di Franco Laner
Già l’atteggiamento altezzoso dà fastidio. Se però esso è
accompagnato dal vuoto, il fastidio si trasforma in disagio. Voglio dire che si
può tollerare la superbia di uno studioso vero, anche se l’umiltà paga con gli
interessi, ma qualora l’altezzosità sia accompagnata dall’ignoranza, il rifiuto
è doveroso e il malessere giustificato.
Questa è la sintesi di alcuni episodi provocati dai miei
tentativi di capire gli ultimi eventi archeologici sardi, come la vicenda di
Monte Prama, all’apice dell’interesse archeologico nell’Isola, assolutamente
sconosciuta altrove, nonostante i tentativi promozionali della Regione, in
particolare turistici.
Eppure l’anno si era aperto per me positivamente. Avevo
chiesto di partecipare con una relazione sui risultati di caratterizzazione
meccanica del biocalcare di Monte Prama al Convegno regionale “Notizie e scavi
della Sardegna nuragica”, Serri, 20 aprile 2017. Dapprima la memoria era stata
accettata e inserita nel programma del Convegno. Successivamente mi sono state
chieste informazioni su come avessi reperito i frammenti sottoposti a prova. La
relazione è stata quindi declassata a poster. Alla fine non relazionai sui
risultati di caratterizzazione meccanica, che dimostrano che le statue non
potevano stare in piedi, con buona pace degli organizzatori e dell’archeologia
ufficiale, che non vuole discutere nemmeno alla luce dei dati di sperimentazione
eseguiti da Laboratori specializzati.
Pazienza. E che dire della Soprintendenza archeologica di
Cagliari che rifiuta sistematicamente ogni confronto su evidenti discrasie
ricostruttive delle statue, con errori evidenti e dimostrabili, pur di
sostenere assunti fantasiosi, come definire modello di nuraghe capitelli
quadrati, scambiare chevron con parapetti apicali di legno dei nuraghi,
ricostruire scudi quadripartiti al posto dei chiari pentapartiti ed attaccare
membra posticce a corpi casuali con il risultato di esibire anacronistici
Frankestein.
Trovo del tutto indegno il rifiuto della Soprintendenza -
posso esibire il carteggio intercorso - ad uno studioso, pur esterno
all’Archeologia sarda, accademico di disciplina non estranea ad una visione
interdisciplinare e capace di apporti originali, di effettuare prove meccaniche
e petrografiche, pur previste dal protocollo di indagine sulle statue, in
assenza anche di dati del Dipartimento di Geologia di Cagliari. In altre
parole, è concepibile ragionare, ricomporre, esibire oggetti di cui non si
conosce la sostanza, la durabilità, la resistenza meccanica e quindi la
scolpibilità?
Fortunatamente si possono ancora pubblicare nel nostro
Paese i risultati di studi e ricerche, dedurre consequenziali giudizi e
sottoporsi al confronto delle risultanze. Perciò ho potuto pubblicare “Indagini
su Monte Prama” di cui sono orgoglioso, nonostante i legittimi giudizi
dispregiativi, mai comunque sostenuti da prove, da logica o critica scientifica.
I pochi giudizi sono stati espressi in forma anonima, quindi vigliacca.
Già vent’anni fa con “Accabadora” mi esposi sostenendo
teorie distanti dall’ufficialità, lo stesso ho fatto con “Sa ‘ena” ed ora con
queste “Indagini” ho chiuso la mia avventura archeologica sarda.
Mi dispiace che l’Archeologia si sia seduta sul coperchio
dell’incommensurabile scrigno del patrimonio archeologico. Il peso enorme dei
culi di pietra – meri burocrati – impedisce che si
sollevi il coperchio e che si goda del contenuto, sia culturalmente, sia
economicamente.
Infine, per la gioia degli occhi ecco due foto, che M. Muscas mi ha spedito da Santa
Cristina, straordinario monumento della storia dell’architettura mediterranea.
La terra e il sole visti dalla luna e il sole nella geometria del pozzo.
Astronomia che gli archeologi sardi non riescono a coniugare con l’archeologia,
troppo intenti a solo ciò che brilla sulla punta del piccone, incapaci di
alzare gli occhi della mente.
Nessun commento:
Posta un commento