domenica 18 novembre 2012

La Boninu predica bene ma razzola male!


di Mauro Peppino Zedda

Il 5 novembre 2012 un articolo de La Nuova Sardegna trattava dei limiti concernenti la valorizzazione dello straordinario patrimonio archeologico dell’isola scrivendo:

"Cheremule. Riflettori su un museo unico al mondo, il Parco dei Petroglifi, pietre scritte, parlanti, storia sacra e profana, 37 tombe della notte dei tempi, firma indelebile del Neolitico recente, religiosità prenuragica. Un lungo altare bianco di calcare è incorniciato dal verde delle campagne di Cheremule, ai piedi del vulcano spento di Monte Cuccuruddu. Lunghi filari di prugnoli con i frutti viola, agretti da mangiare ma ricchi di sapore, i muretti a secco colorati dalle bacche rosse dei biancospini. In cielo volteggia una poiana. Per terra un tappeto di pere selvatiche per la gioia dei cinghiali. Domanda d'obbligo: a che serve "cust'opera divina"? È giusto che ad appagarsi sia solo lo spirito?
La denuncia è tanto netta quanto autorevole. "La Sardegna, le sue amministrazioni non hanno saputo rispondere, né sanno rispondere oggi, all'eccezionalità del tesoro artistico ereditato. È come se San Pietroburgo non sapesse valorizzare l'Ermitage, come se Firenze snobbasse Gli Uffizi, o Torino facesse invadere di erbacce il suo Museo Egizio. Manca la consapevolezza generale di questa ricchezza diffusa in tutta l'isola e ci priva anche di una risorsa economica. Un esempio su tutti: il Meilogu è la regione storica col più vasto patrimonio archeologico disponibile perché i Comuni hanno avuto la lungimiranza di acquisire tutte le aree monumentali". Quale è il ritorno? "Pressoché nullo, in raffronto a quanto ci è stato regalato dal passato. Abbiamo una miniera d'oro ma non ce ne accorgiamo".
Chi parla è Antonietta Boninu, archeologa, fino allo scorso aprile storico direttore della soprintendenza ai Beni archeologici per le province di Sassari e Nuoro. Insiste: "Parlo di consapevolezza perché se queste eccellenze archeologiche non vengono sentite come tali dai cittadini non si può fare molto strada nell'opera di valorizzazione. Questi siti sono una risorsa. Ma richiedono professionalità non abborracciate, competenze diffuse, i paesi dovrebbero fare rete per attirare flussi costanti di visitatori, lo dovrebbe capire la Regione dando plusvalore alla storia vera dell'Isola. Invece ci si scontra con una realtà deprimente: perché la Sardegna - grande parco archeologico - non ha saputo creare occasioni scientifiche ed economiche adeguate, direttamente proporzionali al valore che questi monumenti hanno. Anche per questo la disoccupazione intellettuale cresce"."

La Boninu parla degli esempi di San Pietroburgo, Firenze e Torino “dimenticandosi” o per meglio dire senza comprendere che il modello da prendere ad esempio non sono le città d’arte europee, ma le campagne che ospitano Stonehenge, Newgrange, o Carnac!!
Cara Maria Antonietta Boninu se gli archeologi sardi avessero quel minimo di intelligenza e di umiltà sufficiente a prendere atto dello straordinario significato astronomico dei Nuraghi, Domus de Janas, Pozzi Sacri e di Monte d’Accoddi, confermato dai maggiori studiosi di a archeoastronomia del mondo, è probabile che a Santa Cristina (il più sofisticato osservatorio astronomico lunare del antichità) al Losa e al Santu Antine (nuraghi astronomicamente concepiti) o a Monte d’accoddi (splendidamente orientato col Sole, Luna e Venere), si potrebbero attrarre quei visitatori che accorrono a Stonehenge.

