sabato 26 marzo 2016

Sulla geometria della cupola del nuraghe Is Paras


di Paolo Littarru



La geometria astronomica della cupola del nuraghe Is Paras di Isili venne illustrata da Mauro  Peppino Zedda nel suo I NURAGHI IL SOLE LA LUNA (1992). Una questione che ripropose anche in pubblicazioni successive (I Nuraghi tra Archeologia e Astronomia 2004, Archeologia del Paesaggio Nuragico 2009 e Astronomia nella Sardegna Preistorica 2013).
Le misurazioni di Zedda misero in luce che il rapporto base/altezza della cupola possiede un'armonia astronomica, infatti la linea passante tra il foro apicale e il perimetro di base della cupola, forma un angolo di 16° circa rispetto alla verticale. Un angolo identico all’angolo compreso tra la verticale e il punto che Il Sole raggiunge al solstizio d’estate quando attraversa il meridiano (ovviamente alla latitudine di Isili).
Questo studio di Zedda fu ripreso da Michael Hoskin e Juan Antonio Belmonte nel libro Reflejo del Cosmos, Atlas de Arqueoastronomia del Mediterraneo Antiguo 2002, poi da Clive Ruggles  in Ancient Astronomy 2005, e infine dallo stesso Ruggles  sul recente recente Handbook of Archaeoastronomy and Ethnoastronomy edited by C. Ruggles (Springer, New York 2014), stato dell’arte dell’archeoastronomia mondiale.
In un capitolo dell’Handbook “Nature and Analysis of Material Evidence Relevant to Archaeoastronomy”, Ruggles, docente emerito all’università di Leicester e presidente della Prehistoric Society, così descrive la magnifica cupola del Nuraghe Is Paras di Isili, il cui rapporto base altezza, funzionale alla collimazione del passaggio del sole al meridiano al solstizio d’estate, messo in evidenza da Zedda:

Is Paras, a Bronze Age nuraghe (drystone tower) in Sardinia, illustrates some of the principal methodological and interpretive issues that arise in a prehistoric context. Its central chamber has a corbelled roof rising to an incredible 11.5 m in height, with a small round opening, ca 40 cm across, at the apex. Around the middle of the day, sunlight enters the chamber and casts a dagger of light onto the northern chamber wall. This moves in a “U”-shaped curve, reaching its lowest point at noon. On the summer solstice, the bottom of the dagger reaches down to the lowest layer of stones, within 2 cm of the floor, spending about 20 min moving across on this level before discernibly starting to rise up again (Belmonte and Hoskin 2002, pp. 185–188; Zedda 2004, pp. 24–34, 55–56). Should this phenomenon be dismissed out of hand because nothing like it has been discovered at any other nuraghe, even though almost 7,000 of them remain in the Sardinian landscape (omissis)?”
In merito al concio che fu posto dalla Soprintendenza per “tappare” il foro apicale e fugare, nell’intenzione della soprintendenza stessa, eventuali interpretazioni del monumento in chiave astronomica, così si esprime Ruggles
“Or because a small stone discovered on top of the tower suggests that the hole was covered, at least for some of the time? Or are these doubts outweighed by the fact that the light dagger reaches so close to the floor without actually touching it – surely an incredible coincidence if unintentional? There is no general agreement as to how to answer such questions.”
Al momento della sua costruzione, la cupola del nuraghe Is Paras, può essere forse considerata come una delle più sofisticate al mondo, forse la più sorprendente dell’antichità fino all’edificazione del Pantheon.
Il concio apposto dagli archeologi della soprintendenza di Sassari e Nuoro per tapparla deve essere rimosso, ad fortiori in quanto simbolico di un paradigma errato che ha stravolto l’interpretazione dei nuraghi confinandoli in una rozza e banale destinazione d’uso militare.

Nuove ricerche devono essere intraprese sull’interpretazione del rapporto base altezza del nuraghe al fine di sviscerarne la funzionalità astronomica, che potrebbe andare oltre la sua geometria sintonizzata sulla massima altezza dl Sole (passaggio del Sole in meridiano al Solstizio estivo). Studi sulla scia di quelli condotte da Arnold Lebeuf sulla cupola del pozzo di Santa Cristina (Il Pozzo di SantaCristina, un osservatorio lunare).

lunedì 14 marzo 2016

Piombatoia o cella oracolare?


