giovedì 20 gennaio 2011

La lingua sarda secondo Mario Alinei

di Massimo Pittau

Debbo riconoscerlo: nella mia qualifica di già professore ordinario di Linguistica Sarda nell’Università di Sassari e soprattutto di autore che finora ha scritto e pubblicato più di tutti gli altri linguisti intorno alla «Lingua Sarda» - ormai molto più dello stesso Max Leopold Wagner – incombeva su di me l’obbligo di esprimere un parere pubblico intorno al capitolo che il prof. Mario Alinei ha dedicato alla nostra lingua, nella sua molto discussa opera “Origine delle lingue d’Europa” – II. Continuità dal Mesolitico all’età del ferro nelle principali aree etnolinguistiche (Bologna 2000, cap. XVI). Se non ho espresso il mio parere sul capitolo dell’Alinei dipende dal fatto che, a lettura finita del capitolo, ho tratto la conclusione che quanto vi risulta scritto è un “disastro”. E questo è dipeso – a mio modesto avviso - dalla circostanza che l’Alinei si è infilato nell’argomento con una notevole disinformazione sia sulla preistoria, protostoria e storia della Sardegna, sia sugli ultimi 50 anni di studi linguistici sul sardo.
Avevo dunque deciso di sorvolare e di tacere. Senonché vado constatando che le tesi dell’Alinei sono state fatte proprie da alcuni intellettuali sardi – che però non sono affatto specialisti di linguistica sarda né di linguistica in generale – i quali le stanno mettendo in circolazione, sia pure non in scritti scientifici. Ed allora ho preso la decisione di esprimere pubblicamente il mio parere sulle tesi dell’Alinei, al quale io formulo le seguenti obiezioni di fondo.
1) Siccome l’Alinei è stato sempre un linguista, io gli contesto il fatto che egli abbia la competenza sufficiente per immischiarsi e discutere di questioni archeologiche, che partono addirittura dal Mesolitico (VII millennio a. C.) o anche dal Neolitico (pag. 642). Per il vero egli si rifà continuamente e solamente a un archeologo sardo, del quale però molti Sardi sanno che ha preso grossi abbagli, l’uno più grande dell’altro.
2) Anche io obietto all’Alinei che in realtà la linguistica storica non ha alcuna possibilità di andare tanto indietro nei secoli. In miei recenti interventi, che ho anche messo in circolazione in vari siti internet, ho segnalato che, rispetto agli studi sul sostrato linguistico prelatino della Sardegna, l’unica cosa quasi certa che possiamo dichiarare in termini cronologici è che un trentina di nomi di piante o fitonimi di chiara “matrice mediterranea” sono ascrivibili alla lingua o alle lingue che parlavano i “Prenuragici”. Ma questi non risultano, sul piano strettamente linguistico, tanto antichi nel tempo, posto che tra gli archeologi la data di inizio della costruzione dei nuraghi non viene riportata oltre il XVI sec. a. C.
3) L’Alinei paga il suo tributo a un “luogo comune”, che in Sardegna va avanti solamente per motivi sciovinistici, secondo cui «i Barbaricini non furono mai romanizzati» (pag. 650). Ma come è possibile che un linguista di professione sostenga una tesi di questo genere? Nei villaggi più isolati della Barbagia si parlano tuttora “dialetti neolatini” e non soltanto rispetto ai fonemi /k/, /g/ (velari), ma anche e soprattutto rispetto alla “struttura grammaticale” e al “lessico”, i quali sono campi molto più importanti e più significativi della fonetica. L’Alinei evidentemente non conosce la mia opera - molto fortunata - che si trova in tutti gli Istituti di Lingue Neolatine d’Europa, Grammatica del Sardo-Nuorese – il più conservativo dei parlari neolatini (Bologna, II edizione 1972, 5ª ristampa 1986). Anche nel lessico di questi dialetti latino-barbaricini i relitti prelatini sono scarsissimi. Nella mia recente opera La Lingua Sardiana o dei Protosardi, Cagliari 2001 (Libreria Koinè Sassari) sono riuscito a raggranellarne solamente 350 circa. E analoghi risultati ho ottenuto nello studio di circa 20.000 toponimi della Sardegna centrale, quali risulteranno in una mia ampia opera di imminente pubblicazione: l’82,5% dei toponimi sono neolatini e solamente il 12,5% sono prelatini.
