciaguratamente esposti in parte a Cagliari e in parte a Cabras. Eppure Salomone ci insegnò che la divisione in due del bimbo vivo non avrebbe giovato a nessuna delle due madri.
Due teste, una in particolare, si presentano molto definite, fresche e “levigate”, altre diversamente incerte con segni di degrado, corrosione, alterazione chimica e offese meccaniche dovute alla lama dell’aratro.
Non ci sono ragioni per pensare che siano disetanee. Ovvio, non parlo di anno, bensì di lustri o secoli.


fig. 1 Teste di Pugilatori. La prima è la più nota. La seconda anche è ben conservata, mentre le altre sono degradate.

Ipotesi.
L’ipotesi più  accreditata è che le due teste meglio conservate abbiano convissuto con un microambiente non aggressivo, mentre le altre si sono trovate in un ambiente particolarmente aggressivo.
E’ questa una conclusione, forse logica, forse inevitabile. Tuttavia non è un fatto. Non è certezza, pur possedendo un alto grado di probabilità. Chi oserebbe pensare che non sia così? Chi mai può dubitare che i reperti non siano autentici?
Ci sono altre ipotesi che possono spiegare il fatto anche se con minore probabilità?
Ne avanzo una con bassissime probabilità, contraria a quella accreditata, estrema.
Ci saranno allora ipotesi intermedie fra quella accreditata e quella contraria.
Due estremi presumono infatti posizioni intermedie.
Come ipotesi contraria assumo dunque che le due teste siano false, scolpite recentemente (40 anni fa circa) da uno scultore.
Molto vicina a questa ipotesi estrema e contraria, ci sta l’ipotesi che le due teste siano state semplicemente ritoccate e rimesse “in bella”. Quest’ultima ipotesi ha maggiori probabilità, perché ha un grado di estremità minore dell’ipotesi del falso.
Ovviamente se uno scultore portasse le prove di essere l’autore del falso, il ragionamento finirebbe.
Fra l’ipotesi accreditata e la contraria  ("ritocco") ci possono essere altre ipotesi intermedie, che prenderò in considerazione solo dopo aver rigettata la nuova ipotesi estrema.
La levigatura, che rende liscia porzioni delle teste se è stata eseguita recentemente, deve avere una certa profondità e per quanto “il restauratore” sia abile, cancellerà nella levigatura ogni elemento in rilievo, rendendo la superficie liscia come un biliardo.
Lo scultore e storico, prof. Mondazzi di Torino scrive -dic. 2015- nella sua perizia sulle statue di MP (vedi ad esempio il testo sul blog di Montalbano) che trova perlomeno strani i segni evidenti al posto delle trecce nella testa del pugilatore più esibita. Perché mentre in tutte le altre teste ci sono le trecce, qui ci sono solo le tracce? Si può dedurre che le trecce siano state levigate e che i segni strani siano la testimonianza delle preesistenti trecce, ora levigate. (fig. 2)


fig. 2. Delle trecce, presenti in tutte le teste dei pugilatori, sono rimaste solo le tracce perché cancellate dalla levigatura (Foto prof. R. Mondazzi. Torino)

La parte del volto meglio conservata, anzi la più nitida e meglio incisa, di un paio di dmq, su qualche centinaio di mq di superficie totale di tutti i reperti, è senza dubbio l'arcata sopraccigliare, gli occhi e il naso della ns testa di pugilatore. Una nicchia infinitesima e mirata si è salvata dall'universale e fisiologico degrado. Non temete, ho ben presenti anche altri sparutissimi particolari, come la mano e avambraccio che tiene l'arco…
Il tempo, grande scultore, ha fatto dunque dono -nella sua incommensurabile pietà- di preservazione di ciò che in nuce racchiude tutto MP. Un magico scrigno fatale ha protetto l’essenza.
Quando si dice della fortuna degli archeologi!
Il miracolo, ancora più grande, è per me la perfezione e freschezza dei doppi cerchi e l'incavo oculare e il taglio sopracciliare, soprattutto se si pensa che sono morfologicamente un ottimo ricettacolo di acqua e quindi di attacchi corrosivi e degrado chimico.
Trovo altresì eccezionale la conservazione dei buchi-fessura del naso. Due fessurine proprio nel naso, sporgenza vulnerabile e corrodibile. La conservazione di un tal particolare ha davvero del miracoloso. Ma il miracolo non è un fatto, è una congettura quando non si sa dare spiegazione.