di Mauro Peppino Zedda


Nei primi quarant’anni del secolo scorso l’archeologia della Sardegna fu caratterizzata dal dominio incontrastato di Antonio Taramelli, mentre  Giovanni Lilliu fu il dominus dei successivi sessant’anni. Taramelli era coadiuvato da alcuni bravissimi disegnatori e squadre di operai armati di piccone. Mentre Lilliu fece nascere la scuola archeologica sarda, forgiata a sua immagine e somiglianza.
Come ho provato a spiegare in Archeologia del Paesaggio Nuragico (2009), penso che Taramelli abbia espresso un’archeologia, epistemologicamente,  figlia dei suoi tempi, mentre Giovanni  Lilliu restò attardato ai dettami dell’archeologia degli anni della sua formazione (anni ’30 e ’40). Purtroppo Lilliu non riuscì a cogliere i dettami della archeologia processuale, post processuale, cognitivo processuale che si affermarono, progressivamente, nelle migliori scuole di archeologia del mondo a partire dagli anni ’60, e restò per tutta la vita ancorato alla sua archeologia storico-culturale.
Taramelli può essere considerato come l’archeologo che ha imposto la teoria del  nuraghe fortezza con i nuraghi che servivano per difendersi dei nemici interni (nuragici stessi)  ed esterni (punici e romani).
Lilliu restò ancorato alla proposta di Taramelli sino alla metà degli anni sessanta. E ancora non riesco a spiegarmi come mai nello scavo del nuraghe di Barumini interpretò il rifascio come un espediente costruttivo finalizzato a consolidare il nuraghe per resistere alle macchine d’assedio (ariete ed altro) dei cartaginesi (vedi Civiltà dei sardi 1963). In realtà il rifascio dovrebbe risalire al Bronzo Recente (1350-1150 aC), come abbia potuto compiere  un errore così madornale non riesco a comprenderlo, se non fosse il grande archeologo che decantano i suoi discepoli mi verrebbe da pensare che fosse uno sprovveduto (nello scavo e nella lettura delle stratigrafie), almeno relativamente ai tempi in cui scavò Su Nuraxi di Barumini.
Ma torniamo a Taramelli e sentiamolo nella sua argomentazione in cui cerca di spiegare la funzione delle cellette poste sopra il corridoio d’ingresso di una particolare tipologia di nuraghe.
Scrisse Taramelli:

I lavori di scavo misero in evidenza un’altra piccola scaletta, la quale dall’alto del piano superiore o terrazza che fosse , scendeva, in direzione opposta a quella della scala principale, stretta e ripida, ad una piccola celletta, a pianta ellittica a volta in aggetto, chiaramente visibile nella sezione a fig. 1 in alto. Questa cella era praticata nello spessore della robusta muratura del nuraghe, sopra al corridoio di accesso alla camera principale e del pavimento di essa, che formava appunto il soffitto dell’andito, era praticato un foro il quale doveva servire come spia o come piombatoia per osservare e colpire dall’alto chi fosse entrato oltre alla soglia della porta della torre nuragica. Tale disposizione difensiva, che ha notevole importanza come elemento atto a chiarire lo scopo della costruzione nuragica, fu già osservata in altri nuraghi, come il nuraghe Mannu presso Ozieri, ma doveva essere abbastanza frequente nei nuraghi, il che spiega la frequenza delle cellette, generalmente di modeste dimensioni, che sono praticate all’interno della compagine del muro, al di sopra dell’andito di ingresso alla camera principali…
Ricordo di aver osservato recentemente tali esempi nel nuraghe Bonora, presso Bulzi, ed a poca distanza da questo, nel nuraghe di s. Giorgio che domina la rupe trachitica di fronte alla chiesa medievale di quel nome, presso Perfugas. Ma nel nuraghe di S. Barbara, grazie al lavoro di scavo, è più evidente ed istruttivo che non in tutti  gli altri casi questo provvedimento difensivo, che precede la piombatoia dei monumenti medievali. Come si vede dalla nitida sezione dovuta al sign. Berretti, dalla celletta sopra l’andito la scala continua sino a raggiungere la scala continua sino a raggiungere la scala principale; in modo che il difensore aveva a disposizione un’altra via di scampo, quando fosse stato sorpreso o sopraffatto dall’assalitore. (Il nuraghe Santa Barbara, 1916)."