4) L’Alinei ignora il fatto, storicamente accertato, dell’esistenza del tracciato di una strada romana che attraversava, da nord a sud, non solo la Barbagia, ma anche tutto il Centro montano dell’Isola, con mansioni a Caput Tyrsi (Sant’Efis di Orune), Mamoiada (dal lat. mansio manubiata «stazione controllata»), Fonni (Sorabile), Austis (da Forum Augusti), Meana (da lat. Mediana) e Valentia (presso Nuragus). Di questi toponimi il più significativo è di certo Austis (mediev. Augustis), dato che ci assicura che proprio all’epoca di Augusto - il quale aveva avocato a sé l’amministrazione della Provincia Sardinia - risale il periodo della massima pressione dei Romani sui Barbaricini.
Evidentemente l’Alinei ignora che resti archeologici romani esistono tuttora a Sant’Efis, Sorabile, Austis e ponti romani a Illorai, Oliena, Dorgali, Fonni, Gavoi; che iscrizioni latine sono state trovate in tutti questi villaggi del Centro montano: Benetutti, Bitti, Orune, Orotelli, Fonni, Austis, Sorgono, Meana, Laconi, Nurallao, Nuragus, Ortueri, Samugheo, Isili, Seulo, Ussassài, Ulassài.
Egli ignora che nel centro montano sono tuttora attestati questi cognomi e toponimi di chiara origine latina: Biteddi, Calvisi, Creschentina, Curreli, Lisini, Mameli, Marcheddine, Marongiu, Masuri, Monni, Pascasi, Prischiani, Serusi, Sisini, Useli, Valeri, Vavori, Verachi, Viriddi, Viseni, i quali sono evidentemente da riportare ai gentilizi o cognomina latini Vitellius, Calvisius, Cornelius o Currelius, Crescentinus-a, Lisinius, Mamelius, Marcellinus, Maronius, Masurius, Monnius, Paschasius, Priscianus, Selusius, Sisinius, *Uselius, Valerius, Favorius, Veracius, Virillius, Visenius (H. Solin et O. Salomies, Repertorium nominum gentilium et cognominum Latinorum, Hildesheim-Zürich-New York 1988), tutti - meno uno - nella forma del vocativo.
La presenza di tutto questo abbondantissimo materiale linguistico latino nel centro montano l’Alinei non la nega, ma egli la riporta all’età neolitica (VI-IV millennio a. C.) come relitto di quella che egli chiama lingua “italide”.
Senonché in tutte le discipline scientifiche si ha il dovere e pure l’interesse a optare sempre per la soluzione più ovvia e più semplice o meno costosa dei problemi ed è immensamente meno costoso riportare la latinità linguistica della Barbagia all’epoca della conquista militare e politica della Sardegna da parte dei Romani (più precisamente, dalla fine della Repubblica ai primi decenni dell’Impero) che non ai millenni lontanissimi e nebulosi del Mesolitito e del Neolitico.
D’altronde, in codesta sua ipotesi, come spiegherebbe l’Alinei le iscrizioni latine, i resti archeologici e i ponti romani che si trovano in tutta la Barbagia, perfino nei suoi siti più isolati? Anche questi risalirebbero al Mesolitico e al Neolitico?
5) Secondo l’Alinei la divisione delle «aree linguistiche Gallurese-Sassarese, Nuorese-Logudorese e Campidanese è riconoscibile fin dal Neolitico» (pag. 665). Mi dichiaro esterrefatto. Come fa a dimostrarlo?
6) Egli parla di influenze linguistiche celtiche in Sardegna (pagg. 674-678), ma non ne presenta una sola convincente.
7) Egli presenta l’area sassarese come “centro di diffusione linguistica” (pagg. 680-681). Ma Sassari non lo è mai stato, come dimostra il fatto che tutti i paesi che gli stanno attorno, anche quelli vicinissimi, parlano il “logudorese” e nient’affatto il “sassarese”.
8) Infine, premesso che l’Alinei ha ignorato quanto io avevo sostenuto, circa l’etimologia dell’appellativo protosardo nuraghe in un mio intervento nel Convegno “Per Giovanni Flechia” (Ivrea 6/12/1992) (ripubblicato dopo nella mia opera Ulisse e Nausica in Sardegna, 1994; e adesso nel mio Dizionario della Lingua Sarda – fraseologico ed etimologico, vol. II 858), chiedo all’egregio collega, se era in vena di umorismo quando ha scritto che l’appellativo nuraghe deriva da nura «nuora» (pag. 684)...

