di Mauro Peppino Zedda
A proposito dei contenuti dell’economia nuragica Lilliu ha scritto: «Non v’è dubbio che i nuragici erano pastori stabili, proprietari di greggi e di terre. In vaste tanche private o comunitarie pascolavano numerosi capi di bestiame bovino, caprino, ovino, suino; e i loro custodi, cantando alle stelle nelle notti luminose, ne invocavano prosperità e incremento. Greggi e terre furono la costante preoccupazione di difesa dei sardi antichi. L’organizzazione dei nuraghi nacque anche da queste esigenze ed urgenze di possesso e di sicurezza terriera ed armentarie di grossi pastori» (Lilliu 1988: 667) Qualche riga dopo aggiunge: «Lo stato sociale della Sardegna nuragica si fondava così sul prepotere d’un tipo sociologico che potremmo chiamare patriarcale (dove patriarca è il capo tribù e il principe, salvi il diverso modo e grado di potere). Lievitano ancora resistenze matriarcali della più antica civiltà contadina diminuita al livello del governo “familiare” della madre (specie là dove i pastori erano costretti alla mobilità della transumanza). La tradizione agricola neolitica femminile e “materna” è altresì radicata nelle forme magiche e religiose (anche pubbliche) nelle quali la donna è sacerdotessa, sibilla e depositaria di virtù mediche. Ma nel governo superiore della tribù, e poi del cantone principesco, nei tratti fondamentali della struttura economica e dell’assetto politico-sociale, nel processo storico della libera comunità e del popolo organizzato, il peso sostanziale e l’assoluta responsabilità risiedevano nel cervello e nell’azione di una società di maschi nel fisico e nello spirito aggressivo, con tendenza al dispotismo» (Lilliu 1988: 668). E continua: «La divisione distrettuale portava, spesso le tribù cantonali a scontri e guerre locali, a cui era movente lo spirito aggressivo delle comunità pastorali, desiderose di estendere il proprio territorio a danno altrui. Nel pastore stabile nuragico non si è spenta del tutto l’antica fiamma del pastore nomade portato dalla sua natura avventurosa e irrequieta, alla violenza, al possesso delle altrui cose e al dominio sul ricco e pacifico vicino» (Lilliu 1988: 669).
Dagli scritti di Lilliu emerge con chiarezza un pensiero notevolmente controverso. I suoi ragionamenti si fanno confusi nel cercare di conciliare i contenuti della sua interpretazione del nuraghe con una pastorizia transumante. Lilliu immagina una stratificazione sociale governata da una gerarchia costituita da principi cantonali, capotribù e capofamiglia; prospettando l’idea che il mondo nuragico fosse tutt’altro che normalizzato e che il bisogno di terre generasse uno stato di guerra continuo che vedeva coinvolte sia le diverse comunità cantonali sia le tribù interne al cantone.
Il suo discorso è tutt’altro che lineare e fa tenerezza osservare come la logica del nuraghe fortezza lo abbia portato a teorizzare una pastorizia stabile che causava tensioni guerresche e come non si sia accorto che la transumanza è in antitesi con la teoria dei cantoni in guerra l’uno con l’altro.
Su alcuni elementi concordo: che il sacro fosse gestito dalle donne e che nell’economia nuragica avesse una notevole importanza la pastorizia.
Nei tempi che precedono la pratica della coltivazione del foraggio e di cereali destinati al bestiame, nella Sardegna montuosa la pastorizia non poteva che essere nomade. Aveva bisogno di luoghi dove trovare sollievo ai rigori dell’inverno. E di luoghi in cui, in sostituzione dei pascoli riarsi dalla siccità o dal gelo invernale, si potevano accudire gli armenti con le fronde degli alberi.
In realtà la geomorfologia e climatologia dell’Isola, indica come impercorribile l’idea che nel periodo nuragico vi fosse una pastorizia stabile.
Immagino dunque, che nel mondo nuragico vi fosse una pastorizia transumante, con una transumanza che veniva esercitata entro i confini delle tre tribù nuragiche (Ilienses , balari, corsi).
Il fatto che l’allevamento del bestiame possa essere considerato come la spina dorsale del sistema produttivo nuragico non è un volo pindarico, ma un’interpretazione che emerge dall’analisi dei ritrovamenti archeologici.
Per quanto riguarda i resti di ossa animali, i dati finora acquisiti indicano la seguente presenza percentuale: 14% bovini, al 59% ovi-caprini (pecore, capre, mufloni), al 20 % suini (maiali e cinghiali) e al 7 % Cervidi (Perra 1997, Fonzo 1992). Di recente Ornella Fonzo si è espressa nel seguente modo: «Sulla base dell’analisi, tuttora in corso, dei reperti archeologici provenienti da alcuni siti, possono essere fatte le prime considerazioni riguardanti l’economia durante il BR, basata essenzialmente sull’allevamento dei bovini, suini ed ovicaprini, con apporti non trascurabili della caccia, essenzialmente al cervo e al cinghiale, ma anche al prolago, al riccio, alla volpe e agli uccelli, soprattutto nella parte meridionale dell’isola, che diventeranno ancora più significativi nelle fasi successive» (Lo Schiavo et al. 2004). Aggiungo che i maggiori resti del meridione sono dovuti alla natura geologica del territorio. Negli acidi suoli basaltici e granitici le ossa si “sciolgono”, mentre si conservano meglio in terreni basici di origine calcarea. Dunque non vi sono ragioni per dubitare che anche nel settentrione dell’Isola la pastorizia e la caccia fossero diffuse non certamente meno che nel meridione.
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