mercoledì 31 ottobre 2012

Perché i nuragici non possono essere gli SRDN citati nelle cronache egizie


Di Mauro Peppino Zedda

Sul finire del XIV sec. a.C. nel nuraghe Arrubiu di Orroli un alabastron peloponnesiaco del TE IIIA:2 veniva rotto nello strato di fondazione del nuraghe (Lo Schiavo e Sanges 1994). Il reperto rappresenta, allo stato attuale degli studi, il più antico manufatto di provenienza egea rinvenuto in un contesto nuragico (Cultraro 2006).
Una testina d’avorio raffigurante un guerriero miceneo datata tra il TE IIIA:2 e il IIIB realizzata in Grecia è stata ritrovata a Decimoputzu (Cultraro 2006).
In quel di Antigori (Sarroch) un’articolata stratigrafia documenta materiali micenei compresi tra il TE IIIB e il IIIC:1 corrispondenti al periodo tra il 1250 e il 1140 a.C.
In Sardegna relativamente a quanto edito sino al 2005 si sono ritrovati materiali micenei in una ventina di siti (Lo Schiavo 2003; Cultraro 2006).
A Kommos (Creta) in un contesto del TM IIIB, sono state rinvenute ceramiche di impasto prodotte in Sardegna nel BR (Cultraro 2006).
A Cannatello (Sicilia) è attestata la presenza ceramiche prodotte in Sardegna nel BR e BF (Albanese Procelli 2006).
Nel poliandro Su Fraigu di San Sperate è stato ritrovato un sigillo vicino-orientale del XIII sec. a.C. (Lo Schiavo 2003).
Il punto di irradiazione della ceramica grigio ardesia (che si inquadra cronologicamente nel BR nuragico; Campus e Leonelli 2000; Lugliè 2005) è stato individuato nella costa anatolica e nel Dodecaneso (Cultraro 2006; Benzi 1992).
Le analisi chimiche eseguite sui lingotti di rame ox-side ritrovati in Sardegna e nel resto del Mediterraneo attestano che provengono dalla miniera di Apliki a Cipro (Gale 2003).
Nel BF le spade, le fibule, le asce, denunciano influenze sia iberiche che levantine (Lo Schiavo 2003; Lo Schiavo 2004).
Se non conoscessimo l’esistenza degli shardana attraverso le fonti egizie, avremmo preso atto delle influenze culturali egeo-anatoliche e ben difficilmente avremmo posto quelle influenze in connessione con la denominazione del nome dell’Isola.
Ma la questione non è eludibile. É doveroso cercare di capire se i nuragici fossero o non fossero gli shardana citati nei testi egizi.
Lilliu ha sostenuto che lo fossero, la gran parte dei suoi discepoli sono amorfi alla questione (come su tante altre), salvo Ugas che sostiene con forza l’idea che i nuragici siano gli shardana. Lo inviterei a riflettere su uno scritto di Lucia Vagnetti: «Moreover, in regard to the identification of the Sherden with warriors of Sardinian origin, a further difficulty arises from the almost complete lack of evidence for armor and weapons in Sardinia in the local Middle and Late Bronze Ages. Although this is admittedly an argumentum ex silentio, it is surprising that, if the Sardinian of the 14th century were renowned warriors enlisted in the service of Egypt, no trace of weaponry has been preserved in their supposed area of origin. If the warrior status had a particular importance for the Nuragic people, it should be visible in tombs» (Vagnetti 2000).
Mi pare che queste ragionate considerazioni oltre alla questione shardana, chiariscano che le terrificanti armi nuragiche del BM e BR sono esistite solo nella fantasia di Lilliu e continuano ad esistere in quella ancora più fervida di Ugas.
Recentemente Lo Schiavo ha timidamente proposto che i Tursha siano arrivati nel Nord e gli shardana nel Sud dell’Isola (Lo Schiavo 2003). Ma non è entrata nel merito della questione. Sembra che le poche righe dedicate all’argomento siano finalizzate a specificare che prende le distanze da coloro che individuano i nuragici negli shardana citati nei testi egizi.
