Il
29 novembre scorso ho partecipato al convegno "la misura del tempo " a
Sassari, organizzato per il settimo o ottavo anno consecutivo dal
Circolo Aristeo e dalla società Astrofila Turritana. Gran parte degli
interventi non aveva nulla a che vedere con l'archeoastronomia e
pertanto era con tutta evidenza fuori tema. Un intervento mi ha colpito
in particolare, quello di Michele Forteleoni su un fantomatico
calendario stellare nuragico. In 30 anni circa in cui mi sono occupato
di archeoastronomia, non avevo mai sentito una proposta di tale
imbarazzante, superficialità.
Dal 2011 gli organizzatori dei convegni dichiarano l'internazionalità dei loro studi senza che una sola riga delle loro proposte sia stata pubblicata in riviste scientifiche del settore.
Dal 2011 gli organizzatori dei convegni dichiarano l'internazionalità dei loro studi senza che una sola riga delle loro proposte sia stata pubblicata in riviste scientifiche del settore.
Ma
come si sono rapportati gli archeologi sardi al crescente interesse verso
l’archeaostronomia, approdata per mia iniziativa anche su alcuni quotidiani
locali?
Nel
2011 il Circolo Aristeo (nella persona dell’archeologa Simonetta Castia) in
collaborazione con la Società astronomica Turritana (gli astrofili Michele
Forteleoni e Gian Nicola Cabizza) ha avuto un approccio quantomeno originale
all’argomento dell‘archeoastronomia, fingendo di ignorare la risonanza mondiale
degli studi di archeoastronomia di Mauro Zedda, eludendo completamente il
corpus di pubblicazioni esistente sul tema ed organizzando nel 2011 il Primo convegno nazionale di archeoastronomia
in Sardegna (ignorando totalmente tutti i precedenti di cui si è detto,
alla presenza di figure, peraltro, ben più prestigiose). In nota riportiamo
l’altisonante comunicato stampa.[1]
È
interessante notare come il Rettore dell’Università di Sassari, probabilmente
riferendosi agli studi di Mauro Zedda, sui quali era certamente informato,
abbia messo in guardia da un eccesso di
prudenza verso «un approccio capace di gettare nuova luce su questioni
assai dibattute».
L’importanza
dell’archeoastronomia e l’eccesso di
prudenza che l’ha accompagnata viene colta in pieno, quasi con le parole di
Kuhn, proprio dal Prof Mastino, storico romanistico e non archeologo in senso
stretto e pertanto estraneo al paradigma dominante. Un allievo del prof. Lilliu,
nel frattempo divenuto ordinario Alberto Moravetti, del cui sarcastico
approccio all‘archeoastronomia abbiamo parlato in precedenza, auspicava invece
ora un approccio congiunto per
evitare il pericolo dell’autoreferenzialità
ed anche in questo passaggio pare lampante un’allusione agli studi
dell’autodidatta (ma per nulla autoreferenziale!) Mauro Zedda, contro cui aveva
scagliato i suoi strali in precedenza.
Come
definire se non proprio come autoreferenziale
invece la chiusura localistica degli archeologi sardi all’apporto degli
archeastronomi britannici Michael Hoskin e Clive Ruggles, quest’ultimo
addirittura archeologo preistorico?
L'archeologa
Castia li menziona però nel testo introduttivo «non è poi così difficile
immaginare la rilevanza che rivestiva, nella quotidianità, l'osservazione
diretta dei fenomeni celesti. Sono utili per una migliore comprensione le
parole di Clive Ruggles, il padre dell'archeoastronomia»[2].
Non
pare condivisibile l’affermazione secondo cui Ruggles sarebbe il padre dell'archeoastronomia, anche se
certamente è uno dei più autorevoli studiosi della materia, ma appare singolare
che la dottoressa Castia abbia citato come riferimento scientifico lo stesso
Ruggles che aveva accolto favorevolmente gli studi di Mauro Zedda da almeno
dieci anni e che continuerà a frequentare la Sardegna negli anni successivi per
valorizzare gli studi dello stesso Zedda, ma anche degli studiosi da lui
coinvolti come Hoskin, Belmonte e Lebeuf.
G.
Cabizza (fisico) e M. Forteleoni (astrofilo) esposero in quell‘occasione gli
esiti di uno studio sull'orientamento di 156 domus de janas[3].
A
corredo dell'articolo vi era un apparato bibliografico veramente modesto, senza
alcun riferimento agli studi risalenti a quasi un decennio prima, quasi a
disconoscere perfino l’esistenza.