11 commenti:

  1. Caro prof. Pittau, in primis moltissime grazie per il suo prezioso articolo.
    Spero che il Prof. Alinei voglia rispondere alle sue critiche, io, in quanto sostenitore della teoria della continuità di Mario Alinei proverò difendere la tesi che condivido nei tratti generali.
    Quale lingua parlavano le genti nuragiche? quale quelle prenuragiche?
    Lei ben sa che sull'argomento esistono una serie di cozzanti opinioni.
    Alcuni (Sardella; Dedola) proposero la tesi sumero accadica.
    Altri (Paulis) non si pronunciano.
    Uno (Areddu) propone l'illirico.
    Un'altro (Blasco Ferrer) l'ibero-basco.
    Un'altro (Ligia) il greco.
    Forse me ne dimentico qualcuno, ma arriviamo a lei, lei (Massimo Pittau) ci dice che nel XIII secolo arrivarono in Sardegna dei Lidi che si mischiarono coi nuragici.
    Da qual momento (dal XIII a.C.) per lei gli indigeni nuragici mescidati coi lidi iniziano a parlare il lidio.
    Che in Sardegna arrivarono genti anatoliche (gli shardana) nel XIII secolo a.C. lo penso anch'io e bisognerebbe capire (e su questo credo che i suoi studi saranno utilissimi) quale fu il loro apporto linguistico.
    Ma non penso che le genti che arrivarono nel XIII fossero numerosi sino al punto di cambiare radicalmente i connotati dell'idioma nuragico.
    Sono del parere che nel periodo nuragico ( e anche prenuragico) in Sardegna si parlassero tre lingue: il corso nell'attuale gallura, il balarico (nell'attuale area lugudorese) e l'iliense (nell'area del campidanese), pregnanti a questo riguardo solo gli scritti di Walter Bellodi (figlio della nostra comune amica Dolores Turchi).

    Ovviamente i connotati di queste tre lingue furono modificati dal Latino, ma penso che appartenevano al gruppo italide (l'italide oltre alla penisola italiana comprendeva anche la provenza e la catalagna) come ben dimostrò uno dei maggiori archeologi del Novecento (Colin Renfrew, vedi archeologia e linguaggio 1987) e poi Alinei.
    Aggiungo che in Sardegna poteva trattarsi di un italide con venature illiriche, di illiri arrivati nel paleolitico.

    Caro Massimo Pittau, le vorrei chiedere molte cose , come mai ad Alghero si continua a parlare Catalano, anche se da 300 anni la Sardegna è di mano...

    Come mai i sardi degli ultimi 1000 anni sono stati conservativi della loro lingua, resistenti agli spagnoli e agli italiani, ma si stanno arrendendo a mamma RAI.

    Come mai i sardi dell'epoca romana avrebbero abbandonato il loro idioma?

    Come mai in nessun paese della Sardegna non vi è traccia linguistica del precedente idioma, credo che Alinei (e prima di lui Vittorio Angius) abbiano azzeccato, se si capovolge il problema e si inquadra la lingua nuragica entro l'italide , tutto diventa chiaro e più convincente.

