venerdì 28 gennaio 2011

La Lingua sarda secondo Mario Alinei (2)

di Massimo Pittau

Rispondo in maniera essenziale e globale agli Amici che mi hanno fatto obiezioni per quanto io ho scritto sulla tesi che il prof. Mario Alinei ha formulato sulla lingua sarda.
1) Io non intendo entrare per nulla in questioni relative al Mesolitico e al Neolitico, per il fatto che questa non è la mia specializzazione scientifica e sull’argomento non saprei dire nulla di scientifico. Però mi permetto di dire che mi fanno sorridere coloro che, solo per aver letto alcuni libri o articoli, si sentono autorizzati a manifestare adesioni e a formulare giudizi sull’argomento.
2) Io non sono specialista in “linguistica indoeuropea” e pertanto neppure in questo campo oso entrare per dire il mio parere. Dico soltanto di constatare che il prof. Alinei è stato per l’appunto criticato da linguisti indoeuropeisti. Ed anche qui dico che mi fanno sorridere coloro che, non essendo linguisti e tanto meno linguisti indoeuropeisti, osano entrare con disinvoltura e sicurezza anche su questo argomento.
3) Io non oso entrare neppure sul tema delle lingue romanze o neolatine in generale (sul quale pure il prof. Alinei è stato contestato dallo specialista prof. Lorenzo Renzi), per il fatto che io sono specialista in una sola delle lingue neolatine, il sardo. Ebbene, credo di poter affermare, con cognizione di causa, che la tesi del prof. Alinei sulla lingua sarda è completamente errata. In una eventuale nuova edizione della sua opera il prof. Alinei dovrebbe, a mio parere, togliere del tutto quel capitolo XVI. A meno che non decida di rifarlo completamente, non senza essersi prima informato su quanto è stato scritto sulla lingua sarda nell’ultimo cinquantennio, dopo le ultime opere di Max Leopold Wagner, che sono degli anni Sessanta.
4) Anche il signor Jesùs Sanchis ha letto con molta disattenzione il mio articolo, arrivando a formulare giudizi alquanto avventati. Esempio: dice che esistono zone della Romania (cioè dell’antico Impero Romano), nelle quali c’è stata una forte presenza di Romani, ma gli odierni abitanti non parlano affatto una lingua neolatina. Lo sapevo bene, basti pensare alla Grecia. Ma in Sardegna e particolarmente in Barbagia abbiamo una situazione del tutto opposta: c’è stata sicuramente una forte presenza dei Romani, perché lo dimostrano chiarissimamente tutti i suddialetti dei paesi della Barbagia, che sono totalmente e profondamente neolatini. Veda, signor Sanchis, se Lei chiede a un Sardo quale sia il villaggio della Barbagia che sia “il più barbaricino degli altri”, indubitabilmente Le risponderà Orgosolo. Io qualche anno fa ho avuto modo di interessarmi in maniera particolare del dialetto orgolese e, con mio notevole stupore, ho constatato che esso è quasi del tutto identico a quello della vicina mia città natale, Nùoro, del quale ho già citato la mia fortunata opera: Grammatica del Sardo-Nuorese – il più conservativo dei parlari neolatini, Bologna, II edizione 1972, 5ª ristampa 1986. È quasi incredibile: due soli lievissimi fenomeni fonetici differenziano il dialetto di Nùoro da quello di Orgosolo: noi Nuoresi diciamo deke «dieci», luke «luce», pake «pace», mentre gli Orgolesi dicono deqe, luqe, paqe (con la lettera /q/ stiamo ormai scrivendo il “colpo di glottide” barbaricino, che non è altro che un forte iato); noi Nuoresi diciamo fémina «donna», fizu «figlio», focu «foglia», mentre gli Orgolesi dicono émina, izu, oqu (con la caduta della /f/). Questi due lievi fenomeni fonetici del dialetto orgolese e anche di tutti i suddialetti della Barbagia di Ollolai, sono gli unici resti dell’antica lingua prelatina e protosarda. Essi sono tanto lievi, che non è affatto legittimo tentare di trarne tracce e motivi di origine e derivazione. Oltre a ciò, ovviamente, è da citare un centinaio di relitti lessicali, che esistono nei suddialetti barbaricini, come in quasi tutti gli altri sardi. E pure non pochi toponimi.
Ebbene, questo carattere totalmente e profondamente latino di tutti i suddialetti barbaricini trova una sola possibile spiegazione: anche in Barbagia i Romani hanno vinto e stravinto e dominato.
E poi presento un elenco aggiornato dei ponti romani, intatti o deruti, che si trovano in Barbagia e nel centro montano: Illorai, Galtellì, Dorgali, Oliena, Fonni, Gavoi, Isili, Allai e chiedo al signor Sanchis: anche questi ponti risalgono al Neolitico? E risalgono al Neolitico pure le iscrizioni latine che sono state trovate in questi villaggi del Centro montano: Benetutti, Bitti, Orune, Orotelli, Fonni, Austis, Sorgono, Meana, Laconi, Nurallao, Nuragus, Ortueri, Samugheo, Isili, Seulo, Ussassài, Ulassài? Ma non sappiamo tutti che i Romani hanno derivato il loro alfabeto da quello greco (forse anche per tramite dell’etrusco) solamente verso il VI secolo a. C. (Lapis niger 575-550)?

1 commento:

  1. Caro prof. Pittau, in primis grazie per questo suo nuovo articolo.
    La Teoria della continuità di Mario Alinei non può essere ridotta ad una semplice teoria linguistica, essa è anche archeologica, ed infatti uno dei suoi più prestigiosi sostenitori è Marcel Otte uno tra i più autorevoli archeologi contemporanei.
    La teoria della continuità si pone in come una evoluzione e perfezionamento di quanto proposto da Colin Renfrew nel suo libro Archeologia e Linguaggio dove confuta il paradigma indoeuropeistico che "sogna" l'arrivo (in Europa Occidentale) degli indoeuropei nel 2500 a.C..
    I ponti romani sono una tecnologia costruttiva , così come qualche millennio dopo lo saranno i ponti Piemontesi costruiti in Sardegna 2 secoli fa, ma la lingua piemontese non ha soppiantato quella sarda!
    D'altronde la Sardegna tra il VI e il III sec. a.C. è zeppa di ceramica punica. Non vi è nurgahe ancora in uso in quei secoli che non presenti tonnellate di ceramica punica. Eppure lei stesso è un sostenitore del fatto che di lingua punica non vi è quasi traccia!
    La Grecia ed altre area d'Europa sono state (dal punto di vista della cultura materiale) romanizzate ben più della Sardegna, perchè non lo sono state anche linguisticamente.

    Lei ed altri avete scritto che la distanza linguistica tra i nuragici e il latino fece in modo che i nuragici abbandonassero la loro antica lingua e adottassero qualle degli invasori.

    Alinei ha capovolto la questione il sardo era una lingua sorella del latino (entrambe facenti parte del italide , di cui fa parte anche il catalano), ed è per questo che ha quei connottati.


    Siccome gli antenati dei nuragici, sono arrivati in Sardegna passando per l'Isola d'Elba (in tempi compresi tra il paleolitico e il neolitico) e questo c'è lo dice (sino a prova contraria) la genetica, mi pare che quella di Alinei sia una proposta sensata, certamente più verosimile di altre.

    saluti

    Mauro Peppino

    PS: chiedo a lei o ad altri se possono fare unarticolo si modi di dire il si italiano, cioè l' Eya sardo, nei diversi popoli Europei

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