venerdì 24 novembre 2023

Nuraghi sillabe del cosmo

di Franco Laner

 


Il pamphlet che ho scritto quest’estate è in libreria. Assieme agli amici di Agorà nuragica l’ho presentato a metà novembre a Carbonia, Cagliari e Borore.

Il testo – riporto l'indice – cerca di rispondere alle motivazioni che ha spinto i sardi, all’uscita del neolitico, a costruire ottomila nuraghi in quasi un migliaio d’anni. L’ipotesi che sostengo, sinteticamente, è la necessità di cosmizzare due categorie, spazio e tempo.

A questa conclusione era giunto già con Accabadora (1999), ripresa con Sa ‘ena (2006). Con questo lavoro ho riproposto la questione col continuo sostegno degli scritti dello storico delle religioni Mircea Eliade, applicando le sue conclusioni sui riti e scopi del costruire, anche se Eliade non ha mai visto i nuraghi e nemmeno li conosceva. Eppure li ha descritti magistralmente!

L’altra novità è uno sforzo di contestualizzazione del paesaggio nuragico, prendendo a piene mani dagli studi di Mauro Zedda, in particolare il libro Archeologia del paesaggio nuragico (2009) che delinea la struttura della società nuragica e la visione del mondo del popolo che abitava l’Isola nel secondo millennio a. Cr. Largo spazio anche alla questione dell’orientamento astronomico del nuraghe, monotorre e polilobato e al sistema distributivo territoriale, ormai incontestabilmente accettato dalla comunità scientifica di archeoastronomia.

Dai dibattiti, invero molto pacati e costruttivi, sono emersi due aspetti.

Il primo riguarda la difficoltà di condivisione della nozione di sacro. Lo stesso Eliade deplora il fatto della limitatezza del concetto di sacro, generalmente inteso attinente alla religione, mentre il sacro esiste anche senza religione, senza credere in Dio, negli dei o negli spiriti e si riferisce all’esperienza legata alla nozione di essere, significato e verità. Il sacro è il carattere di ciò che possiede un valore assoluto ed è nella sua essenza separato e nascosto, perciò non raggiungibile almeno nei modi in cui si dà accesso alle altre cose (il suo opposto è il profano).


 

Ho dedicato una scheda di approfondimento della nozione di sacro – Eliade propone di introdurre il termine ierofania, che meglio definisce il sacro – indispensabile per non incorrere nell’errore che parlare di sacro a proposito di nuraghi si intenda che siano templi, luoghi di culto.

Ripeto, per avvicinarsi alle intenzioni sottese alla costruzione dei nuraghi, è necessaria una approfondita conoscenza del sacro, concetto oggi inflazionato e riduttivamente appiattito dalle religioni. Nella fase finale della costruzione dei nuraghi, quando appaiono i polilobati, il senso del sacro è già corrotto e si può parlare di funzione religiosa, oracolare, di santuario, ma originariamente il nuraghe va declinato con una diversa appartenenza al sacro e quindi funzionale all’esigenza di mettere ordine nel caotico e informe spazio e tempo, fissando aree e momenti dove il sacro si manifesta, perché incluso in una concezione cosmologica e cosmogonica del reale.

Il secondo aspetto è la constatazione che l’archeologia isolana ha preso atto che l’ipotesi della funzione militare dei nuraghi sia giunta al capolinea, poiché insostenibile e fuorviante. L’alternativa, per me peggio, è l’introduzione di un concetto di polifunzionalità, ovvero nuraghi buoni a tutti gli usi, templi, fortezze, abitazioni, punti di osservazione e controllo territoriale, depositi, spazi assembleari, ecc., ecc.

L’archeologa Emina Usai, intervenuta a Cagliari nel dibattito della presentazione del libro, ha fatto un passaggio logico: i reperti di scavo dei nuraghi non ci aiutano a risalire alla loro funzione. Obietto che non dobbiamo ragionare sui reperti, perché l’unico reperto è il nuraghe stesso e solo esso ci può indirizzare alla conoscenza. In un precedente dibattito (al “Verano buddusoino” dello scorso aprile) la professoressa Anna Depalmas sostenne l’ipotesi di funzione abitativa, considerato che spesso si trovano resti di pasti, stoviglie e suppellettili.

Sulla funzione dei nuraghi un importante contributo è arrivato, lo scorso anno, dall’archeologo scozzese Robert Leighton, capo del dipartimento di archeologia dell’area mediterranea di Edimburgo, pubblicando una memoria in cui ha sostenuto la funzione rituale dei nuraghi, smentendo con interessanti argomentazioni la loro funzione laica, come abitazione o fortezza, proponendo funzioni cultuali e religiose, interpretando proprio resti di pasti e ceramiche per uso rituale e non domestico.

Di fatto però, entrambe le archeologhe hanno escluso la funzione di fortezza dei nuraghi. Comunque, sia nell’ambiente accademico sia in quello delle soprintendenze, la funzione militare non è mai stata ufficialmente smentita. Purtuttavia nessuno la evoca e si preferisce glissare la questione, al massimo parlando di polifunzionalità.

Mi aspetto dunque un cambio epocale di paradigma e mi auguro che l’archeologia sarda avvii ricerche senza la stantia armatura militare e che si presenti nuda al cospetto della ricerca nuragologica.

 

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