    saluti

    Mauro Peppino Zedda

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  2. Scendere “pe’ li rami” degli idiomi con l’idea di arrivare a conoscere le radici, mi dà l’impressione di una disciplina “ardua, difficile, quasi impossibile” come direbbe un mio vecchio insegnante di Italiano dei tempi del liceo. Vero è, carissimo Professor Pittau, che, come in tutte le discipline, i risultati non sono identici per tutti: c’è chi sa “scendere” e chi, invece, precipita nel baratro oscuro di lontani millenni. E questo succede facilmente a chi si affida, senza neanche un tentavo di verifica, al “ipse dixit”, rifiutando per principio ogni voce dissonante.
    Sardegna? Lingua sarda? Chi è il luminare che si occupa, o si è occupato, facendo scuola,di cose antiche nell’isola, Tizio? Benissimo, tanto basta per essere tranquilli nella “discesa”, i sostegni di Tizio sono solidi. Poi, magari, con quella disciplina poco hanno a che vedere e, per di più, solidi non sono. È allora che la discesa diventa rovinosa caduta.
    Non sono, Professore, all’altezza di giudicare le evoluzioni (uso questo termine poco attinente e poco rispettoso, nei Suoi confronti, ma mi affascinano le acrobazie funamboliche di qualche altro) di voi specialisti di linguaggi. Ho, però, una domanda che mi intriga fortemente; Gliela faccio anche se so che un linguista difficilmente potrà rispondere: alla luce della teoria darwiniana sull’evoluzione, dato che non ci imbatteremo mai in un suono ( o dovrei dire fonema?) fossile, come si spiega l’abissale differenza fra l’uomo e gli (altri) animali, quanto al linguaggio?
    Cordiali saluti.

    Elio

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  3. Nel suo articolo, Massimo Pittau parla della significativa presenza dei romani nella Barbagia, e usa questi dati per sottolineare il possibile prozesso di sostituzione linguistica dal pre-romano nuragigo al posteriore latino vulgare sardo nuorose. L'argomento sembra forte, ma forse non lo è tanto. Nel territorio dell'antico impero romano ci sono molte aree dove si può verificare una forta presenza romana ma in molte di queste aree non si parla adesso nessuna lingua 'romanica'. Non c'è un rapporto diretto tra livello di romanizzazione e posteriore lingua parlata in un'area. È vero, nonostante, che la lingua dei conqueritori è stata, nella Sardegna e in altri luoghi, una importante influenza di superstratto.

    Le teorie di Alinei sono ancora giovane, ci manca ancora una profundizazzione nelle tesi e neglia argomenti. Un punto importante è che non si tratta di una teoria disegnata ad hoc per chiarire l'origine di un supposto protosardo o d'altre possibili protolingue. Le idee di Alinei sulle lingue antiche di Sardegna si inseriscono in un contesto maggiore, un nuovo approccio o paradigma per capire i processi linguistichi dell'antichità. Bisognerebbe indagare molto di più nelle proposte di Alinei per vedere se sono accetabili, ed è piacevole che ci siano dei linguisti che le prendono sul serio.

    Per quanto riguarda la Sardegna, non vedo nelle altre teorie, inclosa quella di Pittau, argomenti forte per accettarle senza dubbio. La critica de Pittau verso la teoria di Alinei si fonda su argomenti che sono, egli stessi, discutibili.

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  4. Caro Mauro Zedda,

    Lei ha sempre constatato di persona che in tutte le occasioni che mi si sono presentate, io ho detto pubblicamente che Mauro Zedda ha il merito notevolissimo di aver finalmente fatto entrare nello studio della civiltà nuragica anche la prospettiva “astronomica”: anche i Nuragici veneravano gli astri come divinità, ne traevano auspici, ne deducevano notazioni temporali e orientavano le loro costruzioni religiose e funerarie. Attività che praticavano tutti i popoli civili dell’antichità, ma che non compaiono mai, neppure per caso, nei testi dei padreterni dell’archeologia sarda.

    E riconosco pure che, per mandare avanti i Suoi studi, ha finito col farsi una buona preparazione archeologica. Invece nessuna analoga preparazione Lei ha mai mostrato di essersi fatto in termini di scienza linguistica. Mi sia sufficiente presentare due esempi: I) Lei mi contrappone alcuni libri, i quali in effetti valgono zero dal punto di vista della scienza linguistica, anzi meno di zero, dato che, scritti da dilettanti, sono stracarichi di errori madornali. II) Lei al mio articoletto relativo a ciò che Mario Alinei ha scritto sulla lingua sarda ha opposto obiezioni, alcune delle quali sono troppo generali (ed io per rispondere dovrei riportare quanto ho scritto in interi miei libri), altre sono impostate radicalmente male.

