giovedì 9 settembre 2010

Gli Eroi del piccone

di Massimo Pittau

Due storici di rilievo, Ettore Pais e Raimondo Bachisio Motzo, avevano invitato Antonio Taramelli a dare una delineazione della civiltà nuragica non dall’unico angolo visuale dell’archeologia, ma anche da quello di altre discipline dell’antichistica. Ma il Taramelli non se l’era data per intesa, tanto è vero che in due differenti occasioni, in implicita polemica coi due storici, aveva scritto testualmente: «L’archeologia preistorica è oggi matura nei suoi metodi e nelle sue ricerche; non è più la modesta ancella sussidiaria, ma raggiunge le sue proprie conclusioni in base alle osservazioni proprie ed ai suoi propri metodi. Se queste si accordano con quelle raggiunte dalle scienze affini, tanto meglio; se no tanto peggio per quelle» (anno 1929). «Con tutto il rispetto alle fonti ed ai loro sagaci commenti, sia permesso a me archeologo, di avere fede, speranza ed amore principalmente nell’indagine archeologica. Nell’indagine del passato tenebroso, lontano ed incerto la mia luce è quella della punta luminosa del mio piccone» (anno 1934).
Probabilmente anche in polemica implicita col Taramelli, ecco cosa ha scritto più tardi Sabatino Moscati, studioso di larga fama nazionale e internazionale: «Se mai vi dedicherete all’archeologia, ricordate una massima: il piccone è l’ultima cosa. E cioè, per spiegarci meglio, il successo di un’impresa archeologica dipende in misura decisiva dalla conoscenza delle antiche fonti, dallo studio della geografia storica, in una parola dalla ricostruzione della vita del passato in cui la nuova ricerca si inserisce; quanto al fatto materiale dello scavo, esso è solo il coronamento di un’opera in cui la dottrina e l’intuizione hanno parte essenziale» (S. Moscati, Archeologia mediterranea, Milano 1966, pag. 138).
A distanza di circa 80 anni da quando il Taramelli scriveva i suoi citati inequivocabili convincimenti personali, c’è da osservare che «la fede, la speranza e l’amore principalmente nell’indagine archeologica», nonché attenuarsi negli archeologi successivi, forse si sono ulteriormente accentuati. Nulli o quasi nulli sono i loro richiami alle antiche fonti scritte, soprattutto quelle greche. Sia sufficiente citare un esempio solo, ma molto significativo: a cominciare dal Taramelli fino ai giorni nostri nessun archeologo ha mai citato la testimonianza dello storico greco Diodoro Siculo (Biblioteca historica, V 15, 2), il quale, parlando dei nuraghi della Sardegna li definisce «templi degli dèi» (cfr. M. Pittau, La Sardegna Nuragica, II ediz., Cagliari 2006, Edizioni della Torre, pagg. 25-26. 112).

2 commenti:

  1. Caro Prof Pittau: parole sante! Gli archeologi nuragologi in sono infilati in vico Mancanza di Spirito Critico, e non sanno come uscirne.
    Il suo post che a talani può sembrare d'altri tempi è invece attualissimo.
    Dall'indimenticabile Sabatino Moscati venne pure l'apertura verso l'archeoastronomia
    Nel Convegno Internazionale (26 Novembre 1994), da lui voluto, Archeologia ed astronomia: esperienze e prospettive future dell’Accademia Nazionale dei Lincei di cui era il Presidente, così si espresse: “Senza il concorso dell’astronomia non avremmo inteso, e non intenderemmo, gli orientamenti di molti templi egiziani dedicati al Sole, ad esempio quello di Amon Ra a Karnak allineato sul solstizio estivo; la direzione degli assi di vari monumenti della Grecia classica, ad esempio il Pantheon di Atene orientato sulla levata del Sole nel giorno d’inizio delle feste panatenaiche; la natura stessa del celebre Stonehenge, in cui si è ravvisato un osservatorio astronomico, o meglio un tempio che teneva conto delle eclissi; l’orientamento di numerosi monumenti precolumbiani, da Chichen Itzá a Uxmal, da Charvin a Cerro Sechin, sui punti dell’orizzonte corrispondenti alla levata e al tramonto del sole nei solstizi e negli equinozi.
    E tutto questo non è solo architettura, o geografia: è religione, è credenza magica, in una parola è visione e concezione dell’universo, sicchè l’archeoastronomia ne emerge come scienza essenziale per la ricostruzione storica, una scienza senza la quale il filologismo dominante in passato resta fine a se stesso, dicendo in ultima analisi quasi tutto su quasi niente. Per basilare che sembri, la scienza filologica è non più che uno strumento da offrire agli astronomi, come ai medici e agli esponenti di tante altre scienze ancora per la ricostruzione del passato.”.
    Dopo queste belle parole di Sabatino Moscati gli archeologi sardi continuano a dormire in vico Mancanza di Spirito Critico.
    Riusciremo a svegliarli?

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  2. speriamo...

    però lo spirito critico è come il coraggio di Don Abbondio...se non c'è non c'è...

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