Tra gli studiosi della preistoria del Mediterraneo la gran parte condivide e opera sulla scia della proposta di Sandars. Tra questi mi pare che la proposta più verosimile sia quella di Giovanni Garbini che individua nei fabbricatori della ceramica micenea l’insieme dei popoli del mare. Per lui le popolazioni egeo-anatoliche che arrivarono in Sardegna e si mischiarono con i nuragici bisognerebbe definirle come sarde-micenee, secondo gli altri (Lo Schiavo et Al. 2004; Ruiz-Galvez et Al. 2005; Cultraro 2006) erano cipriote e levantine.
Secondo me i nuovi arrivati si stabilirono in insediamenti costieri e da lì prese inizio una rete di rapporti economici infarciti da scambi culturali e matrimoniali. Con la mia proposta l’entità numerica delle genti egeo-anatoliche arrivate in Sardegna potrebbe essere inferiore a quella presupposta da altre ipotesi. Gruppi allogeni che conservano la propria identità negli insediamenti costieri, mantenendo stretti rapporti con la madrepatria, hanno una capacità di influenzare tecnologicamente e culturalmente gli indigeni in misura ben maggiore di quella che avrebbero degli allogeni mescolati con gli indigeni.
L’immigrazione ipotizzata da Garbini o dalla Lo Schiavo avrebbe nuragizzato gli allogeni piuttosto che produrre i cambiamenti che caratterizzano il BF della Sardegna.
Quei sardi citati nelle fonti egizie si stabilirono in Calaris&Company e meticciati con ilienses e balari, giocarono un ruolo di primissimo piano nei traffici del Mediterraneo occidentale.
Dopo questo tortuosissimo escursus, mi piace aggiungere che riconoscerei volentieri i nuragici come corrispondenti agli shardana se si riuscisse a spiegare in modo verosimile le seguenti obiezioni:
- dove sono i resti che testimoniano la tecnologia del bronzo nel BM;
- dove sarebbero le armi in stile nuragico;
- come si spiega che a partire dal XIII sec. a.C. la Sardegna diventa un ponte tra l’Occidente e l’Oriente del Mediterraneo;
- in che modo può essere motivata l’assunzione di metallurghi orientali a partire dal XIII secolo a.C. ;
- come mai le spade votive delle fonti sacre sono modelli di spade micenee;
- se l’Isola veniva denominata Sardinia già dall’epoca nuragica, come mai gli storici greci fanno “confusione” sul suo nome.
I nomi vanno e vengono. Interessante al riguardo il modo col quale vengono definiti e si riconoscono i barbaricini, cioè i più vicini discendenti dei nuragici.
Così come i barbaricini hanno accettato quel nome in quanto abitatori della Barbagia, non deve stupire che la totalità degli abitanti dell’Isola divennero sardi in quanto abitanti di Sardinia.
Nei tempi della conquista romana gli indigeni mastruccati ilienses, balari e corsi discendenti dei costruttori dei nuraghi, culturalmente appartenenti alle genti europee e mediterranee che tra il V e il II millennio a.C. hanno cavato, lavorato, sollevato, trasportato, innalzato, colossali macigni per costruire “macchine astronomiche” con funzioni funerarie o sacrali, divenivano agli occhi degli storici romani i sardi pelliti e in altre occasioni (più appropriatamente) ilienses, balari e corsi.
Quanto scritto sopra rappresenta una stringata sintesi di quanto discusso nel libro Archeologia del Paesaggio Nuragico.
A queste considerazioni aggiungo la seguente questione: se i nuragici fossero stati gli shardana citati dalle cronache egizie , dove sarebbero gli elementi che attesterebbero due secoli di rapporti (tra il XV e il XIII sec. a.C.) tra le due regioni?
É evidente che è più verosimile sostenere che Shardana giunsero nel Isola che poi da loro prese il nome nel XIII sec. a.C.

