Recensione di Franco Laner
Mauro mi ha spedito per Natale
l’ultima pubblicazione sul S. Antine. È un regalo, ma è anche un
sottile e perfido stratagemma per riaprire alcune mie ferite, che lui
sa che sono ancora purulente e non suturate.
Orbene questa guida di Franco
Campus “Nuraghe santu Antine” (Ilisso 2019), sia perché scritta da un
archeologo “emergente” (me lo auguro per lui, non per
l’archeologia), sia perché trattasi del più intrigante e bel
nuraghe, merita qualche osservazione.
La prima, da accogliere con
qualche soddisfazione, è che non c’è la tesi del
nuraghe-fortezza, madre di ogni sciocchezza. C’è in verità
qualche refuso, si parla di bastioni, cammino di ronda, feritoie.
Semplici sviste.
L’altro riferimento bellico, a
scanso di equivoci, chiaramente riferito a Taramelli (per carità,
non a Lilliu o a Contu) è a un vano del nuraghe, “ripostiglio
di proiettili di ciottoli arrotondati cui era affidata la più
efficace difesa”. Ciò che confermava la sua interpretazione del
nuraghe come fortilizio.
In realtà
– prosegue l’autore – le tracce di usura
sembrano indicare piuttosto l’utilizzo degli stessi come pestelli
per macinare o triturare granaglie…
Inciso: a tal proposito il
compianto Massimo Pittau preferiva causticamente pensare al gioco
delle bocce. Io a sfere celesti, e sono in buona compagnia, almeno
della Madonna, che ne tiene spesso una in mano. Massimo Pittau,
udite, udite, viene citato a proposito di una cella oracolare: che
coraggiosa apertura!!! Peccato però che non sia poi citato in
bibliografia, sarebbe stato pretendere troppo!
In sintesi, l’autore prende, pur
con cautela, la distanza dal nuraghe-fortezza.
A questo punto non può sottrarsi
alla domanda: se non erano fortilizi, cos’erano?
La risposta risiede in balbettii sconnessi.
Sicuramente una reggia, perché c’era un’organizzazione feudale
della società nuragica (Lilliu docet), e ci sono tutti i segni
perché il nuraghe fungesse da abitazione (porte di legno o di
pietra, finestre per illuminare i vani, soppalchi di legno per
isolarsi dall’umidità e via delirando). Era luogo di riunioni
assembleari e sala pubblica delle udienze. La presenza di pozzi
indica una sorta di autonomia idrica, il che avvalora l’idea circa
la sua destinazione polifunzionale. Bagni pubblici?
Ritira in ballo i solai di legno,
come soppalchi, a metà tholos. Chi mai, dopo essersi rotte braccia e
cervello per ricreare la volta celeste la interromperebbe con un
soppalco? Allora, da subito, era meglio progettare un condominio!
Naturalmente – per l’autore –
la destinazione d’uso del nuraghe ha avuto cambiamenti nel corso
della storia, ma è indubbia la funzione di
controllo dell’accesso alla pianura (ahia!
Torna la funzione strategica militare) che marca il limite del
territorio alla stregua dei siti cerniera,
ovvero Reggia come fulcro di rapporti
percettivi (!?).
Ok, mi è tutto molto chiaro!
La seconda osservazione riguarda
l’ampio spazio che l’autore dedica con disegni e descrizioni alla
costruzione del nuraghe. Non posso sottacere un consiglio che mi
dette Pittau: “Quando ti occupi di archeologia, fallo con gli
strumenti della tua disciplina, non con quelli dell’archeologia
perché saresti vulnerabile e quindi non credibile”. Sacrosanto
consiglio che ora estendo all’autore: lascia stare le tecnologie
costruttive, l’organizzazione del cantiere, macchine e sistemi. La
storicizzazione delle tecnologie costruttive è un argomento
delicato, da specialisti, a meno di non accettare il ridicolo. Nei
film storici, a volte, le comparse, dimenticavano di togliersi
l’orologio da polso. Ora c’è attenzione a queste incongruenze!
