domenica 27 aprile 2025

Spazzatura nuragica

 

Recensione di Franco Laner a:  Il pozzo sacro di Santa Cristina a Paulilatino nella Sardegna pre-nuragica e nuragica di Alessandro Madau.

L'ho acquistato attraverso Amazon (26 euro e 2,60 spedizione). Il libro è “Printed by Amazon Italia Logistica”, senza l'indicazione dell'anno di edizione.

Frontespizio del libro in questione

Sto lavorando su tema dei pozzi e fonti della Sardegna nuragica.

Ovviamente ho la presunzione di dire qualcosa di aggiuntivo a quanto già scritto, altrimenti perché scrivere? Prima però di presumere di aggiungere mezza pagina a quanto già scritto, penso sia indispensabile raccogliere, leggere e capire quanto chi mi ha preceduto ha ipotizzato.

Nella mia ricerca mi sono imbattuto nel libro in oggetto e l’ho ordinato, considerato l’argomento.

Subito la sorpresa: libricino di 94 pagine, formato A5 (massimo risparmio carta), banalmente impaginato, senza alcun tentativo di composizione grafica, anzi spesso difficile da leggere perché non è stato lasciato nemmeno lo spazio minimo fra scritto e rilegatura, cosicché l’allineamento della pagina sinistra si sovrappone a quello della destra.

Per deviazione professionale – quante tesi di laurea ho seguito! – vado subito alla bibliografia, specchio immediato, come raccomandava Umberto Eco, di valutazione di un lavoro di ricerca. Manca la casa editrice di tutti i libri consultati. Forse è considerato un optional, visto che anche il libro in questione non ha editore.

Amen, non mi scoraggio e scorro l’indice. I primi tre capitoli, 58 pagine su 94 (60%) sono dedicati al riassunto – banale, acritico e stereotipato – dei millenni ricchi di storia della Sardegna, dal Neolitico fino al periodo nuragico. Ma il libro non ha per oggetto il pozzo di S. Cristina, come annunciato in quarta di copertina dove si dice che il pozzo sarà analizzato nel dettaglio?

Mi pare che si stia menando il can per l’aia! E non si arriva al dunque!

Resisto e finalmente il capitolo IV è dedicato all’architettura religiosa, dove l’autore inserisce pozzi e fonti con descrizioni scontate da piccola guida turistica, malamente riassunte dai siti internet.

Apprendo comunque che Su Tempiesu, gioiello di fonte, pur superficialmente restaurata (v. mio articolo su TEMA, rivista di restauro edita da Franco Angeli, n. 3, 1995: Conci adespoti e verità negate. Alcune riflessioni sull’intervento ricostruttivo di una fonte nuragica) non si chiama così perché in sardo tempiesu è un piccolo tempio, un tempietto, bensì perché nel bosco circostante agli inizi del secolo (quale?), lavorasse un signore di Tempio (Su Tempiesu appunto) incaricato al taglio degli alberi per ricavarne carbone (pag. 63)!

E S. Cristina, che da il titolo al libro? Finalmente si arriva al V e ultimo capitolo. Poche righe per il pozzo, molte di più al contesto, a cominciare dalla cosiddetta capanna delle riunioni, alla chiesa e le cumbessias. Mancava appunto la storia del pozzo nel periodo cristiano per completarne la storia iniziata nel Neolitico!

Anche il cane, a ‘sto punto, è stufo di essere menato per l’aia.

Tralascio gli accenni alla tecnologia costruttiva, della serie muratura a secco con malta di fango per meglio fermare le zeppe. La malta, per essere tale, ha bisogno di legante (calce, cemento, pozzolana: il fango è fango, non malta). Se poi la zeppa ha bisogno di malta non è una zeppa, bensì un vuoto, una sottrazione: niente! La muratura a secco comunque non fa ricorso al “bagnato”, semplicemente perché è “a secco”!