Tentando
di non cadere nell’eccesso di tecnicismo, pare opportuno esprimere qualche
ulteriore considerazione sullo studio, in quanto rivelatore dello status di
neofiti dei suoi redattori in materia di archeoastronomia.
I dati
relativi all'orientamento delle domus, infatti, mancano dell'altitudine e della
declinazione, essenziali per coglierne il senso astronomico, come Mauro fece
notare nel corso del convegno. Ma a una più attenta lettura dello studio, è
possibile notare che l'azimut riportato non sia il vero azimut geografico ma un
azimut corretto a seconda delle
altezze dell'orizzonte (La misura è stata ripetuta più volte e successivamente
corretta in base alla declinazione magnetica dei luoghi, e all'altezza
dell'orizzonte visibile). In altre parole quando l'orientamento presentasse un
azimut geografico di 122° con 3° di altezza loro nei dati avrebbero riportato
un azimut corretto di 125°.
Oltre
alla errata o quantomeno inusuale indicazione dei dati di misura, l’articolo
dimostra perfino confusione nell'indicare i dati azimutali dei lunistizi
settentrionali e meridionali (i dati di riferimento sono invertiti e come
vedremo non si tratta di un refuso).
L'assenza
dell'altitudine e della declinazione nei dati esposti, la confusione sui
lunistizi, unita ad un apparato bibliografico assolutamente inadeguato, lo fa
apparire come un autoreferenziale lavoro di principianti. Insomma il primo
studio con cui un’archeologa sarda si affacciò maldestramente
all’archeoastronomia, pare un tentativo di chiudere il recinto quando i buoi
sono scappati, ignorando totalmente 20 anni di studi pregressi di Mauro Zedda e
presentando lacune che quasi certamente non avrebbe superato il referaggio di
alcuna rivista scientifica della materia.
L’intento
pare oggi molto chiaro: introdurre tardivamente l’archeoastronomia sorvolando
sul ventennale lavoro già esistente in materia. Lo studio fu condotto con fondi
pubblici regionali [4].
Nel
2012 si svolse, sempre a Sassari il secondo convegno organizzato dal Circolo
culturale Aristeo La Misura del tempo[5].
Gli atti furono editi a dicembre 2013 in occasione del terzo convegno che si
tenne congiuntamente a quello della Società Italiana di Archeoastronomia a cui
partecipò anche Mauro Zedda.
Nel
2013 si celebrò a Sassari il terzo convegno del Circolo Aristeo La Misura del tempo al quale venne
accorpato il convegno annuale della Società Italiana di Archeoastronomia.
Il
convegno veniva qualificato dagli organizzatori come internazionale, sebbene non fosse presente neppure uno straniero tra
i relatori e nonostante le scarse citazioni di studiosi esteri in bibliografia.
Tra
tutti, una citazione sarebbe stata sicuramente dovuta a Michael Hoskin, a
proposito della descrizione che Castia et al. forniscono delle tecniche di
misura in archeoastronomia:
La scelta per lo strumento di misurazione è caduta
sulla bussola, invece del teodolite o del Gps topografico – che garantirebbero
elevate accuratezze inferiori al secondo d'arco, - per il fatto che le domus
sono monumenti preistorici realizzati con tecniche di lavorazione spesso non di
precisione e che oggi versano in gran parte in cattivo stato di conservazione.
La determinazione del dato da rilevare non è infatti
sempre univoca e l'errore generato dalla scelta soggettiva della direzione è
ben superiore a quello prodotto dal fatto di non aver utilizzato una
strumentazione di alta precisione.
Il
concetto, riportato tra le righe dell’articolo di Castia et al. è infatti
ripreso quasi testualmente da diverse pubblicazioni di Michael Hoskin a partire
dagli anni novanta, che sulla questione criticò gli astronomi Proverbio e
Romano per l'utilizzo del teodolite anche nei casi in cui tale strumento non
sarebbe servito, ovvero in in classi di monumenti per i quali la direzione
dell'asse d'ingresso non è definibile in modo univoco[6].
I concetti metodologici enunciati da Hoskin sono stati ripresi anche nei libri
di Mauro Zedda, ovviamente mai citato dal team turritano.
Il
gruppo archeo-astrofilo Castia, Forteleoni e Cabizza presentò uno studio
preliminare sul sito Pranu Mutteddu di Goni. La relazione è ancora in attesa di
pubblicazione, mentre sono gia stati editi gli atti della SIA.
