di Mauro Peppino Zedda
In un recente libro “La mensa dei
Nuragici” Mauro Perra ha scritto di essere più interessato
all'archeogastronomia che all'archeoastronomia. Unitamente a
segnalare il piacere di leggere le sue ipotesi archeogastronomiche,
non posso fare a meno di rimarcare l'assurdità del paragone, infatti
un archeologo che si rispetti deve tenere in conto ogni dettaglio,
dal più rilevante (l'importanza del Sole e degli astri nella cultura
umana) al meno rilevante. Nel leggere la mensa dei nuragici mi venne
in mente di segnalare a Perra un passo di Dante “fatti non foste
per viver come bruti ma per seguire virtù e conoscenze”.
Che sia importante continuare a
studiare la dieta dei nuragici non lo metto in dubbio, sono ormai due
secoli che gli archeologi ci parlano di scodelle, tegami e ciotole,
non chiedo loro di smettere di studiare i tegami ma di trovare un
pochino di tempo per volgere lo sguardo anche verso il cielo.
È assurdo che nel 2018 la scuola
archeologica sarda non abbia ancora compreso l'utilità
dell'archeoastronomia al fine di comprendere il pensiero, la visione
del mondo, la spiritualità del mondo nuragico.
In un più recente libro Il tempo dei
Nuraghi (a cura di A. Perra, T. Cossu, A.Usai con 28 autori) in un
capitolo curato da A. Usai leggiamo (pag 25) “Se ci pensiamo
bene, gli uomini e le donne che vivevano in Sardegna durante le Età
del bronzo e del Ferro dovevano conoscere alla perfezione tutte le
opportunità e tutti i pericoli del loro ambiente: sorgenti, pozzi e
pozze, acque termali, saline, guadi, sentieri, valichi, strettoie,
grotte, ripari, nascondigli, luoghi d'avvistamento e appostamento,
punti di passaggio della selvaggina, cave, miniere, approdi, legname,
alberi da frutto, bacche oleose, erbe salutari, funghi, droghe,
veleni e così via” quei nessun accenno all'importanza di
elementi fondamentali come il Sole e la Luna; poi in altro capitolo
scrive (pag 45) “ la proliferazione dei nuraghi, proprio perché
costosa e gravosa, suggerisce che fosse considerato importante
marcare la conquista di nuove terre con la costruzione di un
monumento, al di là delle sue funzioni materiali. Era questa una
ripetizione di atti quasi rituali, sebbene apparentemente non
connessi con alcun culto, miranti a perpetuare una tradizione, come
una sorta di incessante rifondazione sociale, o come una celebrazione
di antiche conquiste o una riaffermazione di un mitico ordine
cosmogonico? Io credo che il senso generale dei nuraghi e degli altri
monumenti nuragici possa essere compreso solo nell'ambito delle
dinamiche sociali ed economiche di grande portata. Tuttavia alcuni
particolari potrebbero essere almeno inquadrati facendo riferimento a
un mondo simbolico per noi oscuro, ma che per i protagonisti di
allora poteva costituire un codice condiviso. Per esempio ferme
restando le ragioni di fondo, è possibile che la costruzione di un
nuraghe o insediamento o tomba o tempio, oppure la loro ubicazione,
fosse decisa a seguito di vaticini, presagi, sogni, allucinazioni o
altri presunti “segni” come la caduta di un fulmine, lo scoppio
di un incendio, la nascita o la morte di una persona o di un animale,
l'accadimento di fatti inspiegabili o preannunciati da racconti
mitici? È possibile che per iniziare la costruzione si aspettasse un
momento particolare definito da una speciale posizione di uno o più
astri, oppure che il monumento venisse venisse orientato in modo tale
da registrare la data d'inizio della costruzione? Sulla scorta di
simili valutazioni si potrebbero ricondurre ad un quadro di
riferimento, senza spiegarle, le forti oscillazioni di orientamento e
altre apparenti stranezze; ma ciò non rivelerebbe la natura e
funzione dei nuraghi, che è azzardato cercare al di fuori del legame
con la terra, le risorse e le attività umane.”
