lunedì 6 settembre 2010

Mito antico (e moderno) e conoscenza astronomica (II parte)

di Fabrizio Sarigu

I diapason a fiato rientrano nella sfera di dominio dello Yin, ma regolano i processi dello Yang. Il calendario viene dalla sfera dello Yang, ma regola i processi dello Yin. I diapason a fiato e il calendario si impartiscono reciprocamente un ordine così rigoroso che non sarebbe possibile inserire tra essi un solo capello.” (Proverbio cinese)
Comprendere il significato nascosto dei miti è qualcosa di estremamente complesso, De Santillana individua questa difficoltà nell’assenza di un “sistema” come noi oggi lo intendiamo. Tale assenza è dovuta semplicemente al fatto che il mito nacque quando l’uomo non aveva ancora iniziato a strutturare in maniera sistemica il suo pensiero, quindi non è corretto cercare di individuarne uno.
Cosa è dunque il mito?
Il mito è una “fuga musicale pitagorica”, che nacque quando l’uomo cominciò a concepire il mondo come numero e misura (data di nascita della scienza). Infatti è proprio la musica l’allegoria che meglio può descrivere i contenuti astronomici nascosti nel mito, poiché l’astronomia degli antichi si basava proprio sul concetto di “ritmo” che evidentemente condivide con la musica appunto. Un brano musicale non è solo un insieme di note, ma è un insieme di note legate fra loro da un preciso ritmo. Se il ritmo cambia, nonostante le note possano restare le stesse, tutta la composizione cambia. Gli antichi osservavano il cielo con senso del ritmo (armonia delle sfere). Per esempio sappiamo che Venere sorge eliacamente cinque volte in un ciclo di otto anni formando un pentagono apparente. Questo significa che gli antichi astronomi, si accorsero prima, e tennero in gran conto con continue osservazioni poi, una lucetta nel cielo che cinque volte in otto anni (otto anni) sorgeva poco prima del sorgere del sole stesso. Solo in quei giorni il fenomeno si manifestava. Ecco cosa è il “ritmo” che intendiamo. Questo esempio, uno fra migliaia, ci dà l’idea dello sforzo intellettuale di cui furono capaci i nostri “primitivi” antenati. Saranno poi i greci ad interessarsi in senso geometrico all’astronomia, il problema principale dell’astronomia greca era infatti quello di ricondurre ad orbite circolari gli assolutamente incomprensibili movimenti planetari, qui nacque probabilmente la filosofia platonica. La dicotomia tra mondo delle idee e mondo dell’apparenza trae origini in prima istanza dalla dicotomia per eccellenza (ricordiamoci che l’astronomia era la scienza sacra) tra orbite planetarie circolari (idee) e moto apparente planetario (apparenza). Prima dei greci l’interesse era per il numero e per la misura.
Il contenuto astronomico del mito è dunque espresso come una fuga di idee non organizzate in maniera sistemica. Tuttavia è possibile cogliere alcuni aspetti che ci aiutano a costruirne uno (perché a noi serve visto che ormai è il nostro modo di ragionare).
L’analisi comparata dei miti condotta da De Santillana restituiscono una visione particolare del cosmo, che è insieme religiosa e scientifica.
Tale immagine è quella di una sorta di sfera armillare, con la terra (il nostro globo, sferica) al centro attraversata dal suo asse e dove la struttura/croce dei coluri avvolge (come l’armatura della sfera armillare appunto) le stelle fisse ed in particolare il piano dell’eclittica, inclinato di 23°26’ (attualmente, ma oscilla tra 23° e 25° in un ciclo 41.000 anni) rispetto al piano equatoriale. Rispetto all’eclittica la croce dei coluri individua quattro punti, due solstizi e due equinozi, che individuano a loro volta i quattro segni pilastro di una data era. A questo punto è necessario precisare la differenza tra segno dello zodiaco e costellazione dello zodiaco. L’eclittica, essendo una circonferenza, può essere divisa in molti modi, 360 spicchi di 1 grado, fino a due metà di 180°, con vari passaggi intermedi, 4, 8, 12, 16, 24 etc… sennonché gli antichi si resero conto che era facile dividere l’eclittica soprattutto in 12 parti da trenta gradi ciascuna, perchè casualmente entro questi trenta gradi (più o meno) rientrava una costellazione. Ecco che l’eclittica è quindi preferibilmente divisa in 12 spicchi, detti segni dello zodiaco, di trenta gradi ciascuno riferiti ad una delle dodici costellazioni. Le quali ovviamente possono essere più grandi o più piccole dello spazio di 30° loro assegnato e in alcune “ere”, come la nostra, possono essere anche 13 (ad esempio oggi la balena rientra nel piano dell’eclittica), ma quando si parla di segni, questi sono sempre 12 di 30° ciascuno, questo per evidenti aspetti matematici(30 per 12 uguale 360).
A causa della precessione degli equinozi i quattro punti individuati dai coluri, precedono, ossia si spostano di moto retrogrado rispetto al normale scorrere annuale dei segni, di 1° ogni 72 anni, di modo che dopo 2200 anni circa vengono ad essere individuati nuovi segni nei quattro punti, entrando così in una nuova era (solitamente il segno di riferimento è quello che sorge all’equinozio di primavera). L’altro macro effetto della precessione è il movimento circolare del polo nord (polo nord celeste) rispetto ad un punto fermo (polo nord dell’eclittica), così da marcare nei secoli diverse stelle polari, oppure addirittura nessuna in particolare. Molti indizi fanno invece ritenere che il polo sud fosse considerato coincidente col polo sud dell’eclittica e quindi non soggetto a mutamento (quindi non l’immagine di due coni sovrapposti come è oggi la nostra, bensì un unico cono con un vertice sul polo sud, indicato dalla stella remo/timone della nave argo, canopo). Questo grandissimo meccanismo era immaginato come una sorta di mulino che ruotando sul suo asse (l’asse della terra, che alla fine di ogni era si sgangherava.. ricordiamo che la stella polare cambia nelle ere) macina il tempo. Tale mulino, nel mito nordico, era in possesso di un tale Amleto, che diventerà poi proprio il principe di Danimarca che conosciamo. In realtà dietro Amleto si nasconde una precisa forza “planetaria” che tuttavia dovremo affrontare in un altro momento.
Esiste però, una più antica immagine di questo meccanismo, codificata in miti molto famosi e racchiusa entro una parola tecnica molto precisa ma per noi difficile da afferrare: l’idea del FUOCO e della sua accensione. Molti miti parlano di rubare il fuoco o accendere il fuoco, ma di che fuoco si parla? La difficoltà sta proprio nell’abbandonare l’idea che noi associamo alla parola fuoco (del caminetto magari) e ragionare come gli antichi. L’idea del cielo/mulino è evidentemente un’idea/allegoria che poteva nascere solo in un contesto agricolo, per ovvi motivi, tuttavia queste idee sono molto antiche, molto, forse risalenti a prima che l’uomo scoprisse/inventasse l’agricoltura. Come dare ragione allegoricamente allora del moto dei cieli? Ricordate come gli indigeni accendono un fuoco?
Con un bastoncino che fatto ruotare nel palmo delle mani sfrega su della paglietta, posta su una tavoletta piatta.
Questa divenne l’allegoria per eccellenza grazie alla quale spiegare il meccanismo di rotazione dei cieli, rubare o accendere un FUOCO divenne il termine per indicare la nascita di una nuova era, poiché l’asse della terra/bastoncino da fuoco doveva riprendere a ruotare su una nuova marcia stabilita dai coluri e quindi il “FUOCO” doveva essere riacceso. Ecco spiegato il mito di Prometeo, il cui termine non deriva tanto dal greco “vedo oltre” quanto dal sanscrito PRAMANTHA, che è appunto il nome del bastoncino “maschio” da fuoco (da cui deriva il latino mentula, ricordiamoci il mito di Uranos e Gaia, dove il pene asse della terra di Uranos univa cielo e terra, per cui l’idea che una “mentula” possa assurgere ad asse della terra non ci deve scandalizzare). Prometeo (asse della terra) rubando il fuoco agli dei non fece altro che accendere una nuova era del mondo.