In un
secondo studio[7] il gruppo Castia, Cabizza
e Forteleoni prosegue l'analisi dell'orientamento delle domus de janas, con un campione triplicato rispetto al precedente.
Questa volta il gruppo di ricerca turritano aveva seguito il consiglio espresso
da Mauro Zedda nel precedente convegno e dunque i dati furono infatti
correttamente espressi corredati dall'azimut geografico, della altezza e della
declinazione.
Un
fatto però appare curioso e pare opportuno riportarlo in quanto ulteriormente e
fortemente indicativo dello status di neofiti dei proponenti: al contrario
delle altezze tutti gli azimut riportati nello studio sulle domus non sono espressi in numeri
interi. Non si comprende proprio perchè l'azimut venga sempre indicato con l'aggiunta
del mezzo grado (esempio 1.5, 2.5, etc.) mentre l'altezza venga sempre indicata
con numeri interi (1, 2, etc). È ovvio che in un caso e nell'altro l'approssimazione
sia di mezzo grado, ma quando si decide per tale approssimazione si opta per i
numeri interi. Perchè complicare le cose?
Che
tipo di bussola è stata utilizzata? Possibile che nessuna misura sia indicata
da un numero intero? A fare del facile sarcasmo, verrebbe da evidenziare che si
tratti di una bussola piuttosto eccentrica! In tutto il panorama
dell'archeoastronomia mondiale si ritiene sia il solo caso in cui si sia scelto
di presentare in tal modo gli esiti di uno studio.
La
declinazione, poi è stata espressa con approssimazione al decimo di grado,
essendo forse i redattori dello studio ignari del fatto che quando si
approssimano gli azimut e le altezza al mezzo grado, per la declinazione si
riporta un dato anch'esso approssimato al quarto di grado. Questo al fine di
evitare che il dato in declinazione (frutto di un calcolo a partire dai dati in
azimut e altezza) mostri una precisione che in realtà non esiste nella realtà,
ma che deriva invece dall‘ approssimazione precedente.
Le
conclusioni del gruppo turritano sul target dell'orientamento delle domus sono
le seguenti:
a) il 96% dei rilievi ricadrebbero nell'intervallo
compreso tra azimut di levata e tramonto del sole al solstizio d'estate; (NB
non specificano se si tratti dell’arco percorso dal sole o del suo complemento;
l’esito è quindi chiaro solo agli specialisti)
b) il 4% degli ipogei di conseguenza si affaccerebbe in
un arco di orizzonte in cui non sorge mai il sole;
c) il 69% ricadrebbe nell'intervallo compreso tra la
levata e il tramonto eliaco nel solstizio invernale;
d) il 98% sarebbe compreso tra la levata e tramonto della
Luna nel massimo lunistizio meridionale
ma tale dicitura è palesemente errata, in quanto i dati si riferiscono invece
al lunistizio maggiore settentrionale.
In perfetta continuità con il loro precedente
articolo, gli studiosi continuano a confondere il lunistizio meridionale con
quello settentrionale. Se la prima volta sarebbe potuto trattarsi di una svista
ora c'è la conferma che sul concetto di lunistizio Cabizza, Forteleoni e Castia
dimostrano una evidente confusione. Cabizza e Forteleoni sono stati quindi ed
oltretutto imprecisi anche nel riportare i target individuati a seguito del
loro studio, che confermano comunque le precedenti analisi di Mauro Zedda[8],
il quale indicava che:
a) il 95% (97% al
nord, 92% al sud) ricadono nell'arco di orizzonte che percorre il sole al
solstizio estivo;
b) il 96% ricadono nell'arco di orizzonte che percorre la
Luna al lunistizio maggiore settentrionale.
Insomma,
la prima tardiva e maldestra incursione degli archeologi sardi nell’archeastronomia,
oltre che dalla colpevole elusione di più di venti anni di studi pregressi,
pare viziata da imprecisioni che rivelano lo status di neofiti dei proponenti.
Pur poco originale, pare comunque encomiabile l’intento
dell’archeologa Simonetta Castia di avventurarsi in materia di archeoastronomia
riproponendo le analisi archeoastronomiche sulle domus de janas già eseguite da Mauro Zedda. Ma non ci si può
esimere dal rilevare l’inesperienza del team di misura e la dimenticanza (malafede?) nell’omettere
vent’anni di ricerche pregresse in materia, proponendo i loro lavori come originali e il loro convegni come i primi in materia. Neppure un cenno ai
congressi già tenutisi dal 1992 ad oggi ed in particolare al congresso della
SEAC (Société Européenne pour
l’Astronomie dans la Culture) del 2005 a Isili, avente come chairmen Mauro Zedda e Juan Antonio
Belmonte.