giovedì 27 settembre 2012

In Ricordo di Gianfranco



di Atropa Belladonna


L’ ho conosciuto per pochi anni, troppo pochi. Eravamo amici,lo siamo diventati in modo spontaneo e veloce. Aveva le qualità che più amo e mi affascinano nelle persone: un'intelligenza finissima, una mente connettiva e una grande umanità. Ha cementato il tutto la strana ed inspiegabile alchimia dell' amicizia. In più sapeva scrivere come pochi altri,in modo semplice ma non certo semplicistico, garbato ma incisivo.

Come si usa tra amici mi ha fatto, in questi pochi anni, regali preziosi: mi ha dato la possibilità di scrivere, il privilegio di leggerlo e mi ha concesso la sua fiducia affidandomi il blog,la sua "creatura", nei rari momenti in cui non poteva occuparsene di persona. Mi ha accolto in casa sua, abbiamo riso insieme e sofferto insieme per attacchi personali che definire vili è poco, che ci hanno sconfortato. Mi ha lasciato scrivere la recensione del suo libro "Sa Losa de Osana": non ne avevo mai scritto una, ma gli era piaciuta e lo aveva fatto sorridere.
Vorrei vedere il suo grande sogno realizzato, il bilinguismo. Vorrei che venisse non solo realizzato, ma ampliato al trilinguismo nei musei, e negli altri luoghi dove si raccontano la storia e la cultura della sua Terra: quando vi sbarcavo gli mandavo sempre un messaggio "Arrivata in Terrasanta!".
Ci siamo incontrati raramente, ma era contento di sapere che ero lì.
Vorrei che fosse intitolata a lui la sala del museo di Cabras dove verranno messe in mostra le sculture di Monti Prama, emblema antichissimo della Sardegna libera, indipendente, moderna ed internazionale che sognava.
In tanti hanno commemorato Gianfranco in questi giorni, tra i miei preferiti i bellissimi pezzi di Manuelle Mureddu e di Vito Biolchini, e i commossi contributi di Roberto Bolognesi. Mi hanno fatto piangere gli amici che gli hanno detto "Adiosu frade".
A me piace pensare che sia adesso nell'Intorno, come sempre penso della luce; non "lassù", perchè il Lassù è troppo lontano.
Arrivederci amico mio.

domenica 9 settembre 2012

Archeologia in Sardegna, quarant'anni di cattivi maestri


di Mauro Peppino Zedda


Recentemente Mauro Perra ha pubblicato un interessante articolo “Osservazioni sull’evoluzione sociale e politica in età nuragica” nella Rivista di Scienze Preistoriche LIX 2009, 355-368.
L’interessante articolo di Perra si presta ad una serie di interessanti considerazioni in relazione allo stato dell’arte dell’archeologia preistorica isolana.
A riguardo del modo in cui Perra interpreta la società nuragica, niente di nuovo rispetto a suoi precedenti articoli, e per la mia analisi critica della sua tesi rimando alla lettura di Archeologia del Paesaggio Nuragico.
Ma il suo articolo è estremamente interessante a riguardo dello stato dell’arte dell’archeologia preistorica isolana. Perra prima di proporre la sua teoria cita e fa l’analisi critica delle proposte che l’hanno preceduto. Cita (nell’ordine) Giovanni Lilliu, Vincenzo Santoni, Fulvia Lo Schiavo, David Trump, Alessandro Usai, Gary Webster, Luca Navarra, Paula Kay Lazrus, Dyson e Rowlands, Giovanni Ugas.
Come mai Mauro Perra non cita le pubblicazioni di Alberto Moravetti e Giuseppa Tanda ovverosia gli attuali professori ordinari delle Università di Sassari e Cagliari, e neppure i loro predecessori Ercole Contu e Enrico Atzeni.
Infine, in chiusura del testo scrive testualmente: “Dedico questo lavoro a Renato Peroni per il quale nutro un solo e sincero rammarico: quello di non essere stato un suo allievo. Sono inoltre in debito di riconoscenza agli amici e colleghi Giulio Angioni, Emily Holt, Fulvia Lo Schiavo, Alessandro Usai, nonché alla mia compagna Tatiana Cossu.”.
Che dire? Mi pare che il rammarico di Perra per non aver avuto Peroni come maestro e la contestuale mancata citazione dei suoi maestri sia sintomatica.
La mancata citazione di Atzeni, Moravetti e Tanda la comprendo appieno, nessuno dei tre ha proposto niente di interessante sui nuraghi, nella loro carriera si sono limitati a ripetere le teorie di Lilliu.
Viceversa ritengo che Ercole Contu meritasse di essere preso in considerazione, all’analisi del mondo nuragico ha dedicato un grosso libro e tanti articoli. Certamente le tesi di Ercole Contu non brillano in fatto di linearità (casca spesso in banali contraddizioni), ma questo non dovrebbe aver impedito la sua mancata presa in considerazione, le contraddizioni di Contu non sono certo più gravi di quelle in cui cade Lilliu.
Ercole Contu propone una società nuragica egualitaria, anche se spesso (senza accorgersi di cadere in contraddizione) cita dei re o reucci che nel suo schema non dovrebbero esistere.
Ma Lilliu non è da meno, riuscendo a conciliare il comunitarismo che a suo parere emerge dalle tombe di gigante con il verticalismo dei nuraghi.
Caro Mauro Perra, mi pare che Contu avrebbe meritato una citazione ben più sostanziosa dello spazio che hai dedicato alla tesi di Luca Navarra (uno che i nuraghi deve averli visti solo in fotografia).
Infine confesso che anch’io ho un grosso rammarico: gli studenti sardi di archeologia (negli ultimi 40 anni) avrebbero meritato dei migliori maestri.

