domenica 9 settembre 2012

Archeologia in Sardegna, quarant'anni di cattivi maestri


di Mauro Peppino Zedda


Recentemente Mauro Perra ha pubblicato un interessante articolo “Osservazioni sull’evoluzione sociale e politica in età nuragica” nella Rivista di Scienze Preistoriche LIX 2009, 355-368.
L’interessante articolo di Perra si presta ad una serie di interessanti considerazioni in relazione allo stato dell’arte dell’archeologia preistorica isolana.
A riguardo del modo in cui Perra interpreta la società nuragica, niente di nuovo rispetto a suoi precedenti articoli, e per la mia analisi critica della sua tesi rimando alla lettura di Archeologia del Paesaggio Nuragico.
Ma il suo articolo è estremamente interessante a riguardo dello stato dell’arte dell’archeologia preistorica isolana. Perra prima di proporre la sua teoria cita e fa l’analisi critica delle proposte che l’hanno preceduto. Cita (nell’ordine) Giovanni Lilliu, Vincenzo Santoni, Fulvia Lo Schiavo, David Trump, Alessandro Usai, Gary Webster, Luca Navarra, Paula Kay Lazrus, Dyson e Rowlands, Giovanni Ugas.
Come mai Mauro Perra non cita le pubblicazioni di Alberto Moravetti e Giuseppa Tanda ovverosia gli attuali professori ordinari delle Università di Sassari e Cagliari, e neppure i loro predecessori Ercole Contu e Enrico Atzeni.
Infine, in chiusura del testo scrive testualmente: “Dedico questo lavoro a Renato Peroni per il quale nutro un solo e sincero rammarico: quello di non essere stato un suo allievo. Sono inoltre in debito di riconoscenza agli amici e colleghi Giulio Angioni, Emily Holt, Fulvia Lo Schiavo, Alessandro Usai, nonché alla mia compagna Tatiana Cossu.”.
Che dire? Mi pare che il rammarico di Perra per non aver avuto Peroni come maestro e la contestuale mancata citazione dei suoi maestri sia sintomatica.
La mancata citazione di Atzeni, Moravetti e Tanda la comprendo appieno, nessuno dei tre ha proposto niente di interessante sui nuraghi, nella loro carriera si sono limitati a ripetere le teorie di Lilliu.
Viceversa ritengo che Ercole Contu meritasse di essere preso in considerazione, all’analisi del mondo nuragico ha dedicato un grosso libro e tanti articoli. Certamente le tesi di Ercole Contu non brillano in fatto di linearità (casca spesso in banali contraddizioni), ma questo non dovrebbe aver impedito la sua mancata presa in considerazione, le contraddizioni di Contu non sono certo più gravi di quelle in cui cade Lilliu.
Ercole Contu propone una società nuragica egualitaria, anche se spesso (senza accorgersi di cadere in contraddizione) cita dei re o reucci che nel suo schema non dovrebbero esistere.
Ma Lilliu non è da meno, riuscendo a conciliare il comunitarismo che a suo parere emerge dalle tombe di gigante con il verticalismo dei nuraghi.
Caro Mauro Perra, mi pare che Contu avrebbe meritato una citazione ben più sostanziosa dello spazio che hai dedicato alla tesi di Luca Navarra (uno che i nuraghi deve averli visti solo in fotografia).
Infine confesso che anch’io ho un grosso rammarico: gli studenti sardi di archeologia (negli ultimi 40 anni) avrebbero meritato dei migliori maestri.

giovedì 23 agosto 2012

Ancora sulle recenti considerazioni di Ugas


di Paolo Littarru


In merito alle considerazioni del Prof. Ugas, vorrei fare due ulteriori aggiunte:

1. Non corrisponde al vero che nei nuraghi “non si trovino oggetti connessi coi culti e con le offerte sacre di corredo sacro prima degli inizi del I Ferro”; come abbondantemente dimostrato dall’archeologo Augusto Mulas nel suo recente libro “L’Isola sacra – Ed. Condaghes”, l’abbondanza di reperti risalenti finanche al Bronzo Medio (periodo di presunta edificazione dei primi nuraghe), è rivelatrice di usi cultuali;