Non posso fare a meno di esplicitare che ritengo assurdo il ragionamento che ha portato Taramelli a sostenere che  quella celletta fosse una piombatoia  che rappresenterebbe una  disposizione difensiva, che ha notevole importanza come elemento atto a chiarire lo scopo della costruzione nuragica..
Le assurde fantasie di Taramelli vennero prese per buone dal Lilliu, che fu più realista del Re e teorizzò pure i nuraghi trappola! Le assurde spiegazioni di Taramelli e Lilliu regnarono incontrastate  sino al 1977, cioè sino alla demolizione delle teoria del nuraghe fortezza che Massimo Pittau presentò nel libro La Sardegna Nuragica. In  seguito alle severe critiche del Pittau (1977) , Lilliu tolse dalle successive edizioni del suo La Civiltà dei Sardi, tutte le risibili osservazioni a sostegno di un utilizzo militare, da quel momento la sua teoria diventava un dogma piuttosto che una maldestra ipotesi scientifica.
Per la celletta in questione Pittau ipotizzò che fosse il luogo in cui la Pizia nuragica leggeva l’oracolo, insomma una specie di antro della sibilla, una sibilla nuragica.
Che nel mondo nuragico si praticasse l’oracolo non credo che qualcuno lo voglia negare, mentre sul dove e sul come l’oracolo si esplicava vi è tanto da fare.
Quella di Pittau è una ipotesi verosimile mentre quella di Taramelli e Lilliu è una madornale sciocchezza. Sostenere  che, con il nuraghe ormai “conquistato”,  potesse servire a qualcosa l’espediente che qualcuno si nascondesse in quella celletta per abbattere il nemico ormai padrone del nuraghe è solo una madornale sciocchezza.
Prima dei dottori in Lettere Antiche Taramelli e Lilliu, la Sardegna nuragica ebbe la fortuna di essere studiata dal geografo  Alberto Ferrero de La Marmora, già ufficiale dell’esercito del Regno di Sardegna, che escluse per i nuraghi una funzione militare, sarebbe epistemologicamente interessante comprendere le ragioni  per le quali Taramelli e Lilliu non prestarono attenzione alle esemplari  osservazioni di de La Marmora  e si inventarono una serie di irreali proposte per avvalorare l’ipotesi del nuraghe fortezza.
Comunque sia le innocenti proposte di Lilliu e Taramelli sono sempre meglio di chi, tra i loro discepoli, immagina che lo spazio delle meravigliose cupole nuragiche fosse finalizzato ad appendere i salami!!! 