mercoledì 14 novembre 2012

Monte Forato e il Duomo di Barga


di Franco Laner

Più che una recensione del nuovo libro di Mauro Zedda “Monte Forato e il Duomo di Barga - Tracce di un Antico Osservatorio dei Liguri Apuani”, Agorà nuragica, Cagliari, 2012, vorrei cercare di mettere in bella una serie di suggerimenti che la lettura del libro mi ha offerto.
Una piccola annotazione a proposito di Barga: ci sono stato nel ’94, alcuni giorni per un seminario di antisismica, disciplina che mi ha impegnato diversi anni, con qualche soddisfazione. La sala conferenze era al Passo dei Carpinelli, che divide la Lunigiana dalla Garfagnana, entrambe zone di forte sismicità, ma soggiornavo a Barga e ricordo che mi intrigò il fatto che il Duomo fosse in alto, al posto del Castello, tipologia che caratterizza la città medioevale.
Che bello, penso ora, se qualcuno mi avesse detto che il Duomo era là, perché quello era il luogo da sempre sacro per eccellenza!
Molto bella l’introduzione di Mauro al libro! Forse pecca –sarà per l’età che induce alla maturità- di modestia quando dice che la scoperta è avvenuta “per caso”.
Certamente l’intendimento dei suoi viaggi in Toscana non aveva di mira Monte Forato, quanto l’obiettivo era di registrare l’orientamento delle chiese romaniche per confrontarlo con quello delle chiese sarde e corse, ma la scoperta, oggetto del libro, non è “per caso”! E’ il risultato di una capacità di osservazione e di relazione che Mauro ha ormai sviluppato grazie alla sua più che ventennale esperienza in archeoastronomia, che lo pone tra gli specialisti della disciplina.
Il caso, che irrompe all’improvviso, evento inaspettato, è dunque per me riduttivo in questo caso, perché qui si tratta di capacità di sintesi che solo in chi sa può scattare e produrre spunti di ricerca a largo spettro.
L’orientamento dell’asse longitudinale, ingresso-abside, della chiesa romanica di S. Frediano a Sommocolonia, nei pressi di Barga, al sostizio d’inverno, finisce dove il sole tramonta, sopra il singolarissimo profilo del viso dell’Omo -il profilo del monte suggerisce quest’immagine- che ha la bocca aperta, data da un arco naturale di roccia di trenta metri, un foro, che appunto dà il nome al Monte.
Ma anche la luna, osservata dal Duomo di Barga, tramonta al lunistizio minore meridionale, sopra il Monte Forato!
Questa coincidenza, ovviamente non ascrivibile al caso, inducono Mauro ad approfondire e guardarsi ancora attorno. Quali sono le altre chiese da cui è possibile traguardare il profilo dell’Omo? Mauro si sposta a S. Michele di Perpoli e a S. Pietro e Paolo a Fiattone.
La prima chiesa è in relazione col tramonto della luna sulla fronte dell’Omo al lunistizio maggiore meridionale, mentre la seconda guarda al tramonto di Venere!
Ancora, curiosando nei resti della torre medioevale che sorge accanto a S. Frediano , si interroga sulla strana forma di una residua finestrella. Il suo sguincio inferiore non è assolutamente funzionale al operazioni belliche, ma viceversa utile per collimare, non tanto il volto dell’Omo, che sta nel cono di osservazione della finestrella, quanto per l’osservazione del tramonto del sole al solstizio d’inverno o della luna al lunistizio medio meridionale.