Inoltre, come ottimamente illustrato da Mauro Zedda in “Archeologia del paesaggio nuragico”, gli "indicatori archeologici" che deve presentare una struttura per poter essere interpretata come sacra, o meglio gli indicatori di un rituale, sono esposti in Renfrew e Bahn Archeologia. Teorie, metodi e pratiche ed. 1995 e 2006 Zanichelli e sono i seguenti
- concentrazione dell'attenzione

luogo caratterizzato da speciali associazioni naturali (es. grotta, boschetto, sorgente, cima di una montagna
posizione periferica rispetto ad un centro abitato
presenza di altari, seggi, focolorai, incensieri e tutti i parafernalia del rituale
simboli ripetuti "ridondanza"

- zona di confine tra il mondo di confine e l'aldilà

sia cerimonie pubbliche che misteri nascosti ed esclusivi la cui pratica si riflette nel luogo di culto
elementi di purificazione (es. piscine e bagni rituali; pozzi, l'aggiunta è una n.d.r.)

-presenza della divinità

immagini o rappresentazioni della divinità
simboli riferiti all'iconografia es. animali reali o mitici
simboli rituali riferiti a rituali funerari o altri riti di passaggio

- partecipazione e offerte

decorazioni o immagini che richiamino movimenti rituali o gesti di adorazione

il rituale può includere la danza, la musica etc.
sacrifici animali
cibi e bevande bruciate sparse
oggetti votivi rotti o nascosti
investimento di ricchezza nell'apparato cerimoniale e nelle offerte, oltre che nell'edificio stesso

In pratica solo pochi di questi indicatori saranno ritrovati in un contesto archeologico


Evidenzio che il testo degli archeologi inglesi vorrebbe essere di portata generale, riferibile cioè a tutti i contesti archeologici, senza esclusioni.
Nel BM ma ancor più nel BF molti di questi indicatori sono presenti nei nuraghi.

2. Non consta corrispondere al vero allo stato attuale delle conoscenze e salvo prova contraria che nei nuraghi si trovino armi risalenti al presunto periodo di edificazione dei nuraghe

domenica 22 luglio 2012

Ugas insiste... nel continuare a non capire


di Mauro Peppino Zedda


Ieri, nel blog gianfrancopintore, Giovanni Ugas ha replicato al post Caro amico ti scrivo…, ecco la mia ulteriore risposta.

