venerdì 28 gennaio 2011

Una replica a Massimo Pittau

di Mario Alinei

Il collega Pittau, il 20/1/2011 su questo blog ha giudicato "un disastro" il capitolo da me dedicato alla Sardegna nel secondo volume delle mie Origini (1997-2000). Ciò che mi dispiace soltanto perché, dieci anni dopo (!) la pubblicazione, e circa quindici dopo la concezione, mi costringe a fare qualcosa che, come diceva Sartre, a nessun autore piace molto: rileggere a distanza di tempo una propria opera. Per di più, essendo io divenuto, dieci anni dopo, ormai abbastanza anziano, non avrei neanche il tempo per riscriverlo, quel capitolo, o per modificarlo, se la sua critica mi spingesse a farlo. Per mia fortuna, la sua critica non ha prodotto questo risultato. Mi limiterò quindi a rispondere alle sue otto "obiezioni di fondo", per chiarire alcuni punti e porgli, a mia volta, qualche interrogativo.
1) Pittau ritiene che io non abbia una "competenza sufficiente per immischiar[m]i e discutere di questioni archeologiche, che partono addirittura dal Mesolitico … o anche dal Neolitico». Per di più, valendomi di Lilliu, «del quale molti Sardi sanno che ha preso grossi abbagli, l'uno più grande dell'altro». Noto una duplice contraddizione: da un lato io, linguista, non avrei il diritto di immischiarmi in questioni archeologiche, mentre lui, linguista come me, avrebbe il diritto di giudicare severamente un rinomato ed autorevole archeologo? Inoltre, lo stesso Pittau dimostra di tenersi criticamente aggiornato sulle ricerche di geo-genetica, ed usa costantemente i nuraghi – cioè monumenti archeologici, e non linguistici – come punto di riferimento per le sue teorie. Come la mettiamo? Per di più, io credo che un linguista abbia non solo il diritto, ma il dovere di allargare i propri orizzonti in tutte le direzioni che gli sembrano opportune per l'approfondimento delle proprie conoscenze.
2) Come la maggioranza dei linguisti, anche Pittau non crede che a linguistica possa andare indietro nel tempo. Come la maggioranza dei linguisti, tuttavia, a mio avviso sbaglia: da attivo etimologo, quale è, Pittau dovrebbe rendersi conto, anche teoricamente e metodologicamente, dell'enorme valore che si nasconde nell'etimologia delle parole per la datazione del lessico. Parole latine come delirare 'uscire dal solco dell'aratro', o egregius, in origine 'che esce fuori del gregge', o parole italiane dialettali come mazza 'vomere dell'aratro', ed innumerevoli altre che ho elencato in tanti miei lavori, non possono essere di epoca romana, ma devono risalire, rispettivamente, alla scoperta dell'agricoltura, a quella dell'allevamento, e all'aratro di legno, cioè al Neo-Calcolitico. Evidentemente, Pittau non conosce la mia teoria dell'autodatazione lessicale, basata sul primato, nell'etimologia, dell'iconimo, o motivazione etimologica, e del suo rapporto con il significante ed il significato. Posso solo invitarlo a leggere il mio ultimo libro, Origine delle parole (2009), oltre che i miei numerosi articoli sull'argomento. A mio avviso, non si dovrebbe giudicare un autore senza conoscere le sue opere principali.
3) Pittau mi rimprovera aspramente (e, di nuovo, troppo frettolosamente) per avere scritto «i Barbaricini (cioè i Sardi mai romanizzati)» (p. 650), ritenendo che con questo io volessi negare la latinità della Barbagia. Ma non ho mai pensato, né tanto meno scritto, una cosa simile! Ho semplicemente fatto uso di una espressione della vulgata, con tanto di citazione da Gregorio Magno, per parlare dell'antico culto delle perdas fittas. Di nuovo, una lettura più attenta gli avrebbe risparmiato questo errore di giudizio.
4) Pittau mi rimprovera un'altra cosa che non ho mai né pensato né scritto, e cioè di negare l'esistenza della romanizzazione. E di far risalire tutto ciò che è latino al Neolitico. Assolutamente falso. Nella mia teoria c'è, sì, una prima latinizzazione, che risale al Neolitico, ma anche una seconda che risale alla romanizzazione. L'ho scritto innumerevoli volte nella mia opera, e l' ho ripetuto anche nel capitolo sulla Sardegna. Di nuovo, la lettura di Pittau si dimostra inaccurata.
5) Pittau si dichiara «esterrefatto» perché sostengo che la divisione dialettale della Sardegna, fra Gallurese- Sassarese, Nuorese-Logudorese e Campidanese, sarebbe già riconoscibile nel Neolitico, e mi invita a dimostrarlo. Non ce n'è nessun bisogno: credo di averlo già fatto, e proprio nel capitolo da lui criticato, in cui sono illustrati tutti gli elementi – archeologici, geografici e cronologici – atti a sostenere la tesi. Rilegga quindi più attentamente il mio capitolo, e si aggiorni sulle culture archeologiche da me illustrate: evidentemente, la sua cultura archeologica si ferma all'età nuragica. In effetti, non solo il capitolo sulla Sardegna, ma l'intera mia opera delle Origini si basa su una buona conoscenza della preistoria europea, e mira a dimostrare la continuità delle aree etnolinguistiche europee dal Neolitico in poi, basandomi sulla precisa convergenza delle aree linguistiche (e dialettali) europee con quelle archeologiche.
6) Per quanto riguarda la presenza dei Celti in Sardegna non basta dire "non convincente" per demolire una tesi.
7) Ammetto l'imprecisione, nell'aver definito Sassari “centro di diffusione linguistica” (pagg. 680-681).
8) Capisco che ricondurre nuraghe a nura 'nuora' possa sembrare "umoristico", fuori del contesto in cui ho posto la mia etimologia. Ma anche per questo punto, rileggendo a distanza di anni il mio testo, trovo che vi siano sufficienti argomenti che giustificano l'ipotesi. Ovviamente, per usare due miei neologismi, un'etimologia è molto più spesso un'etimotesi, cioè un'ipotesi di lavoro, che non un'etimografia, cioè una tesi dimostrabile con argomenti inoppugnabili. Anche l'etimologia di nuraghe proposta da Pittau è un'etimotesi, e non una etimografia. Ora, confrontare due diverse etimotesi, e decidere quale delle due sia migliore, non è mai un esercizio facile: non lo è neanche in questo caso. Auguriamoci che la ricerca ulteriore possa decidere quale delle due abbia più senso.
Alla fine della mia replica, dato che solo una (la meno importante, e in sé trascurabile) delle sue otto "obiezioni di fondo" Pittau si dimostra giustificata, potrei dire che "un disastro" si adatta forse più alla sua lettura del mio capitolo, che non al mio capitolo stesso; ma preferisco suggerire, al mio collega, una maggiore attenzione per quello che legge e per il suo autore.