Questi concetti Usai li aveva già
espressi in un suo articolo inserito nel volume l'Isola delle Torri a
cui risposi in questo blog (cfr Alessandro Usai e la disposizione deinuraghi).
In quel libro mise il mio Archeologia
del Paesaggio Nuragico in bibliografia mentre ora ha ritenuto di non
mettere riferimenti ai miei studi, anche se ne attinge a piene mani.
Il paradigma militarista viene
fortemente ridimensionato ma Usai e Perra (comunque sia, le punte più
avanzate dell'archeologia sarda) brancolano ancora nel buio.
Per descrivere il loro agire non trovo
di meglio che un riferimento al mito della caverna di Platone che ne
La Repubblica scrive:
“Dentro una dimora sotterranea a
forma di caverna […] pensa di vedere uomini che vi stiano dentro
sin da fanciulli, incatenati gambe e collo, si da dover restare fermi
e da poter vedere soltanto in avanti, incapaci, a causa della catena,
di volgere attorno il capo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la
luce d'un fuoco [...] Immagina di vedere uomini che portano lungo il
muricciolo oggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e
altre figure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e,
come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono. - Strana
immagine è la tua, disse, e strani sono quei prigionieri. -
Somigliano a noi risposi; credi che che tali persone possano vedere,
anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombre proiettate dal
fuoco sulla parete della caverna che sta loro di fronte? E come
possono, replicò, se sono costretti a tenere immobile il capo tutta
la vita? E per gli oggetti che trasportano non è lo stesso?
Sicuramente. […] Esamina
ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dalle catene e guarire
dall'incoscienza. Metti che capitasse loro naturalmente un caso come
questo: che uno fosse sciolto, costretto improvvisamente ad alzarsi,
a girare attorno il capo, a camminare e levare lo sguardo alla luce;
e che così facendo provasse dolore e barbuglio lo rendesse incapace
di scorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Che cosa
credi che risponderebbe, se gli si dicesse che prima vedeva vacuità
prive di senso, ma che ora, essendo più vicino a ciò che è ed
essendo rivolto verso oggetti aventi più essere, può vedere meglio?
E se, mostrandogli anche ciascuno degli oggetti che passano, gli si
domandasse e lo si costringesse a rispondere che cosa è? Non credi
che rimarrebbe dubbioso e giudicherebbe più vere le cose che vedeva
prima di quelle che gli fossero mostrate adesso? Certo, rispose.
E se lo si costringesse a guardare
la luce stessa, non sentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe
volgendosi verso gli oggetti di cui può sostenere la vista? E non li
giudicherebbe realmente più chiari di quelli che gli fossero
mostrati? È così, rispose. Se poi, continuai, lo si trascinasse via
da lì a forza, su per l'ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse
prima di averlo tratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non
s'irriterebbe di essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i
suoi occhi abbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose che
ora sono dette vere. Non potrebbe, certo, rispose, almeno
all'improvviso. Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il
mondo superiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre e poi
le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei loro
riflessi nell'acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi,
volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potrà
contemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso più
facilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole. Come no?
Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale è veramente
il sole, non le sue immagini nelle acque o su altra superficie, ma il
sole in se stesso, nella regione che gli è propria. Per forza,
disse. Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere che è
esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose
del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello
che egli e i suoi compagni vedevano.”
Il discorso di Platone continua sempre
più avvincente e denso di significato epistemologico, nel leggere il
contenuto del libro curato da Cossu, Perra e Usai il mio pensiero,
come d'incanto, è andato a parare nell'allegoria della caverna
descritta da Platone. Mi pare perfettamente calzante con le catene
culturali imposte da Lilliu al mondo dell'archeologia sarda.
Nessun commento:
Posta un commento