Caro Giovanni Ugas,
non pensavo certo di offenderti nel dire che Tu e gli altri archeologi sardi (Alberto Moravetti, Peppina Tanda e tutti gli altri) continuate a non capire i risultati delle mie ricerche archeoastronomiche, quando scrivi “Infatti essendo numerosi, a migliaia, si troveranno sempre dei nuraghi, opportunamente scelti, disposti in modo tale da comporre tra loro tutte le più importanti costellazioni del firmamento visibili ad occhio nudo.”, dimostri di continuare a non capire, insisto nel ribadirlo perché non voglio assolutamente pensare che tu fai finta di non capire (i contenuti dei miei studi archeoastronmici) e che le tue osservazioni siano finalizzate a imbrogliare le carte.
Le mie carte sono chiare, sono state pubblicate come articoli scientifici (in prestigiose riviste scientifiche accademiche) e come monografie, ed hanno messo in luce che l’ingresso dei monotorre e delle torri centrali, le linee tangenti alle torri periferiche dei nuraghi complessi, la dislocazione dei nuraghi, risponde a criteri astronomici connessi coi solstizi e lunistizi. Inoltre i nuraghi oltre ad essere orientati e dislocati astronomicamente presentano dei casi in cui sono stati addirittura concepiti astronomicamente.
E tu che fai ? Banalizzi la questione, dimostrando di non capirla o facendo finta di capirla!
Caro Giovanni e mie carte sono così chiare che i maggiori archeoastronomi accademici del mondo hanno riconosciuto le mie tesi.
Tu e gli altri archeologi sardi avreste avuto il dovere di prendere atto del significato astronomico dei nuraghi almeno da quindici anni fa, cioè dal momento che i maggiori archeoastronomi accademici del mondo hanno preso atto della bontà delle mie proposte, io non voglio minimamente pensare che ancora oggi facciate finta di non capire, semplicemente non capite. Non capite nè il significato astronomico dei nuraghi, né che esistono i presupposti per accettarlo anche se non avete le conoscenze idonee a comprenderlo, visto che viene accettato dai più autorevoli archeoastronomi del mondo.
Tornando al significato dei nuraghi, nel mio Archeologia del Paesaggio Nuragico ho scritto che i nuraghi sono, ontologicamente, più vicini ai nostri campanili che alle nostre chiese.
Che i nuraghi siano torri non ho mai avuto il minimo dubbio, come sul fatto che dire torre non significa dire castello!!
Nella mia replica ti ho dimostrato che gli argomenti che a tuo parere indicano che i nuraghi siano fortezze, non sono validi (cfr post Caro amico ti scrivo…) e per approfondirli rimando ad Archeologia del Paesaggio nuragico.
Tu scrivi che “Zedda stesso ammette che nei nuraghi si accumulavano le risorse e che dunque implicitamente vi erano esigenze difensive; queste non potevano essere affrontate senza apparecchiature di difesa, cioè senza le torri dei nuraghi stessi.”. Scusa, ma non ho mai scritto, né detto, che nei nuraghi si accumulavano risorse!!!
I nuraghi hanno dei risibilissimi spazi interni e non credo proprio che siano confacenti ad ospitare genti normali (per viverci) o derrate alimentari. Diverso il discorso per le meigas, "equiparabili" alle nostre monache di clausura, ovviamente con differenti ruoli.
Certamente il dato di fatto, oltre al loro orientamento e dislocazione astronomica, è il fatto che quando la spiritualità nuragica ritorna iconica nel Bronzo Finale (per te nell’età del Ferro) i nuraghi vengono utilizzati come sacelli votivi, possibile che a te non sembra strano che migliaia di fortezze vengono in templi?
Come ti è possibile pensare che le migliaia di lillipuziane fortezze (orientate e dislocate astronomicamente) vengano trasformate in luoghi di culto?
Perché il loro cambio di destinazione d’uso avviene quando la spiritualità passa dall’aniconismo all’iconismo?
Perchè dei capi e dei guerrieri sui quali continui a fantasticare non c’è traccia né nei nuraghi né nelle tombe?
Considerando i dettami astronomici con cui sono stati costruiti i nuraghi, e valutando con attenzione che quando la spiritualità diventa iconica i nuraghi vengono utilizzati come sacelli votivi, è logico pensare che l’utilizzo dei nuraghi all’epoca della loro edificazione fosse nella sfera del sacro. Purtroppo è assai difficile stabilire i contenuti di una religiosità aniconica quale fu quella delle genti che li edificarono, certamente era una religiosità dove l’edificazione dei nuraghi aiutava ad “acquietare” tensioni relative allo spazio e al tempo, e su questo ha dato un ottimo contributo Franco Laner (cfr Accabadora, 1999, Sa ‘Ena 2011), e recentemente Arnold Lebeuf (L’osservatorio lunare di Santa Cristina 2012) dimostrando che i nuragici erano genti interessate a prevedere le eclissi.

mercoledì 18 luglio 2012

Caro amico ti scrivo ...

