sabato 23 agosto 2014

Cambio di paradigma?


di Franco Laner

Prime impressioni di lettura del libro di Alessandro Mannoni “Religione e spiritualità nella Sardegna nuragica” Ed. Agorà nuragica, Cagliari, 2014

Metto in atto uno dei tre consigli che Massimo Pittau mi ha dato: quello di occuparmi di archeologia con gli strumenti della mia disciplina, ovvero la costruzione. Gli altri due consigli, che ovviamente seguo, riguardano la vecchiaia (non smettere mai di studiare, altrimenti sei finito e l’altro –ottimo- di indossare le mutande lunghe di lana appena inizia l’inverno, come presidio a tanti guai fisici!)
Ecco che il libro di Mannoni sfugge al mio giudizio, poiché di religione, antropologia, archeologia, astronomia, epigrafia, ecc. ecc., tutte materie che concorrono ad una visione del paesaggio nuragico, sono solo un lettore. Pure alcune riflessioni sul libro appena edito, le pongo in discussione.
La prima –e come non potrei entusiasmarmi?- è che il meticoloso ragionamento e la puntuale e ponderosa ricognizione bibliografica di Mannoni lo porta ad escludere la funzione militare dei nuraghi. Spazza definitivamente una teoria a cui ancora si aggrappano archeologi isolani nostalgici e che tanto danno ha arrecato allo sviluppo della conoscenza e alla ricerca. Niente come la teoria militare ha nociuto alla conoscenza e alcuni corollari, figli di quell’errata e risibilissima visione, purtroppo ancora impestano recenti pubblicazioni e convegni, specie nel lessico fuorviante e nell’interpretazione dei materiali di scavo.
Messa dunque una pietra tombale su questo infausto paradigma -la storia della conoscenza in ogni settore ha degli sbandamenti- si apre un largo campo per filosofare.
In questo quadro inserirei il contributo di Mannoni poiché l’apertura al sacro si presta a nuovi interrogativi. Ad esempio la visione del nuraghe-tempio, inaugurata da Pittau, va meglio specificata.
C’è infatti l’evidente rischio –anche se Mannoni cerca in qualche modo di superarlo- di bloccare e ridurre la complessità del nuraghe alla destinazione di luogo di culto, assembleare e rituale. Insomma al tempio-chiesa, al tempio luogo di riti, al tempio edificato al dio nuragico o pantheon. Sarebbe riduttivo e fuorviante.
Per capire la costruzione fisica del nuraghe, riportata in “Accabadora” e aggiornata in “Sa ‘ena”, mi è stata di fondamentale aiuto la lettura di Mircea Elide. Senza, mai avrei capito come l’atto costruttivo non potesse essere scisso dalla sua sacralità e tantomeno ne avrei capito le intenzioni. Né avrei capito il profondo significato della sacralità dell’atto fondativo, del “centro”, dell’elevazione, della tholos, della separazione sacro-profano. Nemmeno della tecnica piegata al fine di aprire l’apice della cupola dove passa l’axis mundi, che collega inferi-terra-cielo. Allora ho ammirato l’abilità costruttiva a secco, innovativa e sofisticata, impiegata per raggiungere finalità semantiche, spirituali, cosmogoniche, astronomiche.
Finalità –tutte congelate nel nuraghe- soprattutto intese a mettere ordine, cosmizzare lo spazio ed il tempo, con riferimento al cielo, preciso, iterato, ineludibile e rassicurante.
L’altra grande categoria, che grazie al grande storico delle religioni, che anche Mannoni ha posto al centro della sua ricerca sulla spiritualità nuragica, è la concezione del tempo circolare, che permeava la visione del mondo, la religione appunto, l’arte, la vita.
In questo complessissimo quadro si innesta il nuraghe, luogo sacro, ierofanico, gnomone e metronomo, marcatore territoriale, “confine” con l’accezione di riferimento di derivazione dolmenica che ho descritto in “Sa ‘ena”. Se “tempio” racchiude tutto ciò, allora mi sta bene la destinazione a tempio del nuraghe!
Il nuragico –come premette Mannoni- è caratterizzato dall’aniconicità, ovvero porta ad una spiritualità che intendo come una sorta di animismo, non ad un dio creatore, o un dio da adorare o temere: la spiritualità permea ogni cosa, la natura, la vita e l’uomo.
La fase iconica è per me per certi versi preceduta da quella aniconica. Ad esempio i betili mammilliformi di Tamuli, che assommano maschio e femmina, l’ermafrodita, è per certi versi ancora aniconica, anche se tenta di raffigurare la perfezione, la spiritualità che non può aver attributi maschili o femminili. A questa aniconicità mi pare doversi assegnare gli antropomorfi precipitanti stilizzati in alcune Domus che lo stesso Lilliu definisce “anime”.
La visione di tempio in onore di dio anche da questo punto di vista andrebbe meglio specificata, perimetrata, definita. Ora ne ho ancora un contorno indeciso, ma mi sembra riduttivo pensare semplicemente al nuraghe come tempio.
Un notevole contributo deriverà, come penso, dall’epigrafia nuragica, oggi difficilmente negabile, visto che grazie a Sanna e Losi sta presentando una cifra di forte inferenza.
Da queste primissime notazioni al libro di Mannoni sento la necessità del confronto, che scenda anche nei particolari e dettagli che sostengono la visione della religiosità nuragica e dei modi con cui si esplicitava.
Ad esempio, ovviamente a mio parere, è ora di smetterla con la visione del nuraghe che in sommità si allarga a sbalzo. Questo ipotetico aggetto prima era congeniale alla difesa piombante, ora diventa una terrazza rituale allargata. Per questo profilo si portano a prova fantomatici modellini di nuraghe, oppure colonne con capitello che possono avere svariate funzioni, ma mai mi convincerò che siano maquette di nuraghi. Che bisogno c’era di fare un modello di nuraghe?
L’allargamento apicale è costruttivamente illogico ed impossibile per la muratura a secco. Al massimo si possono ammettere singoli mensoloni, che portano solo se stessi.. Lo stesso Pittau, che non è un tecnico ma ha il senso del grave, risolve originalmente la questione dei rarissimi nuraghi con possibili , rari, mensoloni.
Le leggi della gravità, che soggiacciono alla costruzione, si fanno rispettare senza le nostre fantasiose ipotesi!
E così lascerei perdere presunti scoop topografici, triangolazioni, conoscenze tecniche improprie non solo al nuragico, ma anche a qualsiasi civiltà coeva. Il pericolo di usare strumenti moderni e contemporanei per risolvere problemi del passato deve essere costantemente tenuto presente, pena la decontestualizzazione e risibilità delle deduzioni.
Libro da meditare e quindi rileggere, ma che soprattutto che apre al confronto, non solo sui blog, ma è necessario organizzare conferenze, perché il tema della religione nuragica è fondamentale.
Ora non si può più snobbare, ignorare e tacere.
Nuove discipline e reinterpretazioni, come l’archeoastronomia, la linguistica (ora anche l’epigrafia), la costruzione, la religione, non più ferma a Pettazzoni, e tante altre, hanno sdoganato l’archeologia nuragica. Muore il paradigma taramel-lilliano –bella la definizione di Zedda!- e si apre un nuovo paradigma per l’interpretazione del paesaggio nuragico.

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