di Massimo Pittau
Mi fa piacere presentare Le conclusioni culturali e storiografiche del mio ultimo libro "Gli antichi Sardi fra i “Popoli del Mare”», Domus de Janas, Selargius (CA) 2011.
Noi moderni dunque abbiamo di fronte una massa imponente di connessioni archeologiche e culturali, che legano strettamente l’antica isola di Sardegna all’antica civiltà egizia. Di fronte alle quali connessioni ci sembra che le deduzioni logiche che se ne debbano trarre siano le seguenti:
I) Questo materiale egizio - ed eventualmente egittizzante - non può essere stato importato in Sardegna dagli antichi Egizi, dato che è del tutto certo storicamente che questo popolo non ha mai espresso una politica imperialistica marittima e nemmeno un’ampia attività commerciale nel Mediterraneo e tanto meno nel Mediterraneo centro-occidentale.
II) Questo materiale egizio non può essere stato importato in Sardegna dai Fenici, sia perché numerosi elementi di quel materiale hanno una datazione precedente di alcuni secoli all’arrivo dei Fenici in Sardegna (fine del IX, inizi dell’VIII sec. a. C.), sia per il loro carattere culturale prevalente.
Il carattere culturale prevalente è senza alcun dubbio quello “religioso”, ragion per cui, avendo i Fenici una loro “religione fenicia” differente dalla “religione egizia”, non si capirebbe per nulla il fatto che essi avessero fatto gli esportatori e i “propagandisti” in Sardegna di una religione differente da quella loro nazionale. È ben vero che i “commercianti” – e i Fenici lo erano in maniera preminente – non hanno mai sentito “puzzare” i soldi guadagnati da una qualsiasi merce venduta, ma il fatto è che il tabù religioso nell’antichità era molto più forte di adesso, per cui allora molto meno di adesso “si scherzava coi santi”, ossia col materiale religioso e le credenze che vi erano annesse.
Nella supposizione pertanto che avessero assunto la parte e la funzione di “propagandisti religiosi”, perché i Fenici non avrebbero importato in Sardegna esclusivamente la loro “religione fenicia”?
(E tutto questo contribuisce a ridimensionare notevolmente la presenza dei Fenici in Sardegna, presenza che invece i “feniciomani” nostrani avevano enfatizzato in misura spropositata).
III) Non resta altra soluzione: il ricco materiale egizio di carattere religioso, assieme con la religione egizia corrispondente, sono stati importati in Sardegna dai Sardi stessi, a iniziare dall’epoca della loro partecipazione alle imprese dei “Popoli del Mare” in Egitto (fra il 1230 e il 1170 a. C. circa). Come abbiamo accennato in precedenza, dopo quelle imprese, i Sardi non avranno interrotto i loro rapporti con quello che era il paese più ricco e più civile di tutto il bacino del Mediterraneo, ma anzi li avranno mantenuti a lungo, di secolo in secolo, anche nell’epoca della presenza nell’isola dei Fenici e pure dei Cartaginesi. In quest’ultimo periodo, sì, si può accettare che i Fenici e perfino i Cartaginesi siano diventati i prevalenti “vettori” del materiale egizio in Sardegna; ma questo essi facevano in quanto trovavano nei Sardi dei buoni acquirenti, soprattutto quei Sardi che continuavano a vivere nelle città sardo-puniche di Caralis, Bitia, Nora, Sulcis, Tharros, ecc.
Dunque l’interesse per l’Egitto e la sua splendida civiltà da parte degli antichi Sardi è iniziato all’epoca della loro partecipazione alle imprese tra i “Popoli del Mare”, ma è continuato di secolo in secolo fino a tempi molto recenti, sino all’epoca della dominazione romana, come fanno intendere non pochi reperti egizi rinvenuti in Sardegna.
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