lunedì 8 settembre 2014

Sul terrazzo dei nuraghi

di Alessandro Mannoni

L’amico Franco Laner, nelle sue prime impressioni alla lettura del mio recente libro RELIGIONE E SPIRITUALITÀ NELLA SARDEGNA NURAGICA, formula un invito al confronto sulle tematiche coinvolte, confronto al quale non mi sottraggo in merito ad alcune delle puntuali osservazioni da lui formulate al riguardo.
In primo luogo l’importante questione delle “terrazze a sbalzo” dei nuraghi.
Franco, riprendendo anche l’analisi di Pittau, sembra escludere del tutto la possibilità di un allargamento a sbalzo della sommità del nuraghe per questioni di statica e logicità costruttiva nelle murature a secco.
Premessa la mia incompetenza in questioni di statica architettonica, vorrei però proporre alcune considerazioni in proposito, perché mi pare che il problema dell’allargamento a sbalzo della sommità delle torri non possa risolversi schematicamente con un tutto o nulla, tra fautori e negatori della sua presenza.
Penso che ormai nessuno neghi la problematicità e la difficoltà strutturale della realizzazione di tali terrazzi, ma noto che anche architetti di particolare “sensibilità” come Serena Noemi Cappai e Giuseppe Pulina propongono ultimamente delle ipotesi ricostruttive dei terrazzi a sbalzo poggianti sui famosi “mensoloni”, terrazzi naturalmente realizzati in legno (in AA.VV. SIMBOLO DI UN SIMBOLO – I MODELLI DI NURAGHE – GUIDA BREVE. 2013 ARA Edizioni – Siena – pp.22-23).
Poiché non ne posso valutare la fattibilità o meno dal punto di vista architettonico devo quindi attendere che la questione sia risolta dagli specialisti.
Ad ogni modo ritengo che almeno due punti fermi si possano dare:
• Presenza o meno dell’allargamento a sbalzo, a meno di escludere che la scala del nuraghe potesse arrivare in cima o supporre che la torre culminasse in forma cupolata e non piatta, le torri nuragiche terminavano con uno spazio sufficiente a lasciare la sommità libera e agibile; non per le fantasiose ipotesi di utilizzo di macchine belliche o per la presenza di una guarnigione di difensori, ma per possibili attività rituali e di osservazione a cui doveva prendere parte un numero ridottissimo di sacerdoti (uno o due di norma), poiché l’accesso alle parti più interne e/o elevate delle strutture templari in molte civiltà antiche era solitamente riservato a pochissimi sacerdoti e ne era rigorosamente escluso il popolo comune.
• La presenza in cima di mensoloni a raggiera, rari o molti che fossero, non può essere negata perché alcuni sono stati ritrovati in situ e diversi a terra. Per cui la loro funzione va interpretata, come correttamente tenta di fare Pittau.