di Mauro Peppino Zedda

Il 17 luglio 2012, il blog gianfrancopintore , ha ospitato un articolo, Nuraghi, Shardana ed altre questioni, dell’archeologo Giovanni Ugas, il suo articolo contiene interessanti spunti di discussione, estrapolo alcune sue frasi, ma sarebbe importante andare a leggere l’intero suo articolo.
Ugas scrive: “Tra i nuraghi esiste una gerarchia di articolazioni (torri singole, bastioni pluriturriti, bastioni con cinta esterna turrita) che può essere spiegata in maniera soddisfacente soltanto presupponendo una parallela articolazione sociale. Soprattutto il numero limitato (soltanto una cinquantina tra le migliaia), dei nuraghi con bastione difeso da una cinta turrita esterna, che potevano ospitare una consistente guarnigione di soldati, presuppone l’esistenza di autorità gerarchicamente superiori di capi che stavano al vertice della comunità.
Ovviamente, in quanto residenze (fortificate) di capi, esattamente come i palazzi residenziali dell’Egeo e del Vicino Oriente, i nuraghi erano abitati e infatti vi si trovano i resti relativi alle diverse funzioni e attività quotidiane, quali le strutture per le riserve alimentari e idriche, avanzi di cibo e strumenti per ottenerlo, le armi dei guerrieri (frombolieri, spadaccini, arcieri, lancieri) e così via. Semmai come nei palazzi micenei e orientali, nei nuraghi poteva esserci un angolo di sacro (si pensi al megaron). Detto ciò, le persone che nonostante gli incontrovertibili dati della ricerca archeologica, insistono ciecamente nel ritenere che i nuraghi fossero templi dovrebbero cercare di rispondere, tra i tanti altri, a questi quesiti:
1) perché i nuraghi sono costruiti con torri culminanti con terrazzi sorretti da mensole come i castelli medioevali?
2) perché i nuraghi sono così differenti tra loro nell’articolazione?
3) per quale ragione il nuraghe di Su Nuraxi in Barumini, nel corso del Bronzo finale, fu rifasciato e l’ingresso fu trasferito dal piano terra a circa 7 metri d’altezza?
4) perché, se fossero templi, i nuraghi furono sistematicamente devastati e poi nel I Ferro non furono più costruiti ma semplicemente ristrutturati?
5) perché nei nuraghi non si trovano oggetti connessi coi culti e con le offerte sacre di corredo sacro prima degli inizi del I Ferro o (se si vuole per qualche archeologo) prima del Bronzo Finale, mentre all’opposto si trovano manufatti necessari per la sussistenza quotidiana e le armi? Ammesso che qualcosa fosse sfuggito agli archeologi, è impensabile che nei livelli del tardo Bronzo non abbiano visto nulla di afferente con la generale sacralità degli edifici.
Invero i sostenitori dell’equazione nuraghi=templi sono prigionieri di preconcetti teorici. Quanto all’orientamento, gli edifici sono disposti in modo da godere al massimo della luce e gli ingressi non volgono mai direttamente verso i quadranti notturni ed esposti al freddo. Tutto il resto è conseguente. Anche le case campidanesi di ladiri avevano gli ingressi verso la luce e il calore e di certo non erano certo templi. Ma se anche fossero orientati su particolari posizioni del sole, della luna e di qualche stella, può ben significare che i nuraghi erano sotto la protezione delle divinità che tali astri rappresentano, e non che essi erano templi di tali divinità. In età arcaica e classica, anche i reticolati geometrici delle città (Marzabotto, città romane etc.) rispecchiano determinati parametri astrali e nessuno si sogna di dire che erano templi. Tutt’al più questi studi sono utili per risalire al grado di conoscenza degli astri dei nostri antenati e alla identificazione di qualche culto. E’ ben noto, al riguardo, che il culto della luna, del sole e di qualche stella era già praticato in età prenuragica
.”.

Mi pare corretto rispondere ai cinque punti segnalati da Ugas, dunque:
1) le mensole oltre che nei castelli sono presenti sia nelle chiese che nei campanili medievali, ma aggiungerei anche nei minareti musulmani e negli edifici sacri indù, la presenza di mensole in un edificio non è la prova che l’edificio sia una fortezza.
2) La differente articolazione costruttiva non significa che essi siano edifici fortificati, anche le chiese cristiane in ogni epoca presentano differenti articolazioni legate al rango della sede o alle risorse delle comunità.
3) Il rifascio di Barumini, ammettendo e non concedendo che la chiusura dell’ingresso a terra e la sua sopraelevazione sia stata eseguita per motivi difensivi (ritengo che anche il rifascio e l’innalzamento dell’ingresso a 7 metri sia stato eseguito per motivi religiosi (vedi Archeologia del Paesaggio nuragico, 2009)), questo dato dovrebbe interpretato come l’adeguamenndo a fini difensivi di una struttura che originariamente aveva un’altra funzione, perché sopraelevare l’ingresso se in migliaia di altri casi (a parere degli archeologi) essi sarebbero stati idonei a impedire l’ingresso dei nemici. In realtà gli ingressi dei nuraghi non sono idonei a essere interpretati come ingressi di edifici fortificati, solo con la fantasia degli archeologi imposta come un dogma ex-cattedra, si è potuta veicolare questa grossolana sciocchezza! E il rifascio di Barumini, se anche si stabilisse che è stato fatto per motivi difensivi, sarebbe un indizio che i nuraghi non sono idonei alla difesa! D’altrronde abbiamo tanti esempio di edifici sacri trasformati in fortini.
4) Di nuraghi a partire dal Bronzo Finale non se ne costruiscono più, ma non è questa una ragione per asserire che non fossero edifici sacri.
5) Ugas riconosce che a partire dal I ferro per lui e a partire dal Bronzo Finale (per altri archeologi) nei nuraghi vi sono i segni evidenti di un loro uso nella sfera del sacro. Ugas immagina che nel I Ferro i nuraghi vengono trasformati da fortezze in templi. Purtroppo Ugas dimostra di non conoscere i caratteri della religiosità e della spiritualità nuragica ante il Bronzo Finale, non riesce a vedere che a cavallo del Bronzo Finale si è svolta una radicale trasformazione dei caratteri della religiosità nuragica, finisce l’aniconismo e si passa all’iconismo (vedi Archeologia del Paesaggio Nuragico, 2009).

