giovedì 7 gennaio 2016

La luce del Toro

di Franco Laner 

recensione al libro dei GRS
La Luce del Toro
PTM editrice Sett. 2011, Mogoro

Riprendo dagli appunti che annotai alcuni anni fa su questa pubblicazione di autori diversi, fra cui Alessandro Atzeni, che mi onora delle sue attenzioni, definendomi “mistico”: Il discorso si applichi anche al suo collaboratore (di Mauro Zedda) F. Laner, il quale ogni giorno non manca di ricordare di essere il vero scopritore di non si sa cosa, solo per aver visto e pubblicato una foto delle dimensioni di un francobollo (figura 28) con una didascalia striminzita in “Accabbadora” (1999) che testualmente, riporta: “il sole penetra nel nuraghe attraverso la finestrella che staglia la sua mobile figura nelle pareti della camera” (falso, non possono essere le pareti di camera, si veda sotto) mentre nel testo, in maniera assai sbrigativa, scrive in merito: “mi convinco che sia solo suggestione”, riferendosi ad una luce vagante decontestualizzata, senza orario, dati archeoastronomici o misure dell’interno del monumento o qualcos’altro di utile, oltretutto aggiunta solo dopo la pubblicazione del nostro libro del 2011, “aggiustata” in Sa Ena come “Ierofania” e come “sole-toro” o “testa taurina”, senza tuttavia associare dati sensibili, secondo una sua abitudine nel dilungarsi in monologhi intrisi di misticismo, coniando di continuo inutili neologismi, ma rimanendo comunque nel dubbio di una sua possibile suggestione
(da Mymoni blog del 5 gennaio 2016)
Osservo solo che “Sa ‘ena” è stato pubblicato nel febbraio 2011, mentre “La luce del toro” sette mesi dopo. Comunque se avessi letto tale libro e me ne fossi servito, l’avrei citato, perché un punto fermo della mia personale etica di docente e studioso è quella di citare sempre le fonti, sia perché non costa nulla, sia perché è gratificante e non riduttivo citare chi ti ha dato.
Nell’introduzione al libro (pag. 10 e 11) dove si parla di costruzione di nuraghi si  contesta l’ipotesi costruttiva di “alcuni architetti”. Quali? Non conosco nessun architetto -oltre al sottoscritto- che abbia parlato di archi orizzontali -meglio, stati di coazione- per realizzare la cupola autoportante e soprattutto aprirla in sommità, senza avere la necessità di chiuderla con il concio di chiave, che nelle cupole di rotazione è indispensabile.
Per criticare questa teoria costruttiva, frutto di ricerca e sperimentazione, che ha uguale concezione nella realizzazione dei trulli, dei rifugi dei pastori abruzzesi, fino alla cupola di S. Maria del Fiore del Brunelleschi, ci vuole un genio o un cretino. Ma se chi critica  non possiede nemmeno il lessico costruttivo -non pretendo la concezione strutturale- mi trovo impotente. A pag. 135 e 136 si definisce ad esempio per ben due volte, quindi non è un refuso,l’architrave d’entrata  come masso “a sbalzo” orizzontale. L’architrave non è a sbalzo, bensì è appoggiata, mentre a sbalzo è una mensola. La scienza delle costruzioni non è un parere, è una disciplina che ha i suoi fondamenti e se si vogliono ridiscutere, lo faccia, ripeto, un genio o un cretino. Forse per il GSR “mensola”, “sbalzo”, “coazione”… sono neologismi da me coniati.
La critica allo stato di coazione orizzontale è banale. L’autore, il GRS, quindi tutti e nessuno, asserisce di conoscere nuraghi crollati a metà e quindi gli archi orizzontali sono interrotti. Anch’io posso portare ad esempio arcate di ponti rotte, con semiarchi a sbalzo. Dovrei con ciò negare la teoria classica dell’arco? O non piuttosto tener conto dell’attrito e di equilibrio precario?
Prendo atto, sono sempre nell’introduzione, che finalmente si usa per i nuraghi l’aggettivo ciclopico e non megalitico. A questa distinzione, estremamente importante sul piano speculativo, avevo dedicato una scheda in Accabadora ed in Sa ‘ena ho potuto ipotizzare la costruzione del dolmen di Paule s’iscudu, grazie proprio al valore concettuale della distinzione fra ciclopico e megalitico.
Nell’introduzione si parla anche di modellini di nuraghe. Ho dedicato un capitolo di Sa ‘ena a questa questione e non voglio entrare nel merito. Mi dispiace che delle mie cose si prenda solo ciò che fa comodo.