3 commenti:

  1. riceviamo dal Prof. Pittau:
    (parte 1 di 2)

    Riconosco che ha una certa ragione il prof. Alinei ad esprimere il suo disappunto per il fatto che io ho mosso critiche a una sua opera che risale a 10 anni fa; ma io ne ho già spiegato l’esatto motivo: io intendevo sorvolare sul capitolo che egli ha dedicato alla lingua sarda - che respingo totalmente – ma poi ho deciso di intervenire sull’argomento per il motivo che vado constatando che le sue tesi sono attualmente messe in circolazione in Sardegna da alcuni personaggi, sia pure non specialisti in linguistica sarda e neppure in linguistica in generale. Si chieda il collega Alinei se potevo restare indifferente di fronte al fatto che uno di questi personaggi, in virtù delle sue tesi, ha scritto all’ONU per chiedere di togliere alla Regione Sarda il diritto di legiferare in Gallura in tema di lingua e qualche altro intende chiedere l’indipendenza della Gallura dalla Sardegna...

    1) Venendo ai singoli punti da me tracciati e seguiti dal prof. Alinei, gli spiego e preciso che io non mi sono mai atteggiato ad “archeologo”: io infatti non ho mai fatto scavi, non ho mai interloquito in questioni propriamente “archeologiche”, però ho sempre seguito con attenzione ciò che gli archeologi andavano scrivendo intorno alla civiltà nuragica. Rispetto al problema fondamentale e cruciale della “destinazione o funzione dei nuraghi” io non ho fatto l’archeologo, mentre sono intervenuto facendo perno sulla sola razionalità o sul semplice buon senso. Non occorre essere archeologi né avere una profonda conoscenza delle cose militari per notare quanto sia anacronistico - per non dire umoristico - l’uso di parole e di espressioni tipiche dell’arte militare dei tempi moderni e contemporanei, che sono state invece riferite ai tempi della civiltà nuragica e con riferimento al Nuraxi di Barumini:

    «proiettili, proiettili di grosso calibro, missili, missili incendiari, munizioni, batterie, batterie d’assedio, batterie di fortini, tecnica della batteria, bocche d’arco, bocche di lancio, bocche da tiro, cortine, cortine frontali, tiro incrociato delle feritoie, piazzola di tiro, centrale di comando delle operazioni di tiro, centrale di tiro e di comando»...

    Ed io nella mia opera “La Sardegna Nuragica” (pg. 17), ho commentato: «Di fronte a questo sfoggio di aggiornata terminologia militare modernissima, l'unico dubbio che verrà al lettore sarà quello di sapere se i “proiettili” che adoperavano i Nuragici erano a testata nucleare oppure all'uranio impoverito».