4 commenti:

  1. Pramanta... , il pensiero corre veloce a Pramantellu, dove si trova una tra le più interssanti necropoli del neolitico o al nome di un menhir (su fruconi de Pramanta) che si trova a Morgongiori.

    saluti

    Mauro Peppino

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  2. Caspita non conoscevo il nome di questi luoghi... mi viene da pensare a Mircea Eliade che quendo spiegava i suoi concetti sulla storia delle religioni usava spesso la Sardegna come esempio (vedere in Sardegna, come in Sardegna etc...)

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  3. Uhm. Dato che non ho con me il sempre necessario Pittau 1997, su Pimentel ripeto quel che dice Carla Marcato nel Dizionario Toponomastico Italiano, che dice che è di recente attestazione, che il nome è certamente catalano (onomastico diffuso Pimentel). Osservo che ugualmente Pramantellu non è prettamente sardo (sarebbe *Pramanteddu). Ciò non esclude che una soggiacente forma locale sia stata reinterpretata in epoca recente), in questo è utile il riferimento di Zedda al menhir in località Pramanta. Conformandomi al mio consolidato appellativo, inviterei a guardare pertanto in area Sudepirota, ove trovasi la località di Pramanta. Abbiamo Pramantura in Croazia, in Albania troviamo Premete, in Bosnia Pramoti. Riguardo la cittadina greca si discute sulla sua etimologia, se greca, slava o ignota.

    http://en.wikipedia.org/wiki/Pramanta

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  4. Altro elemento che sottolinea l'importanza di osservare il cielo con senso del ritmo

    ce lo da Bach, il quale fu fra i primi a cercare di realizzare in musica l'armonia delle sfere..

    molto spesso, quando si suona Bach, si consiglia di immaginare un movimento circolare.. ascoltate infatti il tema dei flauti in "Jesus, bleibet meine Freude"... noterete che è un tema che ricorre con un andamento circolare...

    Bach traduce in musica il movimento dei pianeti...

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