Alcune foto sono illeggibili, come quella di fig, 25, 31, 38, 42 e 44. Altre di scarsa definizione.

Ma ciò che mi far girare le armonie è la condivisione della funzione di nuraghe per uso militare. Scrive:

Recentemente sembra sempre più diffusa quest’ultima teoria, soprattutto osservando la posizione dei nuraghi. Essi si trovano, di solito in posizione dominante, guardano dall’alto e da vicino un passo, un guado, una fonte, un approdo e quando circondano i bordi degli altopiani, si infittiscono dove minore è la difesa naturale. Sono inoltre posti in vista uno dall’altro o di svariati altri. I nuraghi, insomma, dimostrano con la loro dislocazione, lo scopo di difesa, di conquista e di possesso della terra sarda, sia nel suo complesso che nel suo particolare frastaglio di valli, di altopiani e di pianure. In una nota l’autore attribuisce all’archeologo Ercole Contu – pappagallo di Lilliu – la frase che lui fa sua. Pensavo, sbagliandomi, che la teoria del nuraghe fortezza, madre di ogni sciocchezza, fosse morta e sepolta!

Confondere il sacro col profano mi annichilisce, molto più di sentirmi buggerato e derubato per il prezzo del libro che, a conti fatti, viene 28,60 euro : 94 pagine = 30 centesimi a pagina, a confronto di prezzi di simili pubblicazioni che vanno da meno di 5 centesimi a 20 centesimi massimo per pagina.

A fronte di questa mia piccante e sgradevole recensione mi sento replicare da Amazon, più che dall’autore: nessuno ti ha imposto di comperare il libro, l’hai chiesto e te l’abbiamo dato. Replico che nemmeno io ho chiesto o imposto di leggere questa recensione. Pertanto siamo pari!

Pareggio? Se ricorressimo ai supplementari sicuramente soccomberei, perché nel libro sono introdotti nuovi aggettivi. Ad esempio ipogeico al posto di ipogeo, ctonico al posto di ctonio, con la chicca dei betili con protuberanze mammelliformi, definiti menhir mammellati (i betili di Tamuli)

Difronte all’innovazione lessicale alzo le braccia in segno di resa.



lunedì 3 febbraio 2025

PONTI NURAGICI. Gratificante segnalazione, ma amara costatazione

di Franco Laner



Questo ponte sul rio Trogos a Paulilatino è stato recentemente ritenuto nuragico da un archeologo durante un convegno sul culto dell’acqua. È stato invece realizzato alcuni anni fa con la pala del Comune, come è evidente e immediato a chi abbia un minimo di familiarità con le costruzioni storiche a secco.

In un precedente post su questo blog – 17 gennaio 2025 – ho sostenuto, con semplici osservazioni, che non potevano essere stati costruiti ponti di tipo dolmenico dai nuragici, meravigliandomi di come un archeologo potesse sostenere una così evidente stupidata.

Il post mi ha procurato diverse critiche. In verità nessuna nel merito, quanto piuttosto nei modi e nel linguaggio, ma come ho spesso detto non riesco a sopportare la stupidità, perché le tonterias archeologiche non solo danneggiano la disciplina, ma i sardi. Ciò mi fa uscire dai gangheri.


Una semplice domanda: se devo passare un rio mi conviene mettere un paio di tronchi d’albero affiancati o mettere una pietra di 50q sopra due massi?

Ebbene, un caro amico di Paulilatino, mi ha girato quanto riporto:

Ponte sul rio Trogos, formato da ciclopici massi, di origine recente,
si trova in località 'Angrona' nel territorio comunale di Paulilatino.
Qui sotto la risposta del signor Paolo Cadinu, pubblicata in data 1 dicembre 2018 nei commenti all'articolo che definisce il "ponte nuragico" come il più antico del mondo.
sardegna.admaioramedia.it/il-ponte-piu-antico-al-mondo-...
"Carissimo ..., prima di tutto GRAZIE per aver fatto conoscere ancora di più il paese di Paulilatino, provincia di Oristano, nel mondo, paese tra i più ricchi di reperti preistorici e storici di cui oltre ad andarne fieri ci curiamo della loro manutenzione e promozione, siamo il paese del pozzo sacro di santa Cristina, del paese pieno di nuraghi, domus de Janas, stele ma sicuramente non siamo il paese con il ponte più antico del mondo e non vogliamo diffondere imprecise notizie in merito in quanto ciò che offriamo ai nostri visitatori è tutto originale. Il ponte in questione, nonostante possa trarre in inganno non è altro che una costruzione realizzata molto artigianalmente da alcuni abitanti del paese nel “lontano” 1988 poiché era necessario realizzare un punto di passaggio quando le forti piogge facevano crescere il rio che vi scorre sotto e diventava impossibile attraversare quel tratto di strada. Detto questo la invito con piacere a visitare il nostro territorio, non avremmo il ponte ma resterà a bocca aperta per le nostre bellezze.
Cordialmente, Paolo Cadinu, consigliere comunale di Paulilatino"

Se vengono prese per buone evidenti bufale, significa che la cultura archeologica è fragile, molto fragile e lo dimostra il fatto che ancora si parla di nuraghe-fortezza, madre di ogni sciocchezza, teoria ostativa alla reimpostazione della ricerca nuragica che reclama un ovvio e conseguente cambio di paradigma.

Ma, visto che tutto il male non viene per nuocere, sto pensando ad un mio impegno. Postare, ogni mese, una “tonteria nuragica”, sempre che il curatore di questo blog archeologia nuragica sia d’accordo. Per una decina di mesi ho materiale. Nel frattempo non dubito che gli archeologi mi forniranno nuovi materiali.

lunedì 27 gennaio 2025

Conci mammelliformi. Allusione androgina

di Franco Laner

Per rispondere a due richieste di maggior chiarimento di alcune immagini che ho proiettato durante il mio intervento sui pozzi e fonti e sacralità dell’acqua nel recente incontro di Settimo (v. precedente post su questo blog), dove ho sostenuto che i conci a T (onnipresenti nei pozzi) abbiano forma taurina, maschia e ricordato che spesso il toro è presente in pozzi e fonti anche con le sue fattezze reali, non solo simboliche, sintetizzo ciò che in altre occasioni, in scritti e conferenze, ho sostenuto.

Molto spesso, sui conci taurini sono presenti due protuberanze che interpreto come mammelle.

È dunque compresente il maschio e la femmina, ovvero l’ermafrodita, l’androgino, figura che ha in sé la completezza e perfezione.

Gli archeologi hanno interpretato le protuberanze come funzionali al trasporto dei conci e alla loro messa in opera per essere poi scalpellate via.

Ma come si fa a pensare ad una tale corbelleria? Il concio è facilmente sollevabile e lavorabile senza necessità di protuberanze, estremamente laboriose per la sottrazione materica necessaria!

Sarebbe un lavoro stupido ed inutile e chi lo dovesse compiere sarebbe immediatamente condannato, come Sisifo, e costretto a spingere un masso in cima al monte e poi lasciarlo rotolare a valle e quindi riportarlo in cima all’infinito. In altre parole è una cretinata ergonomica: grande sforzo per non ottenere alcun risultato. Come corollario: quale credibilità, quale affidabilità può mai avere chi confonde tale evidenza quando poi si accinge a restaurare monumenti, se nulla sa di tecnologia costruttiva?

1. “Per la prima volta in Sardegna” -scrive David Ridgway (Quaderno 18, Torchietto, Ozieri, 1992) a proposito del restauro di Su Tempiesu, eseguito da M. A. Fadda “è stato possibile dimostrare la funzione puramente funzionale dei mammelloni destinati semplicemente a facilitare il maneggio dei blocchi per essere poi scalpellati via a fine opera”

 Nei conci dei pozzi possono trovarsi” -fa eco Contu- delle protuberanze mammelliformi alle quali un tempo gli archeologi davano significati magico-rituali, mentre deve trattarsi utile per il trasporto, per la messa in opera e per la lavorazione dei blocchi”.