giovedì 23 agosto 2012

Ancora sulle recenti considerazioni di Ugas


di Paolo Littarru


In merito alle considerazioni del Prof. Ugas, vorrei fare due ulteriori aggiunte:

1. Non corrisponde al vero che nei nuraghi “non si trovino oggetti connessi coi culti e con le offerte sacre di corredo sacro prima degli inizi del I Ferro”; come abbondantemente dimostrato dall’archeologo Augusto Mulas nel suo recente libro “L’Isola sacra – Ed. Condaghes”, l’abbondanza di reperti risalenti finanche al Bronzo Medio (periodo di presunta edificazione dei primi nuraghe), è rivelatrice di usi cultuali;

Inoltre, come ottimamente illustrato da Mauro Zedda in “Archeologia del paesaggio nuragico”, gli "indicatori archeologici" che deve presentare una struttura per poter essere interpretata come sacra, o meglio gli indicatori di un rituale, sono esposti in Renfrew e Bahn Archeologia. Teorie, metodi e pratiche ed. 1995 e 2006 Zanichelli e sono i seguenti
- concentrazione dell'attenzione

luogo caratterizzato da speciali associazioni naturali (es. grotta, boschetto, sorgente, cima di una montagna
posizione periferica rispetto ad un centro abitato
presenza di altari, seggi, focolorai, incensieri e tutti i parafernalia del rituale
simboli ripetuti "ridondanza"

- zona di confine tra il mondo di confine e l'aldilà

sia cerimonie pubbliche che misteri nascosti ed esclusivi la cui pratica si riflette nel luogo di culto
elementi di purificazione (es. piscine e bagni rituali; pozzi, l'aggiunta è una n.d.r.)

-presenza della divinità

immagini o rappresentazioni della divinità
simboli riferiti all'iconografia es. animali reali o mitici
simboli rituali riferiti a rituali funerari o altri riti di passaggio

- partecipazione e offerte

decorazioni o immagini che richiamino movimenti rituali o gesti di adorazione

il rituale può includere la danza, la musica etc.
sacrifici animali
cibi e bevande bruciate sparse
oggetti votivi rotti o nascosti
investimento di ricchezza nell'apparato cerimoniale e nelle offerte, oltre che nell'edificio stesso

In pratica solo pochi di questi indicatori saranno ritrovati in un contesto archeologico


Evidenzio che il testo degli archeologi inglesi vorrebbe essere di portata generale, riferibile cioè a tutti i contesti archeologici, senza esclusioni.
Nel BM ma ancor più nel BF molti di questi indicatori sono presenti nei nuraghi.

2. Non consta corrispondere al vero allo stato attuale delle conoscenze e salvo prova contraria che nei nuraghi si trovino armi risalenti al presunto periodo di edificazione dei nuraghe

domenica 22 luglio 2012

Ugas insiste... nel continuare a non capire


di Mauro Peppino Zedda


Ieri, nel blog gianfrancopintore, Giovanni Ugas ha replicato al post Caro amico ti scrivo…, ecco la mia ulteriore risposta.

