lunedì 22 agosto 2016

Chevron amari


di Franco Laner

-Cosa intendi per chevron?- mi chiede fra gli altri Giorgio Pala, egregio amico sardo (anche egregio meriterebbe spiegazione per capire bene perché uso questo aggettivo). - Hai presente il logo della Citroen? Quello!-
Ma con gli chevron della simbologia universale a partire dal paleolitico, non ha parentela. Il sig. Citroen lo usò per un suo brevetto di ruote dentate a V e rimase come logo per le auto che costruì col fratello.
La signora degli chevron è Marija Gimbutas, lituana, docente negli Usa, con l’altrettanto grande J. Cambell. Il suo libro “Linguaggio della dea”, Longanesi, 1992 credo che ci sia nella biblioteca di ogni archeologo, come io nella mia ho la copia anastatica di Palladio.


fig 1 Da Gimbutas. Simboli gemmati dall'archetipo V tipici della dea madre. La presenza del simbolo rielaborato nella cultura di Ozieri (3800 a.Cr.) da ceramiche di Monte d'Accodi e da Conca Illonis.

Il segno primigenio dello chevron è la V, segno pubico che poi si articola con varianti: si chiude a triangolo, si moltiplica a zig-zag, si sovrappone appunto a chevron, è il simbolo per eccellenza della dea uccello e dea madre. A questo segno il libro dedica i significati, nelle diverse civiltà primitive. La Gimbutas, con una visione davvero globale, riporta una figura della cultura di Ozieri 3800 a.Cr., dove due V simmetriche formano figure danzanti femminili (1).
Ho, non penso di sbagliarmi troppo, un punto fermo di approccio all’arte e all’architettura sarda, non solo del passato.
Sardegna, isola al centro  del lago mediterraneo e sulle cui rive si sono formate le grandi civiltà, è crocevia obbligato. La Sardegna è laboratorio: recepisce, rielabora e spesso esporta ciò che inevitabilmente le sbatte contro, con aggiunzioni e creatività, in continuità col  proprio genius loci.
Esempi di laboratorio, come le scene dipinte su ceramiche della cultura di Ozieri con la V protagonista e declinata con singolari interpretazioni, ce ne sono a iosa.
Accenno al tumulo di sepoltura diffuso, gonfiore della madre terra pregna, nel Mediterraneo, come le navetas delle Baleari, che in Sardegna diventa la Tomba di Giganti, con la straordinaria aggiunzione dell’esedra e della stele col simbolismo inferi-terra-cielo.
Ancora? Saccargia, splendida rielaborazione del Romanico toscano.
Torniamo agli chevron, simbolo di fertilità, di procrezione, di vita. La Gimbutas raccomanda di non intendere la V e combinazioni come decorazione: sarebbe riduttivo  e privo di inferenza archeologica. Il segno è intriso di sacro e raffigurato su tutto ciò che afferisce al sacro, ai riti e alle cerimonie.
Il segno, specie nella sua declinazione a zig-zag e chevron, è presente nei frammenti di Monte Prama e sui coronamenti delle cosmologiche torri dei cosiddetti modelli di nuraghe (2).


fig. 2. Da Monte Prama. Coronamento di torre centrale con iterazione della simbolica V.

Riuscirò prima o poi convincere gli archeologi sardi di non chiamare così questi simboli, altari, che sono modello del cosmo, icona, mandala, da sempre in tutto il mondo, come in Africa, medio ed estremo Oriente, ecc.?  Si potrà ogni tanto, uscire dal provincialismo che caratterizza la loro ricerca nuragica? Si leggano gli atti del convegno internazionele di archeologia in Sardegna del 1929 dove il modello appartiene al sacro anche per Taramelli (! sì quello del nuraghe fortezza, gran maestro di Lilliu sul nuraghe fortezza) dove i bronzetti (Ittireddu) sono interpretati come modello di  tempio, che si costruisce in armonia con la visione cosmologica.
E una volta per tutte. Se i nuraghi sono fortezze, perché farne un modello?
Arriviamo al dunque e vorrei che si condividesse, almeno per un istante, lo scoramento e il disappunto nel leggere la didascalia ad una immagine della sommità della torre con V ripetute in un libro collettaneo di archeologi sardi su Monte Prama, che recita, a commento dei segni sul coronamento: "La decorazione triangolare verosimilmente indica il parapetto in legno"
Ahimé! Amarezza e dolore, anche fisico, mi pervade e svuota.
Mi fermo qua. Potrei a lungo discutere se i nuraghi abbiano mai avuto parapetto, ma intuisco che non interessa a nessuno,  trasformare però un simbolo sacro in un parapetto, mi annichilisce. Nella decorazione della banda di un arciere, spero si veda nella fotocopia, le righe orizzontali parallele sono interrotte da V iterati.
Sono parapetti? Cosa si teme che caschi di sotto?


fig. 3. Egregia lavorazione della banda, stola, di un arciere con evidente l'iterazione del propiziatorio simbolo a V fra le righe orizzontali.


Nessun commento:

Posta un commento