2. Ancora nel 2008 Maria Ausilia Fadda riprende la tesi utilitaristica delle protuberanze, illustrando il restauro del complesso nuragico di Gremanu (Delfino editore, Sassari, 2008)

Per rafforzare questa mia convinzione del richiamo simbolico all’ermafrodita, ho poi proiettato i betili mammelliformi di Tamuli: fallo e seni compresenti di chiara simbologia androgina.

L’androgino, presso molte culture arcaiche, rappresenta la forza, la luce da cui ha origine la vita.

Rappresenta la divinità da cui tutto proviene. È la perfezione primordiale, la riunione di cielo e terra. Anche nel Simposio di Platone l’uomo era originalmente bisessuale.



3. I betili di Tamuli a presidio e auspicio di rinascita presso le tombe di giganti

La compresenza maschile/femminile nella simbologia dei pozzi e fonti nuragiche ci aiuta a capire i possibili riti di rigenerazione e fecondità che si potevano svolgere in questi templi, oltre che di purificazione sottesi alla sacralità dell’acqua, argomento su cui stiamo lavorando data la sua attualità per la comprensione del paesaggio nuragico.

Qualora infatti l’indagine archeologica e i reperti siano afoni e insufficienti a restituire il contesto sociale, culturale e religioso, altre discipline possono concorrere a restringere gli ambiti di aleatorietà. Mi riferisco alla storia delle religioni, dell’architettura e dell’arte; alla tecnologia costruttiva, alla psicologia, all’antropologia, all’astronomia, insomma a tutte le discipline dello spirito e della natura, perché l’uomo è un unicum, sommatoria e sintesi di discipline e l’archeologia da sola è impotente a restituirci l’uomo del passato, specie se si fonda solo su ciò che brilla sulla punta del piccone. Gli archeologi, chini a cercare e a catalogare cocci, dimenticano di sollevare qualche volta gli occhi al cielo.

 



4 e 5. Per sollevare alcuni grandi blocchi, es. Incas e architravi di templi, le protuberanze erano funzionali al sollevamento, ma si tratta di tonnellate, non di alcune decine di kilogrammi dei conci dei pozzi e fonti nuragiche.

Nuraghi, pozzi e fonti sacre e TdiG sono monumenti specifici e propri della civiltà nuragica. Un insieme che va indagato all’infuori di teorie belliche e utilitaristiche, ancora imperanti nell’archeologia sarda, se ci si vuole avvicinare al particolare paesaggio culturale, sociale, religioso e artistico di un millennio di storia assolutamente originale.

venerdì 17 gennaio 2025

PONTI NURAGICI ?!?!

 di Franco Laner

Sabato scorso, 11 gennaio 2025, ho partecipato ad un incontro a Settimo san Pietro organizzato dalla locale associazione archeologica Jenna Arcana che aveva per oggetto il culto dell’acqua nel periodo nuragico con interventi diversamente declinati dai relatori.

Nella sua relazione, l’archeologo, fra i vari manufatti, pozzi, fonti, cisterne, canalizzazioni nuragiche ha incluso anche i ponti. In particolare una dia mostrava il ponte dolmenico/nuragico sul rio Trogos (Paulilatino).

 

Fig.1 Il ponte nuragico/dolmenico dalla relazione dell’archeologo

Sono sobbalzato sulla sedia per la sorpresa: come, ponti in Sardegna prima delle strade romane?

I ponti sono opere complementari alle strade e quindi c’era una viabilità stradale nuragica? Ho visto piste antiche con solchi segnati da slitte e carri a sant’ Antonio Ruinas dove si erge uno straordinario e slanciato menhir, ma mi è nuova la viabilità nuragica.