Fig. 3 In un paio di dmq di superficie si può racchiudere tutta la vicenda di MP. Gli altri mq di reperti, insieme non valgono come questi che sono sopravvissuti intatti ad ogni avversità. Basta voler credere ai miracoli. A destra del volto si vede chiaramente il segno della treccia

Si guardi con occhio ingenuo (so che ora è difficile) il volto del pugilatore e si esprima a sè stessi un giudizio sincero e di buon senso comune, buon senso comune che è un nostro immenso patrimonio collettivo (v. La Capria, La mosca nella bottiglia) e si dica se il germe del dubbio di un ritocco non sia condivisibile!
Aggiungo, chiosando ancora il prof. Mondazzi, che all'epoca, anni settanta, un restauro anche pesante di un reperto non era un delitto di lesa maestà e ci stava, per tanti motivi, mediatici, di carriera, di ignoranza, di semplice vanità o amor isolano.
Spesso si è restaurato per amore: a statue mutile si sono aggiunti arti e teste a busti acefali.
Le Carte del Restauro non erano prescrittive, né ancora culturalmente condivise o conosciute.
Torno al ragionamento iniziale. Le probabilità dell'ipotesi concernente il ritocco, dopo queste osservazioni, sono percentualmente più alte dell'ipotesi accreditata inizialmente.
Per ora dunque, in mancanza di altri fatti, la probabilità di un ritocco, non so quanto pesante e profondo, su entrambe le teste, è alta e l'ipotesi più accreditata è soccombente.
Ad aiutare le quotazioni di chi non si sente di mettere in dubbio l'originalità delle due teste, metto ora sul piatto le testimonianze degli archeologi, Tronchetti in primis, che oltrettutto ha documentato le fasi di scavo e ritrovamento della testa in questione (fig.4).
La foto è una prova importante. Per dimostrare però che anche in questo caso è d'obbligo la sospensione del giudizio, introduco una ipotesi estrema, col metodo Pessoa sopraesposto, rimando però ad un prossimo post.
Nel frattempo, chi fosse interessato, può esercitare le sue virtù indagative confrontando, a mò del passatempo "trova le differenze" della Settimana Enigmistica, le due foto e rilevare qualche anomalia.
Un particolare, per me, in una delle due foto, è davvero intrigante e getta un forte sospetto sulla legittimità ricostruttiva del pugilatore, o viceversa, sulla foto.
Alla prossima!


fig. 4.  Scavo Tronchetti del 1979. La testa del pugilatore più gettonato, esposto a Cagliari. Nella foto a destra emerge dal terreno un frammento dello scudo che la statua regge sopra la testa (da AA.VV "Giganti di Pietra", Fabula, Cagliari, 2012)



mercoledì 10 agosto 2016

L'insostenibile ricomposizione dei reperti. Il caso dello scudo rotondo di Monte Prama

di Franco Laner

 Fig. 1. Lo scudo rotondo con chevron dei bronzetti è perfettamente quadripartito e gli angoli sono ovviamente di 90° (Bronzetto da Teti, località Abini e da Padria)

Il titolo, che di solito sintetizza il contenuto di un articolo e che cerca anche attrazione e curiosità, poteva essere “Coriandoli su una tabula rasa”, ma una qualche logica ricostruttiva dello scudo rotondo non si può negare. La logica però non ammette aggettivi: o è logica o non lo è!
Lo scudo rotondo, assegnato ai “guerrieri” delle diverse tipologie di statue ricomposte a Li Punti, è ora esposto a Cabras, nel Museo Marongiu.
I frammenti dello scudo sono 23 e ricoprono una superficie del 40% circa. Il 60% dello scudo, che ha un diametro di 64cm, è “vuota”, lacunosa, direbbero i restauratori.
La ricomposizione è avvenuta tenendo conto sia dall’accostamento di frammenti combacianti, sia avendo a mente alcuni bronzetti nuragici di sorprendente riferimento, nell’insieme e nei particolari, come appunto lo scudo rotondo che ricorre in diversi bronzetti (fig. 1)
Ovviamente non poteva mancare la maquette predisposta già dai primi scavi, con la ricostruzione delle tipologie, pugilatori con scudo intesta, arcieri , modelli di nuraghe ed ovviamente anche guerrieri (fig. 2).
Fra le numerose ricomposizioni, pugilatori, arcieri, guerrieri, “modelli di nuraghe”, quella dello scudo rotondo può essere considerata facile, relativamente alle maggiori difficoltà dell’assemblamento degli altri reperti, perché i frammenti di scudo sono inequivocabili proprio per la presenza di chevron, bordi di frammenti ad arco di cerchio, ambone, ecc..