[1]Primo convegno nazionale di archeoastronomia in Sardegna A cura dell'associazione Aristeo
SASSARI. L’orientamento delle tombe neolitiche presenta ricorrenze non casuali che
implicano l’adozione di un possibile criterio nel posizionamento degli impianti
funerari realizzati dai sardi antichi. È ragionevole supporre che i prenuragici
avessero una certa confidenza con i fenomeni del cielo, nozioni funzionali alla
conoscenza di un elementare calendario utile alle comunità di agricoltori e
allevatori sparse nell’isola.
Sono i primi, importanti risultati, benché parziali, emersi dai lavori del
I convegno nazionale di archeoastronomia in Sardegna, svoltosi nei giorni
scorsi a Sassari nell’aula magna dell’Università centrale. Dalla relazione di
Gian Nicola Cabizza e Michele Forteleoni, presidente quest’ultimo della Società
astronomica turritana, curatori della parte astronomica del progetto “La misura
del tempo”, sembrerebbe emergere una ricorrenza non casuale di alcune
importanti rilevanze statistiche durante i sopralluoghi su 156 ipogei della
provincia di Sassari. Astronomi e archeologi, in un reciproco rapporto di
scambio, grazie all’impiego di strumenti tecnici, hanno rilevato che numerose
tombe, presenti su siti diversi, sono state realizzate con lo stesso criterio
di orientamento. “Questo - ha spiegato Cabizza - ci autorizza quantomeno a fare
delle congetture relative alla possibile conoscenza dei fenomeni celesti fra i
sardi del Neolitico”. C’è una particolare ragione per cui le tombe sono
orientate a Est e non a Ovest che induce gli studiosi di Aristeo e della Sat a
domandarsi se i sardi del Neolitico fossero conoscitori dei fenomeni del cielo.
“Conoscenza - hanno spiegato i relatori
- che sarebbe funzionale alle esigenze di una comunità che proprio in quel periodo
sperimentava la pratica dell’agricoltura”.
Ma se trarre delle conclusioni è ancora prematuro (il programma prevede di
effettuare sopralluoghi su almeno 600 impianti funerari) certo è invece che
l’archeoastronomia, disciplina ormai ammessa e rispettata dalla comunità
scientifica, con il convegno promosso e organizzato da Aristeo è entrata a
pieno titolo nelle aule d’accademia. Lo ha rimarcato anche il rettore Attilio
Mastino, in apertura di lavori, evidenziando non soltanto il fatto che per anni
nei confronti di questa disciplina c’è stato un eccesso di prudenza, ma
soprattutto che nel tempo è cresciuto l’interesse della comunità scientifica
nei confronti di un approccio capace di gettare nuova luce su questioni assai
dibattute. Significativa, al riguardo, la posizione dell’archeologo Alberto
Moravetti, ordinario di Preistoria e protostoria nella facoltà di Lettere di
Sassari, il quale ha auspicato una collaborazione proficua tra astronomi e
archeologi e la necessità di adottare un modello unico per scongiurare il
pericolo dell’autoreferenzialità.
Sulla necessità di adottare un metodo condiviso è intervenuta anche
Simonetta Castia, archeologa, presidente dell’associazione culturale Aristeo,
che con la Sat ha promosso e organizzato l’evento: “Occorre individuare un
metodo ha detto capace di portare a risultati certi, non a verità assolute e
soprattutto che consenta di non scadere nella spettacolarizzazione”.
I lavori del convegno, il primo a carattere nazionale organizzato in
Sardegna in un’aula universitaria, si sono avvalsi di diversi preziosi
contributi, tra cui quello dell’archeologo cagliaritano Roberto Sirigu e di
Elio Antonello, presidente della S.I.A. (Società italiana di archeoastronomia)
e componente dell’Osservatorio astronomico di Brera e Mario Codebò del Centro
ricerche archeoastronomia Ligustica di Genova, nonché dell’intervento del
sindaco Gianfranco Ganau. Il progetto, denominato “La misura del tempo”,
tuttora in itinere, è ripartito in tre annualità che concentrano l’attività di
ricerca in tre distinti periodi della storia sarda antica: Il Neolitico, l’età
del Rame e l’età del Bronzo”
[2] La misura del tempo. Problematiche e prospettive, in Cronache di
Archeologia, 8. La misura del tempo. Archeologia e Astronomia. Il Prenuragico,
Sassari pp 13-28).