    Sì, ormai siamo in molti a sapere che Lei è troppo impulsivo, ragion per cui talvolta interviene ed obietta mostrando di non aver letto con sufficiente attenzione le tesi dei suoi oppositori.

    Tutto ciò premesso, La invito a rileggere con attenzione il mio scritto e dopo mi faccia pure le Sue obiezioni, ma che siano strettamente connesse con le mie tesi od affermazioni.

    Con stima e cordialità

    Massimo Pittau



    Poscritto: Ancora una volta Le chiedo un favore: non accolga nel Suo blog miei obiettori che non si firmano chiaramente.

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  5. Caro Prof Pittau la mia adesione alla teoria della continuità di Alinei ed altri è stato un processo tutt’altro che avventato.
    In primis bisognerebbe considerare la geografia e analizzare la questione sarda assieme a quella dell’isola sorella , la Corsica:
    Dalla Corsica (nella parte nord della litoranea orientale) si vedono con chiarezza l'isola di Capraia e l'Isola d'Elba, appaiono assai più vicine delle poche decine di km che le separano dalla Corsica, sono raggiungibili con delle semplici canoe.
    Nell'arcipelago corso-sardo o sardo-corso si parlano (escludendo il genovese tabarchino e il catalano algherese) 5 varianti linguistiche, il corso del nord (senz'altro una delle lingue più affine all'italian-toscano), il corso del sud, il gallurese, il lugudorese e il campidanese.
    Quali linguaggi parlavano quelle genti nel periodo pre-romano?
    Alinei sostiene che la differenziazione delle 5 aree è antichissima e che tutte le varianti appartenevano al cosiddetto italide (da non confondere con l'italiano), mi verrebbe da aggiungere italide nella versione tirrenide.
    l'archeologia gli da pienamente ragione, le cinque aree nel periodo preistorico e protostorico mostrano delle differenze archeologiche rilevanti e significative.
    Ne elenco qualcuna (il ordine cronologico):
    1)le domus de janas non sono presenti in Corsica nè in Gallura;
    2) i circoli dolmenici tipo Li Muri sono presenti solo in Corsica e in Gallura;
    3) i dolmen sono assenti nell'area a parlata campidanese;
    4) i nuraghi dell'area a parlata campidanese non hanno la rampa in andito, mentre quelli dell'area a parlata lugudorese hanno la rampa in andito (vedi il libro Archeologia del Paesaggio Nuragico);
    5) in Corsica è assente la tomba di giganti
    6) In Corsica del sud sono presenti costruzioni assimilabili ai nuraghi
    7) nella Corsica del Bronzo medio è presente la facies ceramiche presente negli Appennini toscani.

    Insomma ritengo che l'archeologia dimostri che nell'arcipelago sardo-corso esistevano 5 etnie che oltre alle affinità e contatti presentavano delle differenze, 5 etnie archeologiche che coincidono con le attuali 5 popolazioni linguistiche.
    Il cambio di paradigma che propone Alinei (che nell'arcipelago sardo corso si parlava italide dalla notte dei tempi), ben si inquadra con la genetica.
    Caro prof Pittau, chiedo come mai i corsi si sono fatti da prima toscanizzare (ma non del tutto vi sono delle parole "sarde" (in realtà sardo corse)) ma poi non si sono fatti francesizzare (se non nel dopoguerra come i sardi).
    E perchè i sardi dopo essersi fatti romanizzare al 100% non si sono fatti nè ispanizzare nè italianizzare (prima di mamma Rai).
    In realtà nella Corsica settentrionale i contatti e le influenze con la Toscana sono millenari.
    La genetica ha dimostrato che le genti che popolano la Sardegna e la Corsica discendano (in stragrande maggioranza)da genti che (nel paleolitico) arrivano passando dall'isola d'Elba, e che l'ipotesi che il parlare dei nuragici fosse una lingua indoeuropea appartenete al ceppo italide la considero la più verosimile.
    Aggiungo che in Sardegna arrivarono nel 25000 a.C genti balcaniche, che poi in Corsica si estinsero nell'ultima glaciazione, e che quindi l'italide sardo contiene delle venature slave o illiriche che dir si voglia.
    Che poi in tempi recenti (3300 anni fa) nel XIII sec. a.C. arrivarono delle genti anatoliche che sbarcarano a Calaris lo ritengo quasi certo.
    Dar ragione a lei linguista , assieme a Garbini, e agli archeologi, Godart, Vagnetti, Sandars (ecc.) che vedono l'arrivo degli shardana 3300 anni fa non inficia la proposta di Alinei.