Si delinea dunque un sistema di punti di osservazione di grande funzionalità per registrare e prevedere fenomeni celesti. Questo complesso impianto, secondo Mauro, non è recente, medioevale, bensì gli insediamenti ecclesiali hanno sfruttato siti già sacri, perché adatti all’osservazione astronomica, da illo tempore, in quel sincretismo che pochi mettono in dubbio, perché è ovvia la continuità e residualità dello spazio sacro, che rimane tale anche se cambiano i modi di rapportarsi col divino, o la religione, o nuovi dei e quant’altro.
Queste cose sono ben spiegate nel libro.
Penso che queste scoperte di Mauro debbano essere messe a frutto. Se alla spettacolarità del doppio tramonto, fenomeno che si può osservare il 10-11 novembre ed ovviamente il 30-31 gennaio, 40 giorni prima e dopo il solstizio d’inverno, che richiama gente, fotografi e curiosi, si aggiungerà spiegazione scientifica al sistema di osservatorio astronomico di cui sono stati messi in luce nel libro i punti si stazione, ci potrà essere quel valore aggiunto dato appunto dalla riscoperta di saperi e conoscenze astronomiche che gettano nuova luce sulle popolazioni che hanno abitato il territorio.
Nel libro, in tre tabelle, sono riportati anche i dati di centinaia di misurazioni dell’orientamento delle chiese romaniche sarde, toscane e corse.
Ho provato a ragionare su parametri come l’azimut e la declinazione. Il ventaglio di orientamenti - escludo gli estremi della distribuzione- è tale che statisticamente non è possibile trovare elementi di significatibilità. La popolazione (l’insieme dei dati) non consente di parlare di omogeneità per la grande dispersione. Se però l’intera popolazione viene riferita attorno al sorgere del sole al solstizio d’estate, all’est equinoziale e al sorgere del sole al solstizio invernale e si scompongono gli orientamenti in tre grandi gruppi, ovvero se rielaboro i dati in tre gruppi, che hanno come riferimento, ad esempio l’azimut di 58°, 90°, 123°, con una tolleranza di una decina di gradi, ottengo una certa significatività statistica dei tre gruppi. Sta comunque di fatto che il sole e i suoi punti di nascita sono il riferimento d’orientamento delle chiese romaniche, ma mi pare riduttivo la presa in considerazione i soli parametri di orientamento. Spesso il giorno della festa del santo, o l’evento che ne caratterizza maggiormente la sua vita, possono essere sottesi all’orientamento e determinarlo. Insomma i parametri che determinano l’orientamento delle chiese, sono troppo dispersivi per consentire una teoria sull’orientamento.
L’orientamento astronomico è, per me un parametro, un possibile e importante parametro. Temo però che ogni chiesa abbia una sua storia di riferimento per l’atto fondativo. Perciò è forse necessario l’approfondimento caso per caso. L’esempio di Barga mi pare emblematico e proprio l’approfondimento è stato foriero di notevoli inferenze speculative, mentre ho dei dubbi sull’elaborazione del gran coacervo di dati di tutte le chiese. Ma aspetto il prossimo libro di Mauro per essere smentito!