    Questa mia fortunatissima opera - uno dei libri più letti in Sardegna (I ediz. 1977, V ristampa 1988, II ediz. 2006, ormai esaurita) - è basata solamente su argomenti di buon senso e inoltre su considerazioni di carattere storico. Ad es. ho fatto notare che Diodoro Siculo (IV 30, V 15, 2) definisce i nuraghi «templi degli dèi» e questo gli archeologi sardi lo ignorano.

    In questa mia opera io non ho fatto l’”archeologo”, mentre ho fatto lo “storico”, proprio come fanno tutti i glottologi che si buttano nella direzione diacronica o storica della ricerca. Inoltre ho fatto esattamente il linguista, quando ho precisato che nella lingua italiana la custodia dei pugnali si chiama, non “faretrina”, bensì “fodero” o ”guaina”, mentre la “faretra” era la custodia delle frecce (pg. 16).

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  2. riceviamo dal Prof Pittau:
    (parte 2 di 2)

    2) Scrive testualmente l’Alinei: «A mio avviso, non si dovrebbe giudicare un autore senza conoscere le sue opere principali». Ed io rispondo che almeno la sua “Origine delle lingue d’Europa” – II, ho dimostrato di conoscerla, mentre lui ha dimostrato di non conoscerne nessuna mia, dato che nessuna ne ha mai citato neppure in bibliografia.

    3) La frase “i Barbaricini (cioè i Sardi mai romanizzati)” l’ha scritta tale e quale l’Alinei, senza nessuna attenuazione e non valgono per nulla le attenuazioni che egli ha tentato di aggiungere nella sua risposta. Ebbene, questa frase è contraddetta totalmente dalla linguistica, dalla storiografia e dalla archeologia.

    4) Sì, l’Alinei l’ha scritto parecchie volte che in Sardegna c’è stata “una prima latinizzazione, che risale al Neolitico”, ma egli non l’ha dimostrata mai, proprio come non ha mai dimostrato una tale “prima latinizzazione” per l’intera Romània.

    5) La distinzione linguistica fra Nuorese, Logudorese e Campidanese è fondata su chiare e accertate distinzioni diacroniche e geografiche del latino parlato a Roma e in Africa settentrionale, distinzioni che invece l’Alinei non ha per nulla fornito per il Neolitico. E sorvolo sul gallurese-sassarese, le cui prime attestazioni storiche risalgono appena al XIV secolo dopo Cristo. Come dimostra in maniera del tutto chiara il bellissimo «Condaghe di San Pietro di Silki», in epoca medioevale a Sassari si parlava il logudorese di forma arcaica, quasi del tutto uguale al Nuorese odierno.

    6) I linguisti specialisti che hanno approfondito l’argomento del sostrato prelatino esistente in Sardegna sono Max Leopold Wagner, Johannes Hubschmid e Massimo Pittau: ebbene nessuno di questi ha mai parlato di un solo relitto celtico esistente in Sardegna.

    7) L’Alinei ha accettato la mia obiezione sul fatto che Sassari non è mai stato un “centro di diffusione linguistica”, come dimostra il fatto che tutti i paesi che gli stanno attorno, anche quelli vicinissimi, parlano il “logudorese” e nient’affatto il “sassarese”. Io però sono caduto in una svista: esiste un paese vicino in cui si parla il sassarese, Sorso.

    8) Dunque l’Alinei non diceva una barzelletta, ma esponeva una sua tesi seria, quando ha scritto che “nuraghe” deriva da “nura” «nuora».

    E anche questa volta ha dimostrato di non avere letto quanto io ho scritto sulla etimologia di questo appellativo in tre miei scritti, che pure gli avevo segnalato. È l’Alinei dunque che si deve informare prima di intervenire e obiettare ad un suo collega.

    Massimo Pittau

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  3. Nello scusarmi per il mio tardivo intervento (solo oggi, purtroppo, scopro questo interessantissimo forum), vorrei proporre un commento sulla discussione Alieni/Pittau; ed è il seguente.
    È meglio avere vagamente ragione piuttosto che precisamente torto, diceva un saggio; e in tutta questa diatriba tra Alieni e Pittau a me pare che entrambi abbiano "vagamente ragione", il che mi sembra comunque un buon risultato se confrontato con quanto tanti accademici tromboni (specie isolani, qualcuno perfino "linceo") hanno sostenuto per anni a proposito della preistoria della nostra isola. Su due punti però Pittau ha precisamente torto: 1) qualche indizio dell'influsso celtico sul sardo antico c'è, eccome! 2) una continuità paleolitica in Sardegna è dimostrata, almeno in ambito "folklorico", da qualche ricerca che i nostri professoroni fanno di tutto per nascondere (dovrebbero, ahiloro, dedicarsi a riscrivere più di una pagina dei loro manuali inutili basati su teorie ottocentesche infarinate con nuovi argomenti). Insomma, tra i due anziani linguisti il più "giovane" e aggiornato mi pare sia proprio l' Alieni.

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