Riguardo alle sue confuse argomentazioni in relazione al significato astronomico dei nuraghi. Dopo vent’anni dal mio primo libro Ugas continua a non capirci niente, mentre il mese scorso una delle editrici più importanti al mondo (la Springer) mi ha chiesto di fare un capitolo sui nuraghi per un loro libro di archeoastronomia (Handbook of Archaeoastronomy and Etnoastronomy, Editor CLive Ruggles). Nel mentre che i più autorevoli studiosi accademici di archeoastronomia riconoscono la validità dei miei studi, gli archeologi sardi continuano a non capirne niente!!
Caro Giovanni Ugas perché a te e agli archeologi sardi è così difficile capire che la forma triangolare del nuraghe Losa è figlia di un pensiero astronomico, che ci si trova di fronte ad un mastro costruttore che voleva incardinare la sua struttura lungo gli assi solstiziali e non solo orientarla astronomicamente come nel caso del nuraghe di Barumini e di tutti gli altri nuraghi?
Caro Giovanni Ugas perché a te e agli archeologi sardi è così difficile capire (ripetere serve, spero) che i nuraghi della valle di Brabaciera (e altri ) sono disposti sul territorio secondo allineamenti coincidenti con le linee solstiziali e lunistiziali?
Caro Giovanni Ugas perché a te e agli archeologi sardi è così difficile prendere atto di quanto la comunità scientifica mondiale ha sentenziato sul significato astronomico dei nuraghi?






domenica 15 aprile 2012

Sassu Sorres

di Mauro Peppino Zedda

La parola Sorres (sorelle), caratterizza il nome di una delle più belle chiese romaniche della Sardegna, San Pietro di Sorres, che fu sede del vescovo della diocesi di Sorres.
Il nome Bidda ‘e Sorris caratterizza anche il paese che in italiano suona come Villasor.
Recentemente Augusto Mulas in coda ad un bel saggio di archeologia, L’Isola Sacra - Ipotesi sull’utilizzo cultuale dei nuraghi, dove si mette in luce come i reperti che si rinvengono nei nuraghi attestino un loro uso cultuale, prospetta l’ipotesi che il nuraghe Santu Antine di Torralba e i nuraghi ad esso circonvicini siano una rappresentazione delle Pleiadi.
I Nuraghi che secondo Mulas rientrerebbero nello schema sono: Cabu Abbas, Santu Antine, Oes, Balzalzas, Fraigas, Longu, Curzu. Che risultano reciprocamente disposti, come le stelle Atlante, Alcione, Merope, Elettra, Celeno, Taigete, Asterepe.
Le Pleiadi sono un ammasso stellare, facente parete della costellazione del Toro, che occupa lo spazio di un disco solare, una persona con vista normale, ad occhio nudo, può distinguere 5-6 stelle di quell’ammasso, un persona con un ottima vista può osservarne 8 o 9.
Che le Pleiadi siano entrate a far parte del patrimonio culturale dell’umanità è cosa nota, sono state utilizzate per millenni come punto di riferimento per orientarsi per mare e per terra, il loro sorgere e tramontare eliaco era utilizzato a scopi calendariali dagli agricoltori e dai pastori.
Le Pleiadi sono entrate nelle mitologie e cosmologie di tantissimi popoli di ogni angolo del mondo.
La “costellazione” delle Pleiadi sarebbe, secondo Mulas, stata rappresentata nel territorio compreso tra Torralba e Giave, nell'area comprendente le località di S’Archimissa, Sos Poios, Mesu e Gambas, Paule e S’Ittiri e Sassu Sorres.
Paule s’Ittiri indica un luogo palustre, Mesu e Gambas indica un luogo palustre dove l’acqua arriva a mezza gamba, Sos Poios indica un luogo dove si ritrovavano olle, S’Archimissa è il nome sardo della lavanda, e Sassu Sorres significa “pietra sorelle”.
Cosa ci vuol indicare il nome del luogo Sassu Sorres? Chi sarebbero queste sorelle? Forse le Pleiadi figlie di Atlante?
Certamente è singolare che nell’area in cui Mulas indica che un gruppo di nuraghi ricalca la disposizione delle stelle considerate come le figlie di Atlante, vi sia un toponimo come Sassu Sorres.
Altrettanto curioso il fatto che l’area facesse parte della diocesi di Sorres e che la sede del vescovado fosse a soli 4 chilometri dal Santu Antine.
Nello schema individuato da Mulas il Santu Antine corrisponderebbe alla stella più luminosa, Alcione.
Lo schema indicato da Mulas riflette con sufficiente approssimazione (immaginate la difficoltà di inquadrare 8-9 stelle nel ridotto spazio equivalente ad un disco solare) la disposizione delle stelle facenti parte delle Pleiadi, ma manca il nuraghe che avrebbe dovuto rappresentare Maia.
Per un’ottimale rappresentazione delle Pleiadi, avremo dovuto trovare un nuraghe, situato, pressappoco, a metà strada lungo la linea che intercorre tra il Santu Antine e Longu.
In quell’area vi è una cava di pietre e non ci sarebbe da stupirsi se la cava fosse sorta nei pressi del nuraghe mancante. Tantissimi nuraghi sono stati fatto oggetti di spogli più o meno intensi ed era prassi normale (sino a 40 anni fa) localizzare le cave o nei pressi di un nuraghe o nei pressi di domus de janas a seconda del tipo di materiale lapideo che serviva.
Sicuramente la proposta di Mulas, tutta da valutare, apre nuovi interessantissimi scenari alle ricerche archeoastronomiche.