Fig. 2 Il disegnatore è stato assai abile: è riuscito nell’illogico compromesso geometrico di ripartire lo scudo in quattro parti con angoli inferiori a 90°, lasciando per strada 70° (complemento a 360°). Il mancato parallelismo dei lati degli chevron evidenzia l’ovvio l’insuccesso

Diamo per scontata la legittimità di questi “restauri”, l’ispirazione a modelli assomiglianti e l’appartenenza dei frammenti all’oggetto da ricomporre. Sia lo scudo dei bronzetti, sia quello del disegno mostrano una quadripartizione del cerchio. Non è nemmeno difficile verificare che i solchi dello chevron dei frammenti siano, al di là di modestissime imperfezioni, paralleli fra loro. Pertanto l’angolo dello chevron non può che essere di 90°. Se l’angolo dello chevron è però inferiore ai 90° posso ancora avere la quadripartizione, ma i solchi non saranno più paralleli, bensì incidenti, come si vede sia in fig. 2, sia in fig. 3
Gli angoli degli chevron dei frammenti, 8 in tutto, hanno aperture dissimili (fig. 3). Ho misurato tali angoli e riportato le misure. Tali misure non sono precise, per diversi motivi: la foto non è zenitale, l’umbone è decentrato, il cerchio non è perfetto, io non ci vedo benissimo e pertanto penso che l’approssimazione possa essere ± 1°-2°. L’elaborazione dei dati, mi sia concesso di eliminare la quarta (54°) e quinta misura (56°) -per ora- porta ad una media di 71,2° con una scarto quadratico di 3,2 e pertanto la dispersione è bassa (4,4%) e ci dice dell’omogeneità della popolazione.
Mi sembra ovvia la conclusione: 360°/5 = 72° e pertanto lo scudo con questi chevron è pentapartito.
I due chevron con angoli di 54° e 56°, o non appartengono alla popolazione presa in esame (sono di un altro scudo), oppure chi ha diviso il cerchio in 5 parti non è stato preciso! Ma la pentapartizione mi sembra comunque dimostrata: avremo un angolo di 56° e uno di quasi 90° (83°) ma i solchi saranno paralleli (fig. 4). Altra logica: gli chevron intorno ai 60° (mi riferisco ai due angoli di 54° e 56°stretti) indicano la possibile esapartizione di uno scudo. Restiamo però sulla ricostruzione dello scudo, dove sono stati ricollocati tutti i frammenti.


Fig. 3 Scudo ricomposto a Li Punti ed esibito a Cabras. La quadripartizione comporta una molteplicità di incongruenze geometriche, come l’evidente incidenza dei segmenti dei rami degli chevron che dovrebbero essere paralleli (es. a-b, c-d, e-f,…). La quadripartizione ricostruttiva mostra angoli di 102°, 67°, 98° e 93°. Ancora, uno chevron di  68° è seguito da uno di 75° sullo stesso ramo! Davvero un pasticcio, che giustifica l’impressione di coriandoli disposti dal vento.

Perché queste puntigliose osservazioni?
Per dimostrare l’estrema pericolosità di una ricostruzione quadripartita che ha poco di rigoroso perché gli angoli dello chevron indicano la pentapartizione dello scudo e non la quadripartizione.
Come corollari di questa dimostrazione annoto cosa comporta l’errata ricomposizione:
-   Ovvia necessità di adattamenti dei frammenti con risultati disastrosi sul parallelismo dei solchi (es. segmenti a, b, c, d, .. di fig. 3)
-   I riferimenti alla simbolicità della divisione sono diversi: un conto è ragionare sul numero 5 (3+2) altro sul 4. Credo che non si possa mettere in discussione la decorazione dello scudo e la sua simbolicità, specie propiziatoria e apotropaica
-   L’estrema pericolosità della ricostruzione, che apre alla discrezionalità e alla soggettività interpretativa e quindi a fuorvianti deduzioni per chi studia il reperto ricostruito
-   Nel caso specifico, si nota la casualità ricostruttiva. Ad es. sullo stesso ramo, uno chevron ha un angolo di 68° e un altro di 75° (fig. 3).

Fig. 4 Tenendo conto dei 4 chevron di bordo dei reperti e del parallelismo dei suoi rami, la pentapartizione sarebbe stata come nella schizzo. Lo chevron di 83° (mancante) è il complemento a 360° della somma dei 4 angoli degli chevron reperiti. La pentapartizione avrebbe dovuto essere la maquette di riferimento della ricostruzione dello scudo, assai diversa da quella quadripartita assunta dai “restauratori”.

Si vede comunque, appena si faccia mente e occhio locale, anche senza misurazioni, che la geometria dello scudo ricomposto è negata. Sostenere la correttezza della ricostruzione dello scudo esibito nel Museo Marongiu equivale ad introdurre la tesi dell’illogicità decorativa, non facile da condividere, specie se si condivide che lo scultore non fosse un pasticcione o un pressappochista.
La ricomposizione dello scudo è un pasticcio di logica geometrica, sostenuto dalla voglia di rimettere in bella un oggetto per turisti di bocca buona o semplicemente per soddisfare la vanità dei protagonisti di una vicenda eccessivamente esaltata dai media e difesa contro ogni logica, ad esempio i pugilatori con lo scudo sopra la testa.
Perché non ci basta quanto il tempo, grande scultore e generoso custode, ci ha lasciato?
La resurrezione non è una categoria umana e per quanto ci si impegni a contrastare l’ordine divino delle cose, mettiamo dunque in conto anche la loro rovina.