lunedì 7 marzo 2016

Il rito dell’incubazione in epoca nuragica


di Mauro Peppino Zedda


Pare certo che nella Sardegna nuragica si praticasse il rito dell’incubazione.
Una ritualità consistente nel dormire presso un luogo sacro, in attesa di sogni rivelatori.
Una pratica religiosa strettamente connessa col culto degli antenati.
Del rito dell’incubazione in Sardegna ne parla per primo Aristotele, commentando l’usanza dei Sardi di “dormire presso gli eroi”, e Filipono, suo commentatore, aggiunge che ciò avveniva anche per cinque giorni.
Lo storico delle religioni Raffaele Pettazzoni fu il primo che provò a contestualizzare questa notizia storica con i dati provenienti dall’archeologia, proponendo che l’incubazione si svolgesse presso le tombe di giganti.
A distanza di un secolo dalla sua formulazione la proposta di Pettazzoni viene considerata ancora  valida dagli archeologi nuragologi sardi
Una critica alla proposta di Pettazzoni venne fatta da Massimo Pittau nel 1977 nel libro La Sardegna Nuragica.  In quel libro Pittau fece notare che il rito dell’incubazione prevedeva un sonno di 5 giorni e che le tombe di giganti non si prestavano ad una pratica rituale che prevedeva una tale tempistica.
Pittau, citando Tertulliano (Aristotele, heroem quemdam Sardiniae notat incubatores fani sui visioni bus privatem) spiega che il rito doveva svolgersi in un posto sacro  e ipotizza che il luogo ove si praticava il rito dell’incubazione fossero i nuraghi complessi.
Gli archeologi fecevano orecchio da mercante alla brillante confutazione del la teoria del nuraghe fortezza di Pittau e dunque non potevano accettare l’idea che i nuraghi complessi fossero il luogo in cui si svolgeva il rito dell’incubazione.
Eppure la proposta di Pittau era ragionevolissima, è inverosimile pensare che lo spazio antistante l’esedra delle tombe di giganti sia idonea a ospitare le pratiche connesse col rito dell’incubazione.
In seguito alle severe critiche del Pittau (1977) , Lilliu tolse dalle successive edizioni del suo La Civiltà dei Sardi, tutte le risibili osservazioni a sostegno di un utilizzo militare, da quel momento la sua teoria diventava un dogma piuttosto che una maldestra ipotesi scientifica.
Dai tempi della proposta di Pittau qualcosa è cambiato nello stato dell’arte dell’archeologia nuragica e in riferimento al tema trattato  due elementi fanno pendere la bilancia a favore della tesi che propose il Pittau:
1) l’utilizzo delle tombe di giganti si esaurisce nel bronzo finale ;
2) ora gli archeologi riconoscono che nel bronzo finale i nuraghi venivano usati come santuari.
Aristotele scriveva nel IV secolo a.C., a quei tempi le tombe dei giganti erano in disuso da più di mezzo millennio, mi pare improbabile che le fonti si riferiscano ad un rito che non veniva più praticato. Viceversa nel periodo in cui scrive Aristotele nei nuraghi si svolgevano ancora dei riti (vedi studi  Caterina Lilliu sul Genna Maria di Villanovaforru , Ugas sul Su Mulinu di Villanofranca,  Taramelli sul Lugherras, ecc ).
Con tutta probabilità le stesse cumbessias (parola molto affine a incubazione) sono l’esito sincretistico cristianizzato del rito dell’incubazione.
Mi pare che i due elementi citati indicano i nuraghi complessi come i luoghi deputati allo svolgimento del rituale dell’incubazione.
La proposta di Pittau è stata accolta e corroborata da Ileana Benati che in una sua pubblicazione (I nuraghi: un’ipotesi simbolica, in HELIOPOLIS, culture, civiltà, politica, n.1/2 2009) aggiunge un importante “dettaglio” alla questione in esame, ovvero come il disegno costruttivo del nuraghe, evidentemente simbolico (che solo l’ottusità degli archeologi non riesce a a riconoscere) sia un elemento connesso col rito dell’incubazione, ecco quanto scrive:
Il rito dell’incubazione, in quanto percorso di “rinascita”, può essere assimilato ad uno dei significati simbolici del labirinto. Si tratta, infatti, di un cammino (la morte-sonno e la rinascita-risveglio) che porta al raggiungimento di un “centro” rappresentato dal responso oracolare. Anche fisicamente questo percorso si evidenzia nella fase morte-rinascita in un tracciato di aspetto decisamente labirintico (avviene infatti negli edifici che circondano il nuraghe centrale la cui struttura, in pianta, ricorda le spire di un labirinto). L’oracolo dà poi il suo responso nel “centro” costituito dalla stanza circolare del nuraghe….
Nel labirinto è decisivo il rapporto con lo spazio: lo spazio interno, isolato rispetto all’esterno, e la presenza di un solo piccolo ingresso. Colui che intraprende il percorso entra in uno spazio sacro, insolito, che è tra l’uomo e il divino, all’interno del quale muterà la propria condizione. Se si considera il nuraghe come un santuario, sede di riti d’incubazione, non è difficile concepire i suoi spazi come spazi sacri, dove il fedele, isolato dal mondo esterno dai possenti muri che delimitano gli edifici circolari che circondano il nuraghe centrale, vive la propria esperienza di rinascita. Il fatto che le capanne fossero quasi sempre all’esterno del recinto sacro, può significare, simbolicamente, l’esigenza dell’affrontare ostacoli e difficoltà per raggiungere la conoscenza.
Ciò è tipico dei riti iniziatici, e, se morte e rinascita le collochiamo su un piano simbolico-metaforico, il labirinto diventa la perfetta materializzazione del rito di iniziazione.
Questa potrebbe essere una delle giustificazioni delle forme labirintiche rintracciabili nelle strutture nuragiche.” (Benati 2009)


sabato 5 marzo 2016

Palle belliche o Balle belliche?

di Massimo Pittau


Proiettili di pietra arrotondati: mai esistiti – Erano invece simboli del Sole e della Luna (divinità certamente venerate anche dai Sardi Nuragici), rinvenuti nei pozzetti sacrificali e nelle favisse dei più grandi nuraghi. Ecco quanto su questi globi di pietra rinvenuti a su Nuraxi di Barumini ha scritto un “illustre” archeologo, non in un'opera giovanile, bensì in un'opera della vecchiaia: «palle belliche in arenaria del peso di 4 kg., usate per il getto dal piombatoio» [= presunto “ballatoio”] (vedi “La Sardegna – I tesori dell'archeologia” (opera in collaborazione, Sassari 2011, vol. I, pg. 196, pubblicata da “La Nuova Sardegna”). Ma noi chiediamo ed obiettiamo: «Che motivo c'era per sottoporsi al pesante, lungo e difficile lavoro di arrotondamento di un sasso, come se sassi grezzi di 4 kg. sarebbero stati meno micidiali per i nemici attaccanti di quelli arrotondati?». Però ci viene il dubbio che l'archeologo-stratega volesse dire non “palle belliche”, bensì “balle belliche”...