domenica 12 gennaio 2020

Nuraghe santu Antine di F. Campus


Recensione di Franco Laner


Mauro mi ha spedito per Natale l’ultima pubblicazione sul S. Antine. È un regalo, ma è anche un sottile e perfido stratagemma per riaprire alcune mie ferite, che lui sa che sono ancora purulente e non suturate.

Orbene questa guida di Franco Campus “Nuraghe santu Antine” (Ilisso 2019), sia perché scritta da un archeologo “emergente” (me lo auguro per lui, non per l’archeologia), sia perché trattasi del più intrigante e bel nuraghe, merita qualche osservazione.

La prima, da accogliere con qualche soddisfazione, è che non c’è la tesi del nuraghe-fortezza, madre di ogni sciocchezza. C’è in verità qualche refuso, si parla di bastioni, cammino di ronda, feritoie. Semplici sviste.

L’altro riferimento bellico, a scanso di equivoci, chiaramente riferito a Taramelli (per carità, non a Lilliu o a Contu) è a un vano del nuraghe, “ripostiglio di proiettili di ciottoli arrotondati cui era affidata la più efficace difesa”. Ciò che confermava la sua interpretazione del nuraghe come fortilizio.

In realtà – prosegue l’autore – le tracce di usura sembrano indicare piuttosto l’utilizzo degli stessi come pestelli per macinare o triturare granaglie…

Inciso: a tal proposito il compianto Massimo Pittau preferiva causticamente pensare al gioco delle bocce. Io a sfere celesti, e sono in buona compagnia, almeno della Madonna, che ne tiene spesso una in mano. Massimo Pittau, udite, udite, viene citato a proposito di una cella oracolare: che coraggiosa apertura!!! Peccato però che non sia poi citato in bibliografia, sarebbe stato pretendere troppo!

In sintesi, l’autore prende, pur con cautela, la distanza dal nuraghe-fortezza.

A questo punto non può sottrarsi alla domanda: se non erano fortilizi, cos’erano?

La risposta risiede in balbettii sconnessi. Sicuramente una reggia, perché c’era un’organizzazione feudale della società nuragica (Lilliu docet), e ci sono tutti i segni perché il nuraghe fungesse da abitazione (porte di legno o di pietra, finestre per illuminare i vani, soppalchi di legno per isolarsi dall’umidità e via delirando). Era luogo di riunioni assembleari e sala pubblica delle udienze. La presenza di pozzi indica una sorta di autonomia idrica, il che avvalora l’idea circa la sua destinazione polifunzionale. Bagni pubblici?

Ritira in ballo i solai di legno, come soppalchi, a metà tholos. Chi mai, dopo essersi rotte braccia e cervello per ricreare la volta celeste la interromperebbe con un soppalco? Allora, da subito, era meglio progettare un condominio!

Naturalmente – per l’autore – la destinazione d’uso del nuraghe ha avuto cambiamenti nel corso della storia, ma è indubbia la funzione di controllo dell’accesso alla pianura (ahia! Torna la funzione strategica militare) che marca il limite del territorio alla stregua dei siti cerniera, ovvero Reggia come fulcro di rapporti percettivi (!?).

Ok, mi è tutto molto chiaro!

La seconda osservazione riguarda l’ampio spazio che l’autore dedica con disegni e descrizioni alla costruzione del nuraghe. Non posso sottacere un consiglio che mi dette Pittau: “Quando ti occupi di archeologia, fallo con gli strumenti della tua disciplina, non con quelli dell’archeologia perché saresti vulnerabile e quindi non credibile”. Sacrosanto consiglio che ora estendo all’autore: lascia stare le tecnologie costruttive, l’organizzazione del cantiere, macchine e sistemi. La storicizzazione delle tecnologie costruttive è un argomento delicato, da specialisti, a meno di non accettare il ridicolo. Nei film storici, a volte, le comparse, dimenticavano di togliersi l’orologio da polso. Ora c’è attenzione a queste incongruenze!



Prendiamo ad esempio la tavola del cantiere del S. Antine e il dettaglio del carro trainato da due buoi. Il masso trasportato è di circa ¼ di mc, ovvero prendendo il peso specifico del basalto uguale a 2,5t/mc il suo peso è di 6-7 quintali. Questo peso sfonderebbe l’asse del carro, le ruote sarebbero inamovibili nel terreno (ci vuole un selciato…), la rampa è troppo pendente.

Non sarei così sicuro che gli operai fossero scalzi. Fa parte di quelle trasposizioni sciocche, che assegnano ai nostri progenitori categorie naif. Si sa, al contrario, che si vestivano e calzavano (v. ad es. l’uomo di Simulan, Oetzi)

Il piano di posa del masso sul carro è basso. Per la razionalizzazione del carro e per abbassare il piano di carico, sempre alto, si dedicò con una bellissima trattazione, di stampo illuministico, il matematico padovano (di Castelfranco) Rizzetti, nel ‘700. Eppure, basta guardare qualsiasi capitolo di storia della tecnologia per capire che i massi sono trasportabili solo con la slitta, anche dove la ruota fosse conosciuta. Sullo sfondo di questo modo fantasioso di trasporto c’è un’impalcatura lignea. Ammesso che questo accessorio fosse possibile, cosa serve l’impalcatura? L’immagine mi ricorda il cantiere medioevale, sul quale è stata operata una sorta di antichizzazione. Stessa operazione astorica di Lilliu, che immaginò l’organizzazione nuragica come quella feudale.


L’altro particolare dello stesso cantiere fa vedere la divisione di una grande pietra con cunei di legno. È una tecnica possibile, descritta già nell’antico Egitto, che sfrutta la dilatazione del legno quando bagnato. Ma la discrasia risiede nel fatto che la sbozzatura dei conci avviene sempre in cava e non a piè d’opera, per evitare il trasporto di elementi troppo pesanti. Altrimenti dovremmo assegnare al nuragico la mentalità da cretinetti. Che un fumettista trasporti categorie moderne al passato -v. Hanna & Barbera – è divertente e simpatico, ma che lo faccia un archeologo è disdicevole.



Illustrazione della Bibbia per ragazzi. Il caricamento delle copie di animali sull’arca è immaginato come oggi si carica un Ferry Boat. Simpatica idea. Divertente. Ma l’archeologia può essere ludica? Sembra di sì.
Potrei continuare, ma sarei noioso e incomprensibile. Ad esempio, si parla di malta di fango. La malta è tale quando ci sia un legante (pozzolana, calce, cemento, ecc) nell’impasto. La muratura nuragica è a secco. Magari ci fosse stata la malta. I problemi sarebbero stati molto, molto più semplici e forse si sarebbero potuti realizzare anche gli ipotetici mensoloni di coronamento dei nuraghi.

Esilarante il disegno che mostra l’insegnamento del tiro con l’arco: il bersaglio è la pelle di bue come l’oxhide di rame, sotto lo sguardo attento dei giganti di Monte Prama, ovviamente con lo scudo in testa…

Suvvia, incommensurabile Pittau, riposa in pace!

Ps

Si narra che Gesù, nella sua predicazione per la Galilea, compiva miracoli. Uno storpio, alzati e cammina! Un cieco? Vedi! Un sordo, senti! Fece uscire dalla grotta anche Lazzaro, morto da giorni.

Lo immagino, tutto incazzato e imprecante, che si toglie le bende, mentre esce dalla tomba.

Sul ciglio della strada, seduto e con la testa fra le mani, giaceva uno sconsolato.

Gesù chiese agli apostoli chi fosse costui. Informatisi, si appurò che fosse un archeologo.

Allora Gesù si chinò e pianse con lui.




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