lunedì 20 febbraio 2012

Giovanni Lilliu (1914-2012)

di Franco Laner

Di Giovanni Lilliu, a cui ho rivolto in cuor mio quando ho saputo della sua morte un deferente Requiscat in pace, conservo diversi libri. Oltre alla monumentale “Civiltà dei Sardi” e a “Sardegna nuragica” conservo una sua raccolta di articoli “Una vita da archeologo”, che registra molti articoli scritti dall’illustre studioso e che restituiscono una sorta di autobiografia, scientifica ed umana.
Conservo anche suoi articoli, come quello che scrisse per la “Nuova” il 9 novembre 1997 che titolò “I templi antichi guardano il cielo”.
L’articolo prende le mosse dalla sua partecipazione, come Accademico dei Lincei, al Convegno celebrato a Roma con tema “Archeoastronomia, credenze e religioni nel mondo antico”
In sintesi, in quell’articolo, il professore apre alla legittimazione e conferisce “la patente di scienza” all’archeoastronomia, legittimata per così dire dall’Accademia dei Lincei. Con l’augurio di rimuovere gli steccati del passato, si aspetta dal nuovo approccio interdisciplinare nuove scoperte con l’auspicio di lavorare assieme, nel possibile e nel conveniente.
Nel lungo articolo intravede la possibilità che proprio dal magico e religioso possa essere maturata una ragione scientifica, che ha portato a visioni e modelli teorici e a creazione di sistemi fondati anche su osservazioni astronomiche e principi di geometria (cioè categorie di ordinamento, seppur elementari) che erano di casa a latitudini diverse ed in tempi progressivi…
Senza quelle origini, prosegue Lilliu, non avremmo avuto la nostra stagione nella quale, in virtù di una sotterranea continuità vitale, si rende necessario saldare i valori della scienza e della tecnica con la grande tradizione della plurimillenaria civiltà umana. Benvenuta sia dunque la nuova disciplina dell’archeoastronomia, ovviamente nel suo proprio e severo ambito scientifico. Praticarla su questo fondamento gioverà anche ad eliminare il sottobosco degli “archeoastronomi” improvvisati che pullulano in varie parti del mondo e prosperano anche, con un seguito senza discernimento, nella nostra Sardegna.
Ricordo molte discussioni che seguirono. Facile riconoscerci in quel sottobosco (oltre a Mauro, al sottoscritto e un paio d’altri, nessuno in Sardegna si occupava di archeoastronomia, se si esclude Proverbio presente al Convegno) con irritazione da una parte, ma anche con speranza, che l’apertura di Lilliu prefigurava.
Gli scrissi la seguente lettera, alla quale mi diede breve risposta durante un Convegno, mi pare ad Isili che Zedda organizzò, dicendomi che avevo frainteso l’articolo. Non ricordo le parole, ma quell’incontrò definì nella mia testa il profilo di Lilliu: furbo come ra stries, mi ripeto in ladino.