Caro Giovanni Ugas,
non pensavo certo di offenderti nel dire che Tu e gli altri archeologi sardi (Alberto Moravetti, Peppina Tanda e tutti gli altri) continuate a non capire i risultati delle mie ricerche archeoastronomiche, quando scrivi “Infatti essendo numerosi, a migliaia, si troveranno sempre dei nuraghi, opportunamente scelti, disposti in modo tale da comporre tra loro tutte le più importanti costellazioni del firmamento visibili ad occhio nudo.”, dimostri di continuare a non capire, insisto nel ribadirlo perché non voglio assolutamente pensare che tu fai finta di non capire (i contenuti dei miei studi archeoastronmici) e che le tue osservazioni siano finalizzate a imbrogliare le carte.
Le mie carte sono chiare, sono state pubblicate come articoli scientifici (in prestigiose riviste scientifiche accademiche) e come monografie, ed hanno messo in luce che l’ingresso dei monotorre e delle torri centrali, le linee tangenti alle torri periferiche dei nuraghi complessi, la dislocazione dei nuraghi, risponde a criteri astronomici connessi coi solstizi e lunistizi. Inoltre i nuraghi oltre ad essere orientati e dislocati astronomicamente presentano dei casi in cui sono stati addirittura concepiti astronomicamente.
E tu che fai ? Banalizzi la questione, dimostrando di non capirla o facendo finta di capirla!
Caro Giovanni e mie carte sono così chiare che i maggiori archeoastronomi accademici del mondo hanno riconosciuto le mie tesi.
Tu e gli altri archeologi sardi avreste avuto il dovere di prendere atto del significato astronomico dei nuraghi almeno da quindici anni fa, cioè dal momento che i maggiori archeoastronomi accademici del mondo hanno preso atto della bontà delle mie proposte, io non voglio minimamente pensare che ancora oggi facciate finta di non capire, semplicemente non capite. Non capite nè il significato astronomico dei nuraghi, né che esistono i presupposti per accettarlo anche se non avete le conoscenze idonee a comprenderlo, visto che viene accettato dai più autorevoli archeoastronomi del mondo.
Tornando al significato dei nuraghi, nel mio Archeologia del Paesaggio Nuragico ho scritto che i nuraghi sono, ontologicamente, più vicini ai nostri campanili che alle nostre chiese.
Che i nuraghi siano torri non ho mai avuto il minimo dubbio, come sul fatto che dire torre non significa dire castello!!
Nella mia replica ti ho dimostrato che gli argomenti che a tuo parere indicano che i nuraghi siano fortezze, non sono validi (cfr post Caro amico ti scrivo…) e per approfondirli rimando ad Archeologia del Paesaggio nuragico.
Tu scrivi che “Zedda stesso ammette che nei nuraghi si accumulavano le risorse e che dunque implicitamente vi erano esigenze difensive; queste non potevano essere affrontate senza apparecchiature di difesa, cioè senza le torri dei nuraghi stessi.”. Scusa, ma non ho mai scritto, né detto, che nei nuraghi si accumulavano risorse!!!
I nuraghi hanno dei risibilissimi spazi interni e non credo proprio che siano confacenti ad ospitare genti normali (per viverci) o derrate alimentari. Diverso il discorso per le meigas, "equiparabili" alle nostre monache di clausura, ovviamente con differenti ruoli.
Certamente il dato di fatto, oltre al loro orientamento e dislocazione astronomica, è il fatto che quando la spiritualità nuragica ritorna iconica nel Bronzo Finale (per te nell’età del Ferro) i nuraghi vengono utilizzati come sacelli votivi, possibile che a te non sembra strano che migliaia di fortezze vengono in templi?
Come ti è possibile pensare che le migliaia di lillipuziane fortezze (orientate e dislocate astronomicamente) vengano trasformate in luoghi di culto?
Perché il loro cambio di destinazione d’uso avviene quando la spiritualità passa dall’aniconismo all’iconismo?
Perchè dei capi e dei guerrieri sui quali continui a fantasticare non c’è traccia né nei nuraghi né nelle tombe?
Considerando i dettami astronomici con cui sono stati costruiti i nuraghi, e valutando con attenzione che quando la spiritualità diventa iconica i nuraghi vengono utilizzati come sacelli votivi, è logico pensare che l’utilizzo dei nuraghi all’epoca della loro edificazione fosse nella sfera del sacro. Purtroppo è assai difficile stabilire i contenuti di una religiosità aniconica quale fu quella delle genti che li edificarono, certamente era una religiosità dove l’edificazione dei nuraghi aiutava ad “acquietare” tensioni relative allo spazio e al tempo, e su questo ha dato un ottimo contributo Franco Laner (cfr Accabadora, 1999, Sa ‘Ena 2011), e recentemente Arnold Lebeuf (L’osservatorio lunare di Santa Cristina 2012) dimostrando che i nuragici erano genti interessate a prevedere le eclissi.