Detto questo aggiungerei però che non si può escludere che i bronzetti, le colonne e i betilini “similnuraghe” riproducessero particolari costruttivi di questi edifici. Se infatti non ha senso interpretare ogni colonna con allargamento all’apice che venga ritrovata come un betilo/torre invece che come colonna con capitello, non ha ugualmente senso disgiungere del tutto tali “modellini” dalle strutture nuragiche. Concordo pienamente con Franco Laner (come riporto nel mio libro) sul fatto che tali modellini siano delle immagini simboliche e sacrali del cosmo e non delle copie di nuraghi dal valore semantico di genere esclusivamente “politico”, ma essendo stati realizzati da una popolazione che, almeno in parte, era erede dei costruttori delle torri nuragiche, che tali torri poteva ancora vedere ovunque in buona parte intatte, e di cui probabilmente conservava il valore simbolico e sacrale connesso all’immagine cosmica che esse rappresentavano, non vedo perché avrebbe dovuto modificare il modello dell’icona miniaturizzata che amava costruire, quando tale modello, in grande, se lo trovava ovunque intorno!
Se le popolazioni postnuragiche non riuscivano più a mantenere in vita e a sfruttare, o più probabilmente a comprendere a fondo l’intero sistema degli edifici nuragici, almeno erano in grado di riprodurne a livello miniaturistico una parte della funzione iconica di simbolo religioso.
Questo non vuol dire che si debba considerare un modellino come il plastico esatto di un nuraghe! Le dimensioni sono sempre approssimative, il rapporto tra le altezze delle torri, lo sbalzo dei mensoloni, il fatto che si riproducano esclusivamente monotorri o quadrolobi fa capire che non si tratta di copie di strutture, ma di copie di un modello ideale di icona simbolica, i cui particolari però assumono un senso religioso innegabile.
Che nuraghi e modellini fossero in rapporto tra loro ed analoghi ad un modello cosmico idale che riproducevano lo farebbero pensare gli esemplari realizzati in bronzo, che certo non potevano avere la funzione pratica di colonna capitello (che giustificherebbe lo slargo funzionale in cima, ma che comunque non negherebbe una possibile funzione anche simbolica di riproduzione della torre/i colonne di sostegno del cosmo), né potevano avere la funzione pratica di altarino o bruciaprofumi come molti modelli in pietra (che giustificherebbe lo slargo in cima quale vaschetta rituale). Basti pensare al perfetto esemplare proveniente da Olmedo, o al famosissimo modello bronzeo trovato ad Ittireddu, che presenta il particolare di essere collocato a lato del modellino di un altro edificio, rettangolare e col tetto a spiovente, interpetato solitamente come un tempietto a megaron, o da Mauro Zedda come un tempio a pozzo. Ora se uno è l’immagine di un megaron o di un pozzo sacro, perché l’altro non dovrebbe essere un nuraghe? Entrambi edifici templari, attinenti alla sfera sacrale, e riprodotti con attenzione ai particolari simbolici più che alla resa realistica, come farebbero chiaramente pensare le due colombelle poste in cima agli spioventi del tetto del megaron/pozzo in posizione perpendicolare tra loro a rappresentare chiaramente gli influssi spirituali che giungono al tempio (e io direi ad “entrambi i templi” che presentano lo stesso orientamento degli assi principali) da direzioni astrali tra loro perpendicolari di cui una è l’asse d’ingresso (si veda quando dice Mauro Zedda in ASTRONOMIA DELLA SARDEGNA PREISTORICA 2013, p.186). E d’altronte nell’antichità non era infrequente rappresentare i templi sotto forma di modellini (ad esempio in argilla, come quelli risalenti all’epoca neolitica rinvenuti in Romania o nei Balcani – Eliade, STORIA DELLE CREDENZE E DELLE IDEE RELIGIOSE – vol.I p.63).
Ebbene, anche i modelli in bronzo, come quelli in pietra, riproducono chiaramente lo slargo in cima di “tutte le torri” e delle mura del quadrilobo, con evidenza chiara degli incavi dei mensoloni litici (dalle foto del modellino di Olmedo il numero dei mensoloni di ognuno dei due lati visibili nelle foto mi pare sia 7, cosa che, se confermata, potrebbe avvicinarsi alle tesi di Donatello Orgiu (La Dea Bipenne 2013), in relazione all’interpretazione delle fasi del ciclo lunare e annuale).
Le icone cosmiche miniaturizzate (i modellini) e maxi (i nuraghi) presentavano quindi quello strano particolare della raggiera e dello slargo (particolare anomalo perché se lo siano “inventato” i postnuragici dal nulla!), probabilmente accentuato eccessivamente nei modellini, e nella realtà delle torri meno sporgente, e magari anche privo della funzione pratica di sorreggere le assi in legno di un terrazzo, o di un semplice parapetto protettivo, ma dalla pregnante e rilevante funzione simbolica di rappresentare la corona radiante di corna/raggi che circonda la porta solare all’apice della cupola cosmica, come ho provato ad interpretare nel mio libro (p. 36), e che anche Pittau in qualche modo sembra confermare. Particolare, che se complicava inutilmente, dal punto di vista pratico, sia la realizzazione architettonica che quella scultorea, evidentemente doveva avere una funzione simbolica non eliminabile agli occhi di quelle popolazioni.