venerdì 12 febbraio 2016

Alessandro Usai e la disposizione dei nuraghi


di Mauro Peppino Zedda

Nel 1977, ovvero 39 anni fa vide la luce il libro Sardegna Nuragica di Massimo Pittau .
Un testo che mise in luce che la tesi del nuraghe fortezza si basava su motivazioni inconsistenti.
Lilliu non ebbe l’umiltà scientifica per considerare confutata la sua teoria, e, purtroppo, gli archeologi attuali sono ancora invischiati dentro le macerie del paradigma interpretativo ideato dal Lilliu. La maggior parte degli archeologi prende per buone, senza spirito critico, le teorie del loro maestro e rivolge il suo tempo a disegnare e catalogare cocci.
Usai è dei pochi archeologi che prova ad andare oltre le proposte di Lilliu, anche se lo fa in maniera alquanto superficiale. Questo archeologo in un suo recente scritto (USAI A. 2015, Paesaggi nuragici, in MINOJA M., SALIS G., USAI L. (a cura di), L’isola delle torri. Giovanni Lilliu e la Sardegna nuragica, Sassari, pp. 58-69.) scrive: “I nuraghi furono strutture di servizio polivalenti dell’economia rurale, utilizzate per abitazione e per la conservazione, trasformazione e prodotti di ogni genere…” per Usai il nuraghe sarebbe una specie di masseria (sic!?).
Immaginate un nuraghe costruito sulla cima di una rupe o a strapiombo di un dirupo, mi sembra assurdo pensarlo come abitazione o come magazzino. Dunque  o i nuragici erano dei cretini o è demenziale pensare che quei nuraghi fossero abitazioni o magazzini.
Usai non si accorge che la sua tesi è assai più innocente ed  inconsistente della teoria del Lilliu.
Certamente postulare una società guerriera senza trovare i resti dei guerrieri è un’assurdità, ma pensare i nuraghi come magazzini lo è ancor di più.
Usai, nell’analizzare i motivi che determinarono la loro ubicazione scrive: “Anche se credo che il senso generale dei nuraghi e degli altri monumenti nuragici possa essere compreso solo nell’ambito delle dinamiche sociali ed economiche di grande portata, tuttavia penso che alcuni particolari potrebbero essere almeno inquadrati facendo riferimento a un mondo simbolico per noi oscuro, ma che per i protagonisti di allora poteva costituire un codice condiviso. In poche parole, non possiamo accontentarci di solidi argomenti razionali e processuali, ma dobbiamo almeno considerare l’esistenza di un piano irrazionale, da affrontare con ragionamenti controllati di tipo contestuale, senza pretendere di decifrarlo. Per esempio, ferme restando le ragioni di fondo, è possibile che la costruzione di un nuraghe o insediamento o tomba o tempio, oppure la loro ubicazione, fosse decisa a seguito di vaticini, presagi, sogni, allucinazioni o altri presunti “segni” come la caduta di un fulmine, lo scoppio di un incendio, la nascita o la morte di una persona o di un animale, l’accadimento di fatti inspiegabili o preannunciati da racconti mitici? È possibile che per iniziare la costruzione si aspettasse un momento particolare definito da una speciale posizione di uno o più astri, oppure che il monumento venisse orientato in modo tale da registrare la data d’inizio della costruzione? Sulla scorta di simili valutazioni si potrebbero ricondurre a un quadro di riferimento, senza spiegarle, le forti oscillazioni di orientamento ed altre apparenti stranezze; ma ciò non rivelerebbe la natura e funzione dei nuraghi, che è azzardato cercare al di fuori del legame con la terra, le risorse e le attività umane.”(Zedda 2009).
Usai proprio non capisce che la terra con le sue risorse era un tutt’uno col cielo, forse che l’acqua non viene dal cielo? Forse che il clima non trova perfetta corrispondenza con la posizione del Sole? Forse che le stelle non entravano nei miti e nelle spiritualità dei nostri progenitori?
Alessandro Usai non comprende che  trascurare queste cose è un suicidio intellettuale!
Usai scrive che il suo modo di fare archeologia sia razionale, a me pare che le sue analisi siano tutt’altro che razionali. La razionalità bisogna praticarla non sbandierala!
Penso di aver dimostrato che i nuraghi sono disposti sul territorio secondo regole geometriche e astronomiche , e siccome la geometria non è un opinione quanto affermo è facilmente verificabile.
Usai invece di provare a capire chiama in causa l’irrazionale, sic!?
Usai cita un mio libro, in teoria dovrebbe averlo letto, e dunque deduco che non  ha compreso che i nuraghi sono disposti sul territorio secondo schemi geometrici astronomici.
Sulla scorta di questo dato di fatto, possiamo discutere sul perché  li abbiano disposti secondo schemi geometrici astronomici.
Seppur a livello embrionale, nel pensiero di Usai , sembra intravedersi l’idea che esistesse un qualche rito di fondazione. Mi domando se abbia mai sfogliato un buon  libro di storia delle religioni, o che abbia perlomeno sfogliato il manuale principe di ogni archeologo, ovvero il manuale di Renfrew e Bahn in cui oltre che descrivere i dettami dell’archeologia cognitivo-processuale vi è una parte dedicata all’archeoastronomia.
Nel leggere questa parte del testo di Usai, il mio pensiero è andato dritto alla prima pubblicazione di Franco Laner (La construction des “nuraghi” in Sardegne, in Mécanique et Architecture, 1995, Basilea). In quel testo Laner spiegò come la costruzione dei nuraghi fosse anche un fatto rituale.
Meravigliosi i riferimenti di Laner a Mircea Eliade,
Non sarebbe male che anche gli archeologi sardi leggessero le opere di questo e di altri storici delle religioni.
Laner, oltre ai libri di lilliu, ebbe modo di leggere anche il mio primo libro (I nuraghi il Sole la Luna, 1992) e comprese che la disposizione geometrica astronomica che avevo riscontrato tra i nuraghi della valle di Brabaciera, fosse spiegabile col desiderio dei nuragici di cosmizzare il territorio secondo coordinate spaziali e temporali. Concetti che poi ha sviluppato nei libri  Accabadora  1999 e Sa Ena 2011.
Ovviamente  non posso  non  ricordare che solo un archeologo ignorante in geometria può non comprendere che i nuraghi sono disposti secondo schemi geometrici astronomici.
Vi sembro troppo caustico con gli archeologi sardi?
Dal mio primo libro sono passati 24 anni, ho presentato le mie tesi in consessi scientifici internazionali. Per il prestigioso Handbook of Archaeoastronomy and  Ethnoastronomy edito dalla Springer mi è stato chiesto di curare  il capitolo sui nuraghi.
Come dovrei etichettare degli archeologi che continuano a negare  l’evidenza? Mi pare che definirli ignoranti in geometria sia il minimo!







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