Cap. I. Riassunto acritico e compilativo. Non serve nulla. Critiche al nuraghe-fortezza già avanzate da altri autori. Nulla di originale.
Cap. II. Come Cap. I. Ma con aggravanti, perché sembra che le critiche al nuraghe fortezza siano scoperte del GRS, invece basta rivedere qualche numero di Sardegna Antica. Inciso: peccato che non si citi chi si è rotto le scatole, in tempi difficili e non sospetti, a criticare feritoie, palle litiche, chiusura della porta d’entrata. La citazione non è mai una diminuzione, anzi..! Soprattutto sui modi di chiusura della porta del nuraghe ho più volte descritto la discrasia e durante i convegni ho più volte sollecitato gli archeologi a dirmi come si chiudeva la porta del nuraghe-fortezza, ironizzando sull’ipotesi del masso alla Hanna e Barbera!
Infine si apra a pag. 45. Qui ammetto di essere un pochino antipatico, perché osservo che la pagina sia un capolavoro di ingenuità. Qualsiasi sia la pretesa del libro, scientifica, divulgativa, .. le figure che si prendono dai libri, si devono riportare fedelmente con citazione. La fig. A, nell’originale (rilievo di A.Benetti) è corredata da sezione, dalla scala (del disegno) e soprattutto dall’indicazione dei punti cardinali (il Nord). Nei disegni del libro non c’è mai l’indicazione del Nord. Grave per un libro che parla di orientamento. Per di più ci sono solo piante, mai sezioni o prospetti. Mai un particolare delle finestrelle o una loro sezione. Il disegno di fig. B ,desunto da A, rovesciato, tanto per dire dell’incuria dell’orientamento, senza scala (le scale, quattro, ci sono, ma forse sono per le galline, tanto sono ripide), mi induce a dire che bisogna imparare anche a copiare e soprattutto va lasciata da parte la ridondanza del “delineavit”, che io leggo come “scarabocchiavit”.
Cap. III   Riassunto del culto evolutivo del sole nella storia e nel mondo, con l’osservazione finale che “la Sardegna, come in un prezioso scrigno, conserva la testimonianza di tutti i passaggi di questa evoluzione.” Bene, ciò che è stato detto, in Sardegna c’è. Non si è mai fatta mancare niente!
Cap IV Descrizione pedo-auto-morfologica del territorio del S. Barbara. Ma non ho capito la relazione del S. Barbara col territorio. Meglio una cartina dell’IGM, almeno ci sono le isoipse.
Cap. V Dovrebbe essere il cuore del lavoro. Ma il rilievo fotografico, è compilativo. Mancano punti di stazione, indicazioni metodologiche del rilievo, didascalie alle foto, spesso utili a fini turistici, ma criptiche per uno che voglia capire. Servirebbero sezioni. O l’azimut è un optional? Il paragone col disco solare (?) di Arzachena con la pianta del S. Antine (?) è una grande scoperta: ora abbiamo anche le piante (non sto parlando di mirto o rovere, bensì di sezioni orizzontali di un edificio) dei nuraghi! Non bastano i modellini. Ora vien fuori che il nuragico disegnava (modellava) le piante! Le sezioni dei nuraghi le avevamo già:  il prof. Contu scrisse che la stele della TdG era la sezione del nuraghe.
In sintesi è un lavoro compilativo, privo di inferenza e utilità per chi voglia capire o verificare.
La finestrella è realizzata lasciando il vuoto fra due pietre. La rotondità delle pietre dà luogo proprio alla figura a clessidra citata nel libro. Se vogliamo a due tori simmetrici rispetto alla mezzaria della figura. Se i conci fossero squadrati, il vuoto della finestrella sarebbe un rettangolo. La luce che entra può stagliare, a seconda dell’inclinazione, la metà superiore della clessidra, oppure quella inferiore, oppure un quarto. Si avrà così un toro diritto, oppure uno rovescio. La domanda da porsi e da discutere: è ciò casuale o voluto? Ora osserviamo queste proiezioni di luce, altro conto è quello di riuscire a dimostrare che chi costruiva i nuraghi pensava di realizzare questo fenomeno. Perciò, pur meravigliato ed emozionato, ho parlato di suggestione nei miei due libri.
Per confronto, per favore, si guardi alla ricerca di Lebeuf  sostenuta per dimostrare che il camino del pozzo di S. Cristina funziona come osservatorio lunare. Confrontate l’apparato costruttivo, confrontate i rilievi numerici ed astronomici. O con due foto al solstizio si può sostenere qualcosa, solo perché il fenomeno si ripete? Non ricordo di chi fosse la citazione, ma anche un orologio fermo, due volte al giorno è esatto!
Cap. VI  Il metodo compilativo-descrittivo fotografico viene esteso anche ad altri monumenti.
Cap. VII Sono ancora inchiodato al disegno di pag. 133. Lasciamo perdere la folgorazione sulla strada di Damasco (pardon, sulla strada di S. Barbara) e si guardi il toro, quello vero, sulla destra che la femmina tocca e così la sua forza, calore, sangue, divinità e quant’altro passa attraverso di lei che con la mano sinistra si struscia la mona…

Non ce la faccio più ad andare avanti. Si intrecciano fantasia (parte patologica dell’immaginazione) osservazioni gratuite e banali, della serie : “la torre è un cerchio (è un cilindro, boia di un mondo!) simbolo universale per descrivere il sole”…oppure… pag. 99 : risulta evidente….che questi fenomeni sono da adorare…
Ora apprendo che oltre a cose e dei, si adorano i fenomeni! e ancora: i nuragici riuscirono a suddividere l’anno in 4 stagioni, con solstizi ed equinozi, come ora.. Un calendario un po’ pesante (stanza del sole), ma forse sempre meglio della pintadera-calendario di Nicoliniana memoria.
Troppo banale uno gnomone! O un palo conficcato…
Provo a leggere ancora: il bronzetto musico. No. No!!!Mi arrendo. Avete ragione. Sotto tortura, perché è così se proseguo la lettura, capisco che sia ora di ammettere. Ammetto di aver detto il falso, per invidia, per antipatia, per cattiveria, perché sono uno stronzo. Credo che i nuragici abbiano toccato i vertici della genialità creativa simbolica. Ho partecipato ad un momento scientifico sublime. Non ho mai parlato di ierofania e tempo ciclico. Anzi non sono mai venuto in Sardegna. ABIURO. Ma allontanate da me questo libro!
Non sum dignus!
Franco Laner

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