Schopenhaur, il grande filosofo, amava sottolineare quanta poca considerazione ci fosse per chi approcciandosi allo studio di una disciplina, lo facesse per mero piacere personale, per diletto appunto. Solitamente si ritiene che solo la motivazione economica possa spingere ad uno studio approfondito, sistematico di una materia, al fine di trarne una professione e professionista è chi viene pagato per compiere questo. Eppure la parola dilettante, che definisce chi per diletto o piacere si dedica ad un qualcosa, nonostante venga usata con un retrogusto dispregiativo, se compresa nel profondo, definisce una condizione che ha del sublime. Indica infatti l’amore per una passione, per una materia, per l’attitudine al conoscere e al comprendere, dove unica ricompensa sta nella sensazione di autorealizzazione che si ricava dal dedicarsi a qualcosa che in ultima analisi, si ama.
Così
questo nuovo lavoro di Paolo Littarru, ingegnere
per l’ambiente e il territorio, dottore di ricerca in Ingegneria
chimica per l’ambiente e la sicurezza e specializzato in Sicurezza
e protezione industriale presso la Sapienza – Università di Roma,
cultore di archeologia e archeoastronomia è coautore della Guida
archeoastronomica al nuraghe Santu Antine di Torralba (Agorà
Nuragica, 2003), “Il
contadino che indica la luna” è il racconto, essendone egli stato
partecipe, di un viaggio intellettuale che un dilettante in
archeologia, giacchè di professione contadino, Mauro Peppino Zedda,
ha compiuto, per difendere e diffondere un’idea.
L’evolversi
della vicenda trae origine a partire, come spesso avviene nelle
scienze, da un’intuizione poi rivelatasi corretta: l’esistenza di
una “ratio” astronomica nella distribuzione dei nuraghi nel
territorio. Ma come reagì l’accademia quando galileo propose il
suo modello eliocentrico in guisa di quello geocentrico? come reagì
l’accademia quando un umile impiegato dell’ufficio brevetti
svizzero propose la “teoria della relatività”? ecco che il
viaggio del nostro protagonista non può non essere privo di
ostacoli, trabocchetti, mostri da affrontare e paure da vincere.
Nemo
propheta in patria. Questa storia ha infatti la bizzarra
caratteristica per la quale il mondo archeoastronomico/accademico
internazionale ha riconosciuto e fatte proprie le idee del nostro
contadino/dilettante, inserendo queste in articoli scientifici e
pubblicazioni di spessore mondiale. Ma in Patria? Beh in patria egli
appunto non è “propheta”.
L’archeologia
sarda accademica ha respinto totalmente e in totale chiusura queste
scoperte, arroccandosi, è proprio il caso di dirlo!, nel paradigma
del “nuraghe fortezza” dal quale solo ora e molto timidamente
cerca di fuoriuscire. L’autore analizza dunque questo evento
storico culturale, la morte del paradigma di riferimenti
dell’archeologia sarda e il lento passaggio verso un nuovo sistema
interpretativo che dovrà, evidentemente, avere come punto di
partenza le scoperte del nostro contadino/dilettante.
L’opera
racchiude in se e riassume un ventennio di scoperte, confronti, liti,
incomprensioni e amore per la verità scientifica la dove emerge
incontrovertibile. La lotta quindi di una “nuova visione delle
cose” che si fa largo, forte di se stessa, in un mondo che la
ostacola, arroccato in concezioni vecchie, superate, ma che
evidentemente forniscono ai professionisti sicurezza, giacché non
implicano la necessità di doversi ripensare ciò che è dato.
L’opera
di Paolo immerge il lettore in questo viaggio che potremmo definire
un’avventura culturale e umana, dove varie altre figure, oltre al
nostro contadino ( quali il nostro ingegnere, il nostro linguista, il
nostro architetto il nostro storico delle religioni e il nostro
giovane archeologo) rubano per diletto la “piccozza”
dell’archeologo e cercano di demolire un muro di incomprensione che
impedisce alla nostra storia di emergere in tutta la sua bellezza.
Il
panorama archeologico e culturale sardo aveva proprio bisogno di
un’opera capace, in maniera concisa e diretta, di descrivere, quasi
in una sorta di autoanalisi, il dramma che la sostituzione del
vecchio paradigma inevitabilmente comporta nel contesto che lo vive.
Il lettore potrà trovare in esso le principali teorie e concezioni
che sussumono la nuova visione del mondo nuragico, riportate e
scandite in maniera cronologica e con una sequenzialità di
ragionamento ineccepibile, da qui, se ne avrà diletto, potrà
approfondire la visione di ciascun autore ricercandone le opere.
L’opera appare dunque quasi come una bussola che laddove ci si
senta sperduti, giunge in soccorso guidandoci e fornendo
un’immancabile occasione per comprendere meglio il nostro passato.
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