Egr. prof. Lilliu,
Sono un docente di tecnologia dell’architettura all’Università di Venezia. Mi occupo anche della storia delle tecnologie costruttive e fra le altre cose ho cercato di capire come furono costruiti i nuraghi. Ciò che ho letto a questo proposito –specie nei suoi libri o della sua Scuola- non mi ha soddisfatto e pertanto sono venuto in Sardegna a vedermi i nuraghi. Ho formulato un mio sistema costruttivo, che sintetizzato suona come “nuraghe macchina di sé stesso” ovvero la necessaria rampa di servizio è “congelata” nello stesso nuraghe: non c’è bisogno di supplementari rampe esterne, né di scalandroni, come ipotizza un suo ex allievo, Giacobbe Manca. Oggetto di questo mio studio è stata una relazione che ho illustrato a Saragoza, in un convegno internazionale di storia delle tecniche costruttive.
Ma non è di ciò che desidero parlarle, ma della nota da lei scritta sulla Nuova Sardegna, a proposito di archeoastronomia.
Ebbene, trovo davvero disdicevole tale articolo.
Ma al contempo stimolante, perché mi fa riprendere la voglia di completare un lavoro, di cui allego l’indice e l’introduzione, sufficiente credo ad esprimere la mia opinione sulla questione nuragica, di cui ovviamente sono un dilettante (sono architetto), uno di quei dilettanti che pullulano nel sottobosco della vostra Sardegna (l’indice e l’introduzione erano quelli di “Accabadora” in cui sostenevo che i nuraghi appartengono al sacro e che la teoria militare aveva fatto troppi danni).
Vede, se ci si occupa delle costruzioni del passato, soprattutto megalitiche e ciclopiche, prescindendo dall’archeoastronomia, sarebbe come scrivere senza conoscere la grammatica o la sintassi. Forse voi archeologi avete dimenticato di guardare l’ordine magistrale del cielo, poiché, chini sugli scavi, vi interessa ciò che brilla sulla punta del piccone e solo ora vi accorgete della “nascente archeoastronomia”.
Ma torniamo alla chiusura del suo articolo: “Benvenuti…nella nostra Sardegna”…Il resto, mi scusi, sono cose senza nessuna inferenza speculativa, scritte solo per recuperare un treno perso da tempo. Come pensa di eliminare il sottobosco degli archeoastronomi? Credo ci sia un solo modo. Non con la spocchia accademica, ma col confronto, poiché una verità o una stupidità non cambia se detta da un accademico o da un peon.
E sopporti anche qualche “outsider”, che pensa che il patrimonio archeologico sardo sia anche un poco suo, non solo vostro, così come il patrimonio artistico e culturale di Venezia è anche suo, non solo nostro!
Cordiali saluti
Franco Laner
Venezia, 28/12/1997

Lilliu ha incarnato un profilo di archeologo che nulla può o deve concedere all’illazione. Non si devono formulare ipotesi, né tantomeno, suggestioni.
L’archeologo -scrive Lilliu- questo essere che, di solito, ha una vena di pazzia, deve diventare l’uomo più “saggio”, più controllato del mondo; deve essere una sorta di perito settore, dalla mano ferma e dall’occhio rapido, sordo ad ogni richiamo patetico dello spirito.
Strana contraddizione. Forse che chi ci ha preceduto non concedeva nulla allo spirito? Ma come avvicinarmi a costui, senza concedere qualcosa allo spirito?
Venezia, 19 febbraio 2012

lunedì 23 gennaio 2012

GUERRIERI DI MONTE PRAMA
Preconcetti ed autoreferenzialità alla base di una risibile ricostruzione