Prendiamo ad esempio la tavola del
cantiere del S. Antine e il dettaglio del carro trainato da due buoi.
Il masso trasportato è di circa ¼ di mc, ovvero prendendo il peso
specifico del basalto uguale a 2,5t/mc il suo peso è di 6-7
quintali. Questo peso sfonderebbe l’asse del carro, le ruote
sarebbero inamovibili nel terreno (ci vuole un selciato…), la rampa
è troppo pendente.
Non sarei così sicuro che gli
operai fossero scalzi. Fa parte di quelle trasposizioni sciocche, che
assegnano ai nostri progenitori categorie naif. Si sa, al contrario,
che si vestivano e calzavano (v. ad es. l’uomo di Simulan, Oetzi)
Il piano di posa del masso sul
carro è basso. Per la razionalizzazione del carro e per abbassare il
piano di carico, sempre alto, si dedicò con una bellissima
trattazione, di stampo illuministico, il matematico padovano (di
Castelfranco) Rizzetti, nel ‘700. Eppure, basta guardare qualsiasi
capitolo di storia della tecnologia per capire che
i massi sono trasportabili solo con la slitta, anche
dove la ruota fosse conosciuta. Sullo sfondo di questo modo
fantasioso di trasporto c’è un’impalcatura lignea. Ammesso che
questo accessorio fosse possibile, cosa serve l’impalcatura?
L’immagine mi ricorda il cantiere medioevale, sul quale è stata
operata una sorta di antichizzazione. Stessa operazione astorica di
Lilliu, che immaginò l’organizzazione nuragica come quella
feudale.
L’altro particolare dello stesso
cantiere fa vedere la divisione di una grande pietra con cunei di
legno. È una tecnica possibile, descritta già nell’antico Egitto,
che sfrutta la dilatazione del legno quando bagnato. Ma la discrasia
risiede nel fatto che la sbozzatura dei conci avviene sempre in cava
e non a piè d’opera, per evitare il trasporto di elementi troppo
pesanti. Altrimenti dovremmo assegnare al nuragico la mentalità da
cretinetti. Che un fumettista trasporti categorie moderne al passato
-v. Hanna & Barbera – è divertente e simpatico, ma che lo
faccia un archeologo è disdicevole.
Illustrazione
della Bibbia per ragazzi. Il caricamento delle copie di animali
sull’arca è immaginato come oggi si carica un Ferry Boat.
Simpatica idea. Divertente. Ma l’archeologia può essere ludica?
Sembra di sì.
Potrei continuare, ma sarei noioso
e incomprensibile. Ad esempio, si parla di malta
di fango. La malta è tale quando ci sia un
legante (pozzolana, calce, cemento, ecc) nell’impasto. La muratura
nuragica è a secco. Magari ci fosse stata la malta. I problemi
sarebbero stati molto, molto più semplici e forse si sarebbero
potuti realizzare anche gli ipotetici mensoloni di coronamento dei
nuraghi.
Esilarante il disegno che mostra
l’insegnamento del tiro con l’arco: il bersaglio è la pelle di
bue come l’oxhide di rame, sotto lo sguardo attento dei giganti di
Monte Prama, ovviamente con lo scudo in testa…
Suvvia, incommensurabile Pittau,
riposa in pace!
Ps
Si narra che Gesù, nella sua
predicazione per la Galilea, compiva miracoli. Uno storpio, alzati e
cammina! Un cieco? Vedi! Un sordo, senti! Fece uscire dalla grotta
anche Lazzaro, morto da giorni.
Lo immagino, tutto incazzato e
imprecante, che si toglie le bende, mentre esce dalla tomba.
Sul ciglio della strada, seduto e
con la testa fra le mani, giaceva uno sconsolato.
Gesù chiese agli apostoli chi
fosse costui. Informatisi, si appurò che fosse un archeologo.
Allora Gesù si chinò e pianse
con lui.
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