venerdì 2 novembre 2012

Falsificazioni sulla cosiddetta "scrittura nuragica"


di Massimo Pittau


In Sardegna c’è una attenzione vivissima e quasi morbosa per la civiltà nuragica. Questa attenzione deriva dal fatto che, almeno in una forma in buona parte inconsapevole, i Sardi sanno o “sentono” di avere a che fare col periodo più importante e più glorioso dell’intera storia della Sardegna. Per questo motivo di fondo tutti i Sardi sono istintivamente portati a simpatizzare con chi sostiene che anche i Nuragici avevano una loro “scrittura nuragica nazionale”.
Una ventina di anni fa nel nuraghe Tzricottu del Sinis è stata trovata una targhetta metallica che, in una delle sue facce, porta chiarissimi “disegni ornamentali”, simili ad arabeschi. Intervennero due amanti di cose sarde, insegnanti medi, i quali dichiararono al pubblico che quei disegni in realtà erano i segni di una “scrittura nuragica”, mai conosciuta e riconosciuta prima.
Intervenne subito un archeologo il quale dimostrò – in modo del tutto convincente - che quella targhetta risale non all’epoca nuragica, bensì a quella bizantina e faceva parte dell’armatura di un militare.
Ovviamente c’era stato dunque un grosso abbaglio da parte dei due insegnanti. Uno di questi – anche per tentare di stornarlo da sé – andò avanti con la sua tesi pubblicando anche un libro nel quale c’è pure il disegno di altre tre targhette simili alla prima, ma anche lievemente differenti. Senonché, a mio fermo giudizio, queste altre targhette non sono altro che veri e propri “falsi”. Esse infatti non fanno altro che seguire il disegno della prima, ma con lievi variazioni interne. E si tratta chiaramente di un “falso” fanciullesco, dato che presuppone che la seconda targhetta contenga una iscrizione sovrapposta a quella della prima, la terza targhetta contenga una iscrizione sovrapposta a quella della seconda e della prima, la quarta targhetta una iscrizione sovrapposta a quella della terza, della seconda e della prima. E tutto ciò presuppone un gioco di inserimenti di iscrizioni che non potrebbe trovare posto neppure nei giochi di in una rivista di enigmistica. Che queste ultime targhette siano altrettanti “falsi” è dimostrato pure dal fatto che esse non sono state mai mostrate ad alcuno.
Messisi sulla strada ormai aperta delle “falsificazioni”, alcuni individui hanno finito con l’avere anche fastidi giudiziari rispetto a ciottoli fluviali che sarebbero stati trovati sulla riva del Tirso e che presenterebbero segni di scrittura etrusca.
Da qualcuno di questi individui, per telefono e senza farsi riconoscere, io ho avuto una offerta di fotografie contenenti “iscrizioni etrusche” (ormai si sapeva che io mi interessavo a fondo di “lingua etrusca”). Io non abboccai, dato che sono ben al corrente del fatto che fioriscono in Toscana, in Umbria e nel Lazio settentrionale, “falsari di oggetti etruschi” che offrono agli acquirenti ignari, e questi oggetti tanto più sono apprezzati se riportano scritte anch’esse “false”. Io feci al mio interlocutore anonimo alcune domande sulle supposte “iscrizioni etrusche” e compresi subito che ero di fronte a un inganno e a un tentativo di imbroglio. Per il quale il mio interlocutore aveva chiesto la modica somma di 20 mila euro…
Ma la strada delle “falsificazioni archeologiche e linguistiche” pure in Sardegna era stata ormai aperta, favorita immensamente anche dal ricorso al disponibilissimo “internet”. E infatti da una decina di anni in qua furoreggiano, soprattutto in qualche blog ospitale ed interessato, numerose riquadri di alfabeti e figure di scritte nuragiche, fornite delle necessarie lunghe didascalie. Si tratta però di “falsi”, nient’altro che di “falsi”, ripresi dai numerosissimi siti dell’internet, che possono ritrovare e riscontrare tutti coloro che sappiano e abbiano la pazienza di interrogare a dovere i generosi siti internet.
Però ovviamente questi “falsi” sono sottoposti al cambio di connotati, nel senso che possono appartenere ad una delle numerose lingue del mondo antico, ma, mutatis mutandis, sono presentati come “alfabeto o scrittura dei Nuragici”. Quando è opportuno le figure originali di scritture orientali subiscono qualche spostamento o inversione o ritocco; tutte operazioni che nel computer si possono effettuare con estrema facilità e senza lasciare alcuna impronta digitale…
È possibile scoprire questi “falsi” ed anche evitare facili imbrogli a proprio danno? Sì, è possibile in questo semplice modo: invitare i propositori di queste “scritte nuragiche” a presentare la fotografia di un bronzetto o vaso nuragico che risulti esposto in uno dei numerosi musei archeologici della Sardegna e che dunque sia stato ufficialmente riconosciuto come “reperto autentico” dagli archeologi autorizzati. Poi farsi mostrare la esatta corrispondenza di segni incisi in quei bronzetti o vasi con le lettere di quello che i propositori dicono essere l’”alfabeto nuragico”, corrispondenza anche di sole 5 o 6 lettere appena.
Se questa dimostrazione di “corrispondenza di segni ad altrettante lettere” non fanno, i propositori in questione sono nient’altro che “falsari”, falsari della buona fede dei Sardi.
E approfitto dell’occasione per mettere in guardia i Sardi, amanti della nostra storia, dai “falsari di oggetti nuragici”, anche forniti di “segni di scrittura nuragica”, che ormai circolano numerosi anche in Sardegna. Sono stato chiaro sulle modiche somme che richiedono agli ingenui che siano disposti ad acquistarli?