martedì 2 gennaio 2018

Spocchia dell’archeologia e archeologia della spocchia in Sardegna Consuntivo di un anno di attenzione e studio

di Franco Laner

Già l’atteggiamento altezzoso dà fastidio. Se però esso è accompagnato dal vuoto, il fastidio si trasforma in disagio. Voglio dire che si può tollerare la superbia di uno studioso vero, anche se l’umiltà paga con gli interessi, ma qualora l’altezzosità sia accompagnata dall’ignoranza, il rifiuto è doveroso e il malessere giustificato.
Questa è la sintesi di alcuni episodi provocati dai miei tentativi di capire gli ultimi eventi archeologici sardi, come la vicenda di Monte Prama, all’apice dell’interesse archeologico nell’Isola, assolutamente sconosciuta altrove, nonostante i tentativi promozionali della Regione, in particolare turistici.
Eppure l’anno si era aperto per me positivamente. Avevo chiesto di partecipare con una relazione sui risultati di caratterizzazione meccanica del biocalcare di Monte Prama al Convegno regionale “Notizie e scavi della Sardegna nuragica”, Serri, 20 aprile 2017. Dapprima la memoria era stata accettata e inserita nel programma del Convegno. Successivamente mi sono state chieste informazioni su come avessi reperito i frammenti sottoposti a prova. La relazione è stata quindi declassata a poster. Alla fine non relazionai sui risultati di caratterizzazione meccanica, che dimostrano che le statue non potevano stare in piedi, con buona pace degli organizzatori e dell’archeologia ufficiale, che non vuole discutere nemmeno alla luce dei dati di sperimentazione eseguiti da Laboratori specializzati.
Pazienza. E che dire della Soprintendenza archeologica di Cagliari che rifiuta sistematicamente ogni confronto su evidenti discrasie ricostruttive delle statue, con errori evidenti e dimostrabili, pur di sostenere assunti fantasiosi, come definire modello di nuraghe capitelli quadrati, scambiare chevron con parapetti apicali di legno dei nuraghi, ricostruire scudi quadripartiti al posto dei chiari pentapartiti ed attaccare membra posticce a corpi casuali con il risultato di esibire anacronistici Frankestein.
Trovo del tutto indegno il rifiuto della Soprintendenza - posso esibire il carteggio intercorso - ad uno studioso, pur esterno all’Archeologia sarda, accademico di disciplina non estranea ad una visione interdisciplinare e capace di apporti originali, di effettuare prove meccaniche e petrografiche, pur previste dal protocollo di indagine sulle statue, in assenza anche di dati del Dipartimento di Geologia di Cagliari. In altre parole, è concepibile ragionare, ricomporre, esibire oggetti di cui non si conosce la sostanza, la durabilità, la resistenza meccanica e quindi la scolpibilità?
Fortunatamente si possono ancora pubblicare nel nostro Paese i risultati di studi e ricerche, dedurre consequenziali giudizi e sottoporsi al confronto delle risultanze. Perciò ho potuto pubblicare “Indagini su Monte Prama” di cui sono orgoglioso, nonostante i legittimi giudizi dispregiativi, mai comunque sostenuti da prove, da logica o critica scientifica. I pochi giudizi sono stati espressi in forma anonima, quindi vigliacca.
Già vent’anni fa con “Accabadora” mi esposi sostenendo teorie distanti dall’ufficialità, lo stesso ho fatto con “Sa ‘ena” ed ora con queste “Indagini” ho chiuso la mia avventura archeologica sarda.
Mi dispiace che l’Archeologia si sia seduta sul coperchio dell’incommensurabile scrigno del patrimonio archeologico. Il peso enorme dei culi di pietrameri burocrati – impedisce che si sollevi il coperchio e che si goda del contenuto, sia culturalmente, sia economicamente.
Infine, per la gioia degli occhi ecco due foto, che M. Muscas mi ha spedito da Santa Cristina, straordinario monumento della storia dell’architettura mediterranea. La terra e il sole visti dalla luna e il sole nella geometria del pozzo. Astronomia che gli archeologi sardi non riescono a coniugare con l’archeologia, troppo intenti a solo ciò che brilla sulla punta del piccone, incapaci di alzare gli occhi della mente.

Venezia, 1 gennaio 2018


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