 

Fig 2 Solchi di carro nei pressi del menhir di sant’Antonio Ruinas. sono diffusi in tutta la Sardegna e a mio parere si sono formati negli ultimi 2500 anni, ovvero dal periodo punico in poi.

Anche i sentieri possono aver necessità di passerelle, ma per passare un rio o un torrente si mettono alcuni tronchi d’albero accostati. Per passare un fiume si sono usate barche (traghetti), ma sono attestati anche ponti di barche unite fra loro sia nell’antichità e sia anche recentemente, ad esempio fino a poco tempo fa c’erano ponti di barche per automobili sul Po.

Subito ho pensato a un dolmen e che un rio avesse subito una deviazione. Ma appena ho guardato meglio si vede che per arrivare sopra la pietra apicale, ci son altri massi messi a gradino e che effettivamente è un ponte che permette il passaggio di pedoni agili o di capre. Non sicuramente anziani o mucche.

Sul trasporto e messa in opera delle pietre ortostatiche dei dolmen nel Neolitico ho scritto e ipotizzato diverse tecnologie. Stessa cosa per lo scavo, trasporto e posa delle pietre per i ciclopici nuraghi. Non ho dubbio che un nuragico sarebbe riuscito a fare un ponte dolmenico.

Ma non l’ha mai fatto semplicemente perché non sapeva cosa fosse un ponte! E nemmeno sapeva cosa fosse una strada di cui il ponte è opera d’arte, come lo sono i muri di sostegno, le cunette per l’acqua o i tornanti in caso di strade di montagna…

Se poi si sono visti dolmen, opera di ingegno e eccelsa arte, la pietra apicale non è solo grande, ma anche bella ed espressiva e anche quando non ha le facce parallele e planari, non è una pietra messa sopra come è stata trovata, bensì lavorata, seppur sommariamente. Ma soprattutto le pietre ortostatiche sono snelle e strette, oppure, piramidali, non come nel nostro caso, che sono massi rozzi e trovati lì vicino. In altre parole non c’è architettura, solo mera tettonica.

Fare una passerella con tali pesanti pietre è una stupidata. Esattamente come tagliare un albero per fare uno stecchino per pulirsi i denti.

In una frase allora il mio parere: il ponte nuragico è stato fatto non più di cinquant’anni fa con una pala meccanica per guadare il rio anche in caso di piena!

 

Fig. 3 Manifesto dell’incontro di Settimo san Pietro


L’altro argomento citato nel florilegio dei manufatti che interferiscono con l’acqua, utilitaristica o sacra, riguardava le dighe! A onor del vero, c’era un punto di domanda su questo tema. Perché se è stupido parlar di ponti dolmenici, parlar di dighe nuragiche sarebbe demenziale.

Eppure concepirei più una diga nuragica che un ponte. Per trasportare tronchi d’albero a valle, da secoli, da noi in montagna, ci si serviva dei torrenti, ma, essendo di poca portata, i tronchi si sarebbero incagliati. Allora si costruivano dighe di terra e nel bacino si mettevano i tronchi da trasportare. Poi la diga veniva aperta e la massa d’acqua trascinava i tronchi a valle.

Venezia è stata costruita coi tronchi fluitati, ma prima di arrivare ai fiumi e in laguna, c’era bisogno di stue, (dal latino stuere, stappare improvvisamente) e si sono costruite dighe di terra. A parte questa particolare ragione, un po' più seria dell’archeologia all’Hanna & Barbera dei ponti nuragici, anche le dighe si sono realizzate per avere riserva d’acqua per l’irrigazione e la distribuzione idrica per gli usi domestici e produttivi in tempi recenti. Al massimo i nuragici hanno realizzato canalizzazioni di qualche decina di metri per il recupero del troppo pieno di sacre acque di fonti.

Non escludo che qualche ruscello sia stato sbarrato, in antico e di recente, da rudimentali dighette per bagnarsi e refrigerarsi il cervello nei caldi estivi.