mercoledì 18 luglio 2012

Caro amico ti scrivo ...

di Mauro Peppino Zedda

Il 17 luglio 2012, il blog gianfrancopintore , ha ospitato un articolo, Nuraghi, Shardana ed altre questioni, dell’archeologo Giovanni Ugas, il suo articolo contiene interessanti spunti di discussione, estrapolo alcune sue frasi, ma sarebbe importante andare a leggere l’intero suo articolo.
Ugas scrive: “Tra i nuraghi esiste una gerarchia di articolazioni (torri singole, bastioni pluriturriti, bastioni con cinta esterna turrita) che può essere spiegata in maniera soddisfacente soltanto presupponendo una parallela articolazione sociale. Soprattutto il numero limitato (soltanto una cinquantina tra le migliaia), dei nuraghi con bastione difeso da una cinta turrita esterna, che potevano ospitare una consistente guarnigione di soldati, presuppone l’esistenza di autorità gerarchicamente superiori di capi che stavano al vertice della comunità.
Ovviamente, in quanto residenze (fortificate) di capi, esattamente come i palazzi residenziali dell’Egeo e del Vicino Oriente, i nuraghi erano abitati e infatti vi si trovano i resti relativi alle diverse funzioni e attività quotidiane, quali le strutture per le riserve alimentari e idriche, avanzi di cibo e strumenti per ottenerlo, le armi dei guerrieri (frombolieri, spadaccini, arcieri, lancieri) e così via. Semmai come nei palazzi micenei e orientali, nei nuraghi poteva esserci un angolo di sacro (si pensi al megaron). Detto ciò, le persone che nonostante gli incontrovertibili dati della ricerca archeologica, insistono ciecamente nel ritenere che i nuraghi fossero templi dovrebbero cercare di rispondere, tra i tanti altri, a questi quesiti:
1) perché i nuraghi sono costruiti con torri culminanti con terrazzi sorretti da mensole come i castelli medioevali?
2) perché i nuraghi sono così differenti tra loro nell’articolazione?
3) per quale ragione il nuraghe di Su Nuraxi in Barumini, nel corso del Bronzo finale, fu rifasciato e l’ingresso fu trasferito dal piano terra a circa 7 metri d’altezza?
4) perché, se fossero templi, i nuraghi furono sistematicamente devastati e poi nel I Ferro non furono più costruiti ma semplicemente ristrutturati?
5) perché nei nuraghi non si trovano oggetti connessi coi culti e con le offerte sacre di corredo sacro prima degli inizi del I Ferro o (se si vuole per qualche archeologo) prima del Bronzo Finale, mentre all’opposto si trovano manufatti necessari per la sussistenza quotidiana e le armi? Ammesso che qualcosa fosse sfuggito agli archeologi, è impensabile che nei livelli del tardo Bronzo non abbiano visto nulla di afferente con la generale sacralità degli edifici.
Invero i sostenitori dell’equazione nuraghi=templi sono prigionieri di preconcetti teorici. Quanto all’orientamento, gli edifici sono disposti in modo da godere al massimo della luce e gli ingressi non volgono mai direttamente verso i quadranti notturni ed esposti al freddo. Tutto il resto è conseguente. Anche le case campidanesi di ladiri avevano gli ingressi verso la luce e il calore e di certo non erano certo templi. Ma se anche fossero orientati su particolari posizioni del sole, della luna e di qualche stella, può ben significare che i nuraghi erano sotto la protezione delle divinità che tali astri rappresentano, e non che essi erano templi di tali divinità. In età arcaica e classica, anche i reticolati geometrici delle città (Marzabotto, città romane etc.) rispecchiano determinati parametri astrali e nessuno si sogna di dire che erano templi. Tutt’al più questi studi sono utili per risalire al grado di conoscenza degli astri dei nostri antenati e alla identificazione di qualche culto. E’ ben noto, al riguardo, che il culto della luna, del sole e di qualche stella era già praticato in età prenuragica
.”.