    saluti

    mauro peppino

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  6. Stia tranquillo professore, sono d'accordo con lei, sul fatto che anonimi che criticano senza mostrare la faccia debbano essere cassati.

    Elio è l'anagramma di E(fisio) Loi, cittadino isilese, che di notte sogna Norace (veda i suoi racocnti nel blog di Pintore) ed è dirigente dell' UniTre di Isili.


    saluti
    mauro peppino

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  7. Ci faccia per cortesia avere i richiami agli articoli di genetica che supportano le sue tesi.
    Grazie.

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  8. All'anonimo delle 17.48, lo invito alla lettura del cap 4 (e alla bibliografia citata) del libro Archelogia del Paesaggio Nuragico

    cosrdiali saluti

    mauro peppino

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  9. Quindi dobbiamo comprare il suo libro, oppure crederle per fede, vero?

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  10. @ anonimo dlele 16.17
    Faccia come crede, ma sappia che esistono anche le biblioteche, dove i libri si leggono gratuitamente.

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  11. La teoria della Continuità di Alinei e altri è piuttosto anticonformista rispetto a quelle finora in voga. Siamo passati da cattivi e feroci conquistatori provenienti dalle steppe euro-asiatiche, a pacifici, o quasi, abitatori dell'Europa da tempo immemorabile. Fin qui nulla dire, perché no? Le conseguenze estreme della teoria portano a sostenere che gli attuali dialetti italiani(e non solo) non derivano direttamente dal latino ma da 'italidi' imparentati con il latino. Anzi parecchi termini latini sono giunti al latino per il tramite dei dialetti. Cito un esempio tratto da
    IL PRATO E IL CAMPO PELATO di Alfio Lanaia in Bollettino Centro di studi filologici e linguistici siciliani. Palermo 2007.
    Il lat. pratum “prato”, senza etimologia, potrebbe essere interpretato come
    un derivato dal lat. pilatus “pelato” attraverso una fase intermedia rappresentata
    dalla variante rotacizzata del lig. prau “pelato”, a sua volta sviluppo
    «normale» del lat. pilatus.
    Ora, io sono ligure e noto che "pelato" si dice peràu/peàu/piòu/peiòu non prau. O meglio forme simili (prau/prà) esistono ma in dialetti vicini a zone dove si parla piemontese (nord della Provincia di Savona per es.), quindi con influenze fonetiche piemontesi. Concediamo pure il beneficio del dubbio, che si tratti cioè di questa forma di ligure di frontiera
    ma se la trafila è: lat. pilatus > lig. prau > lat. pratum,sarei curioso che venisse spiegato da dove risalta fuori la -t- che era andata perduta nel passaggio da pilatus a prau.
    E' questo il punto debole, a mio parere, della teoria, il non voler ammettere che i dialetti attuali discendano dal latino. Del resto, lo stesso processo si sta verificando anche ai giorni nostri con l'italiano. Inesorabilmente sta sommergendo le altre lingue e dialetti. fra 100 anni, o anche prima, della infinita varietà dialettale 'italiana' resterà solo qualche traccia lessicale, fonetica e forse morfologica.
    Se nel futuro una qualche catastrofe mettesse fine alla civiltà tecnologica, molto probabilmente si riformerebbe, con il passar del tempo, una nuova divisione dialettale. Futuri epigoni della teoria della continuità spiegherebbero ciò, molto probabilmente, con la presenza di 'italidi' imparentati con l'italiano...
    Giovanni Soleri

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