[3] La misura del tempo" Risultati preliminari, in Cronache di Archeologia, 8.
La misura del tempo. Archeologia e
Astronomia. Il Prenuragico, Sassari pp 29-37.
[4] Id. provvedimento: 00002004539
Beneficiario: SOCIETÀ
ASTRONOMICA TURRITANA
C.F.: 92052420905
Importo contributo: €
35.512,36
Norma: L.R.
14/2006, art. 20 e 21, c. 1 lett.r. - L.R.5/2016.
[5] Dalla locandina
del convegno:
La misura del tempo. Atto secondo
È trascorso quasi un anno dalla prima edizione del
Convegno di Archeoastronomia in Sardegna, organizzato dal Circolo Aristeo in
partenariato con la Società Astronomica Turritana di Sassari, a conclusione
dell’attività scientifica del 2011.
In questi mesi hanno avuto corso nuove indagini e le
attività stanno avendo un’articolazione più ampia, con la possibilità di
accogliere tirocinanti, studenti o ricercatori interessati ad ampliare il
proprio quadro di conoscenze sulla materia.
A fine anno si
terrà la seconda edizione del convegno, che si preannuncia partecipato e atteso
dagli addetti ai lavori.
[6]it would have been
helpful to have a discussion of a practical topic of great importance:
namely, when is it appropriate in fieldwork to use a theodolite, rather than a good-qual ity compass
(given that the investigator has determined the systematic error of the compass and the magnetic
variation for the area,
and checked that the local geology carries no risk of magnetic
anomaly)? In the reviewer's
opinion, in European regions free from magnetic
anomaly, a theodolite
is appropriate only for the measurement of Greek temples
and other monuments laid out with great care, or when precision calendrics are postulated,
as in Thomist archaeo astronomy. When a monument is of rude construction or in poor condition,
as are some of those discussed in this book, there is the danger that the investigator will erect two poles whose positions
are in fact ill-defined, and then measure the line jòining
them with great (and wholly misleading) accuracy. This limitation in the data may well remain
undetected, unless
the investigator follows what should be an invariable rule in such fieldwork: to repeat at least a sample ofthe measures on another occasion,. beginning with
re-erection of the poles, to test the errors involved.
M.
Hoskin, «Archaeoastronomy» n° 19 (JHA, XXV 1994) Book Review al libro Archeoastronomia Italiana di Giuliano Romano, CLEUP
Padova 1992.
Mia traduzione:
Sarebbe stato utile avere una discussione su un argomento pratico di grande importanza: vale a dire, quando è appropriato nel lavoro sul campo usare un teodolite, piuttosto che una bussola di buona qualità (dato che l'investigatore ha determinato l'erratico sistematico del bussola e la variazione magnetica per l'area, e controllato che la geologia locale non comporta alcun rischio di anomalia magnetica)? Secondo l'opinione del revisore, nelle regioni europee prive di anomalie magnetiche, un teodolite è appropriato solo per la misurazione dei templi greci e di altri monumenti disposti con grande cura, o quando vengono postulati calendari di precisione, come nell'archeo astronomico tomista. Quando un monumento è in costruzione o in cattive condizioni, come alcuni di quelli discussi in questo libro, c'è il pericolo che l'investigatore eriga due pali le cui posizioni sono di fatto mal definite, e quindi misureranno la linea tracciandole con grande ( e totalmente fuorviante) accuratezza. Questa limitazione dei dati potrebbe non essere rilevata, a meno che il ricercatore non segua quella che dovrebbe essere una regola imprescindibile in tale lavoro sul campo: ripetere almeno un campione delle misure in un'altra occasione, iniziando con la ri-costruzione dei paletti, per verificare gli errori commessi.
[7] La misura del tempo. Il neolitico e lo stato delle ricerche, in Cronache di
Archeologia, 10. La misura del tempo. Atti del 2° convegno internazionale
di Archeoarcheoastronomia in Sardegna.dicembe 2012, Sassari 2013, pp 19-43.
[8] Per un approfondimento dell’esame dell'orientamento
delle domus de janas si rimanda a Astronomia nella Sardegna Preistorica di
Mauro Zedda 2013.
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