Mi pare corretto rispondere ai cinque punti segnalati da Ugas, dunque:
1) le mensole oltre che nei castelli sono presenti sia nelle chiese che nei campanili medievali, ma aggiungerei anche nei minareti musulmani e negli edifici sacri indù, la presenza di mensole in un edificio non è la prova che l’edificio sia una fortezza.
2) La differente articolazione costruttiva non significa che essi siano edifici fortificati, anche le chiese cristiane in ogni epoca presentano differenti articolazioni legate al rango della sede o alle risorse delle comunità.
3) Il rifascio di Barumini, ammettendo e non concedendo che la chiusura dell’ingresso a terra e la sua sopraelevazione sia stata eseguita per motivi difensivi (ritengo che anche il rifascio e l’innalzamento dell’ingresso a 7 metri sia stato eseguito per motivi religiosi (vedi Archeologia del Paesaggio nuragico, 2009)), questo dato dovrebbe interpretato come l’adeguamenndo a fini difensivi di una struttura che originariamente aveva un’altra funzione, perché sopraelevare l’ingresso se in migliaia di altri casi (a parere degli archeologi) essi sarebbero stati idonei a impedire l’ingresso dei nemici. In realtà gli ingressi dei nuraghi non sono idonei a essere interpretati come ingressi di edifici fortificati, solo con la fantasia degli archeologi imposta come un dogma ex-cattedra, si è potuta veicolare questa grossolana sciocchezza! E il rifascio di Barumini, se anche si stabilisse che è stato fatto per motivi difensivi, sarebbe un indizio che i nuraghi non sono idonei alla difesa! D’altrronde abbiamo tanti esempio di edifici sacri trasformati in fortini.
4) Di nuraghi a partire dal Bronzo Finale non se ne costruiscono più, ma non è questa una ragione per asserire che non fossero edifici sacri.
5) Ugas riconosce che a partire dal I ferro per lui e a partire dal Bronzo Finale (per altri archeologi) nei nuraghi vi sono i segni evidenti di un loro uso nella sfera del sacro. Ugas immagina che nel I Ferro i nuraghi vengono trasformati da fortezze in templi. Purtroppo Ugas dimostra di non conoscere i caratteri della religiosità e della spiritualità nuragica ante il Bronzo Finale, non riesce a vedere che a cavallo del Bronzo Finale si è svolta una radicale trasformazione dei caratteri della religiosità nuragica, finisce l’aniconismo e si passa all’iconismo (vedi Archeologia del Paesaggio Nuragico, 2009).

Riguardo alle sue confuse argomentazioni in relazione al significato astronomico dei nuraghi. Dopo vent’anni dal mio primo libro Ugas continua a non capirci niente, mentre il mese scorso una delle editrici più importanti al mondo (la Springer) mi ha chiesto di fare un capitolo sui nuraghi per un loro libro di archeoastronomia (Handbook of Archaeoastronomy and Etnoastronomy, Editor CLive Ruggles). Nel mentre che i più autorevoli studiosi accademici di archeoastronomia riconoscono la validità dei miei studi, gli archeologi sardi continuano a non capirne niente!!
Caro Giovanni Ugas perché a te e agli archeologi sardi è così difficile capire che la forma triangolare del nuraghe Losa è figlia di un pensiero astronomico, che ci si trova di fronte ad un mastro costruttore che voleva incardinare la sua struttura lungo gli assi solstiziali e non solo orientarla astronomicamente come nel caso del nuraghe di Barumini e di tutti gli altri nuraghi?
Caro Giovanni Ugas perché a te e agli archeologi sardi è così difficile capire (ripetere serve, spero) che i nuraghi della valle di Brabaciera (e altri ) sono disposti sul territorio secondo allineamenti coincidenti con le linee solstiziali e lunistiziali?
Caro Giovanni Ugas perché a te e agli archeologi sardi è così difficile prendere atto di quanto la comunità scientifica mondiale ha sentenziato sul significato astronomico dei nuraghi?