di Franco Laner

Ricomporre un puzzle di più di 5.000 frammenti e soprattutto con molti pezzi mancanti penso sia impresa difficile che diventa impossibile se alla carenza di reperti si aggiungono distorsioni ideologiche, ignoranza di semplici regole statiche e tremendi quanto fuorvianti preconcetti. Il peggiore in assoluto è quello di vedere in ogni frammento cilindrico o di colonna, con basamento o capitello, un modello di nuraghe.
La parte centrale della Mostra “La pietra e gli eroi”, allestita a Li Punti (SS), nel Centro di Restauro e visitabile fino alla fine del mese, è dedicata infatti ai modelli di nuraghe. Il percorso della Mostra inizia con scontornate statue di pugilatori, così identificati per il gonnellino chiuso con lembo posteriormente sporgente. Il percorso espositivo si sofferma poi sui tanti, tantissimi, modelli di nuraghi e si conclude con le statue “meglio” ricostruite. La parte finale a mio avviso è l’apoteosi della sommatoria di errori e forzature, con la chicca dello scudo in testa ai pugilatori e il modello di nuraghe polilobati con le torri e il mastio centrale ben fornite di aggetti medioevali.
Non v’è antica cultura al mondo –Africa, Asia, Mediterraneo- in cui la rappresentazione cosmica non sia stata interpretata con i quattro pilastri che reggono la cupola celeste ed il pilastro centrale (axis mundi).
Con questa rappresentazione cosmologica si sono costruiti templi, santuari, mandala e moschee. Lo stesso Taramelli, illustre archeologo nuragico, interpreta i bronzetti con la torre centrale (es. Ittireddu) con le quattro più piccole laterali come modello di santuario (v. Convegno archeologico in Sardegna del 1926).
Legittimo dunque a fronte di tante colonne con allargamento apicale far riferimento a questi modelli cosmologici, ma interpretare una colonna con basamento o capitello come modello di nuraghe, mi sembra una forzatura disarmante. Anche un chiarissimo basamento quadrangolare –basamento del tutto uguale per dimensione e spessore (circa 60x60x15cm di spessore) ai basamenti delle statue, con relativo spezzone di colonna, è descritto nel cartellino come modello di nuraghe! Oltrettutto è esibito capovolto.
La finitura della sommità dei nuraghi, costruzioni di muratura ciclopica ed a secco, è possibile con mensoloni incastrati. Ma su questi mensoloni è impossibile costruire alcunché, poiché i mensoloni non sopporterebbero momenti flettenti e subito si spezzerebbero. L’aggetto apicale di una colonna , ovvero il suo allargamento, è possibile perché è monolitica, ma non è possibile in una costruzione a secco come il nuraghe. E ciò per semplici ragioni statiche e di scarsissima resistenza a trazione offerta dalla pietra.
Per questa stessa ragione di poca resistenza a trazione della pietra, le statue marmoree devono sottostare a vincoli statici che ne condizionano la composizione. Ad esempio, se il loro appoggio è dato solo dalle due gambe, la statua non può reggere al ribaltamento, dato da una lieve spinta o eccentricità del carico. Per reggersi, una statua di pietra, ha necessità di un terzo appoggio. Si veda qualsiasi statua litica dai greci a Canova! Ovvio che questo discorso non vale per statue bronzee o metalliche, poiché tali materiali resistono a trazione. Pertanto le statue di Monte Prama, con due soli appoggi, possono resistere solo a carichi verticali e non possono che essere telamoni. Devono essere “schiacciati”, ovvero solo compressi, sollecitazione a cui la pietra regge ottimamente. Come corollario i pugilatori non avevano in testa lo scudo –lo scudo lo hanno gli scudieri!- bensì l’architrave del tempio.
Esibire al mondo spezzoni di colonna con basamento o capitello e dichiararli modelli di nuraghe equivale ad una frase con gravi errori di grammatica e sintassi. Significa mettere in cattiva luce il paziente lavoro di ricomposizione di frammenti anche se guidata da una molto discutibile idea nuragica di appartenenza dei reperti. Per un tale ed impegnativo lavoro di ricostruzione l’archeologo doveva essere affiancato dallo storico dell’arte e soprattutto da chi abbia tenuto in mano lo scalpello (uno scultore). Monte Prama appartiene geograficamente alla gronda lagunare di Cabras, frontiera terra-acqua. Serviva dunque anche un profondo conoscitore della storia e geografia dei navigatori del Mediterraneo. Ancora era necessario chi conosca le tecniche costruttive a secco e chi abbia chiaro il comportamento statico. E’ stato in verità chiamato uno fra i maggiori esperti di statuaria antica, il prof. Rockwell, ma i suoi suggerimenti di statica e datazione (uso della gradina introdotto in Grecia solo nel V sec. av. Cristo), sono stati del tutto disattesi, proprio per l’insistenza nuragica. L’autoreferenzialità e soprattutto idee preconcette, ad esempio voler dimostrare come la statuaria a tutto tondo dei guerrieri di Monte Prama abbia preceduto quella greca di alcuni secoli e l’insistenza su qualche somiglianza coi bronzetti, ha molto nociuto alla scientificità della ricostruzione.
Ci sono assonanze coi bronzetti nuragici, ma c’è assonanza anche con l’arte cicladica o dogon. Assonanze ma anche sostanziali diversità. I telamoni di Monte Prama sono statici, privi di plasticità, colonnari e alquanto sproporzionati: gambe cortissime e tozze rispetto ad un corpo massiccio, privo di tensione.
Gli enigmatici occhi, con le pupille dilatate e la bocca ermeticamente chiusa sono eloquenti: ci invitano tutt’ora ad essere vigili ed attenti. Forse anche a preferire il silenzio.