domenica 15 aprile 2012

Sassu Sorres

di Mauro Peppino Zedda

La parola Sorres (sorelle), caratterizza il nome di una delle più belle chiese romaniche della Sardegna, San Pietro di Sorres, che fu sede del vescovo della diocesi di Sorres.
Il nome Bidda ‘e Sorris caratterizza anche il paese che in italiano suona come Villasor.
Recentemente Augusto Mulas in coda ad un bel saggio di archeologia, L’Isola Sacra - Ipotesi sull’utilizzo cultuale dei nuraghi, dove si mette in luce come i reperti che si rinvengono nei nuraghi attestino un loro uso cultuale, prospetta l’ipotesi che il nuraghe Santu Antine di Torralba e i nuraghi ad esso circonvicini siano una rappresentazione delle Pleiadi.
I Nuraghi che secondo Mulas rientrerebbero nello schema sono: Cabu Abbas, Santu Antine, Oes, Balzalzas, Fraigas, Longu, Curzu. Che risultano reciprocamente disposti, come le stelle Atlante, Alcione, Merope, Elettra, Celeno, Taigete, Asterepe.
Le Pleiadi sono un ammasso stellare, facente parete della costellazione del Toro, che occupa lo spazio di un disco solare, una persona con vista normale, ad occhio nudo, può distinguere 5-6 stelle di quell’ammasso, un persona con un ottima vista può osservarne 8 o 9.
Che le Pleiadi siano entrate a far parte del patrimonio culturale dell’umanità è cosa nota, sono state utilizzate per millenni come punto di riferimento per orientarsi per mare e per terra, il loro sorgere e tramontare eliaco era utilizzato a scopi calendariali dagli agricoltori e dai pastori.
Le Pleiadi sono entrate nelle mitologie e cosmologie di tantissimi popoli di ogni angolo del mondo.
La “costellazione” delle Pleiadi sarebbe, secondo Mulas, stata rappresentata nel territorio compreso tra Torralba e Giave, nell'area comprendente le località di S’Archimissa, Sos Poios, Mesu e Gambas, Paule e S’Ittiri e Sassu Sorres.
Paule s’Ittiri indica un luogo palustre, Mesu e Gambas indica un luogo palustre dove l’acqua arriva a mezza gamba, Sos Poios indica un luogo dove si ritrovavano olle, S’Archimissa è il nome sardo della lavanda, e Sassu Sorres significa “pietra sorelle”.
Cosa ci vuol indicare il nome del luogo Sassu Sorres? Chi sarebbero queste sorelle? Forse le Pleiadi figlie di Atlante?
Certamente è singolare che nell’area in cui Mulas indica che un gruppo di nuraghi ricalca la disposizione delle stelle considerate come le figlie di Atlante, vi sia un toponimo come Sassu Sorres.
Altrettanto curioso il fatto che l’area facesse parte della diocesi di Sorres e che la sede del vescovado fosse a soli 4 chilometri dal Santu Antine.
Nello schema individuato da Mulas il Santu Antine corrisponderebbe alla stella più luminosa, Alcione.
Lo schema indicato da Mulas riflette con sufficiente approssimazione (immaginate la difficoltà di inquadrare 8-9 stelle nel ridotto spazio equivalente ad un disco solare) la disposizione delle stelle facenti parte delle Pleiadi, ma manca il nuraghe che avrebbe dovuto rappresentare Maia.
Per un’ottimale rappresentazione delle Pleiadi, avremo dovuto trovare un nuraghe, situato, pressappoco, a metà strada lungo la linea che intercorre tra il Santu Antine e Longu.
In quell’area vi è una cava di pietre e non ci sarebbe da stupirsi se la cava fosse sorta nei pressi del nuraghe mancante. Tantissimi nuraghi sono stati fatto oggetti di spogli più o meno intensi ed era prassi normale (sino a 40 anni fa) localizzare le cave o nei pressi di un nuraghe o nei pressi di domus de janas a seconda del tipo di materiale lapideo che serviva.
Sicuramente la proposta di Mulas, tutta da valutare, apre nuovi interessantissimi scenari alle ricerche archeoastronomiche.